Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti per Corti 2011 “Un giorno d’autunno” di Marco Imbimbo e Michele Procaccino

Categoria: Premio Racconti per Corti 2011

Era l’autunno del ’44. La guerra imperversava ed io avevo poco più di 6 anni. Con la mia famiglia vivevamo in un casolare a pochi chilometri da Camaiore. La mattina i miei si recavano in paese per barattare al mercato nero. Io rimanevo solo a casa con i miei due compiti: non allontanarmi e scappare in soffitta quando arrivavano i soldati. La cosa capitava spesso. Passavo la mattinata a giocare con una palla di pezza, un bel lusso in quel periodo. Lanciavo la palla contro il muro che me la restituiva. Era lui il mio compagno di giochi. Un giorno, mentre eseguivo il primo compito, notai delle divise in lontananza. Era giunto il momento di eseguire anche il secondo, il più importante. Ero abituato a scappare in soffitta, ma quella volta fu diverso. Come al solito, sorvegliavo tutto da una finestrella nel muro, un buco dove nidificano i colombi. Lì nel cortile, vidi i tre soldati, ma avevano qualcosa di strano. Uno dei tre, forse il comandante, imprecava tenendo in mano una cartina. Dovevano essersi persi. Un altro ascoltava in silenzio. Il terzo, invece, mi colpì in modo particolare. Non dava peso alle imprecazioni del suo superiore anzi, sembrava interessato alla palla che avevo lasciato giù. Guardava con diffidenza quell’oggetto così diverso dalle pallottole e dalle granate; sembrò ravvivarlo e quel suo attimo di titubanza durò poco, il tempo di trasformarla in magia. Quell’uomo divenne tutt’uno con il pallone; palleggiò come se la palla fosse nata con lui. Era un danzare magico, una passo a due tra lui e la sfera a cui si unì presto il suo compagno per contendersi la dama. La palla saltava da un soldato all’altro. Sembrava non avere peso, faceva quello che volevano loro. Era veramente magica e, questa magia, m’aveva fatto dimenticare la guerra. Per la prima volta, vedevo dei soldati passarsi una palla invece di baionette e granate. L’unico che non sembrava stregato da tutto ciò, era il superiore che, indispettito da così poca retorica militare, tolse il pallone ai due. Odiai quell’uomo, quel soldato vero, che, come tanti altri in quel periodo, aveva infranto il mio momento di felicità. Ordinò di perlustrare la casa. Entrarono. Rimasero dentro un’oretta. Forse mangiarono. Quando uscirono, ripresero a giocare, tranne il capitano che si mise a dormire sotto l’albero. Decisi di scendere per avvicinarmi. Il soldato-capitano dormiva, mi sentivo fuori pericolo. Mi affacciai dalle scale quel tanto che bastava per spiare attraverso la porta. Vedevo lui, ma non l’altro. Forse anche lui vide me. Mentre giocava la palla finì dentro casa. Pensai si fosse trattato di un caso, sbandai, non sapevo cosa fare. Solo allora mi accorsi che m’ero allontanato dalla scale. Ero sceso ed ero andato vicino la porta. M’aveva forse trascinato quel clima nuovo, quella magia che avvolgeva la casa? La palla mi rotolò sotto i piedi e, istintivamente la colpii. Era la prima volta, da un anno, che qualcuno diverso da mio padre mi tirava la palla. Lui riprese a giocare come se niente fosse. Dopo qualche minuto la palla ritornò sotto i miei piedi e io la rilanciai. Quel mago mi avevo coinvolto nella sua magia. Durò poco. Il capitano-soldato si svegliò. Gridò qualcosa di strano. Non in tedesco, li conoscevo bene. Neanche in francese. La palla cominciò a rotolare da sola, priva di vita. La magia era finita. Il soldato-giocatore scomparve nel nulla della montagna, così come era apparso. Rimasi solo con la palla. E un nome scritto sopra: Edson De Souza Faria.

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4 commenti »

  1. La guerra che allontana, ma che in qualche caso unisce, seppure solo per un attimo, con quattro calci ad una palla. Memorie dirette? Sembrerebbe di si.

  2. Lo sport, il gioco sono da sempre super partes, sono aggregatori di incredibile forza, perchè agiscono sull’aspetto giocoso, infantile dell’uomo : quando era innocente, quando non sapeva cosa fosse la guerra.

    Se ti va mi daresti un parere sul mio racconto “Mi manca anche la testa” ? Alessandro Musella

  3. Una storia tenera e allo stesso tempo drammatica. Una fotografia in bianco e nero, sia per il momento storico nel quale si articola la narrazione, sia per la contrapposizione tra il buio della guerra e quel raggio di luce che per un istante pare cancellare ogni divisione.

  4. Credo che la Guerra ci faccia dimenticare che siamo tutti uomini, vite che annientano altre vite. Il pallone irrompe nella scena come un elemento estraneo che rompe gli schemi animaleschi del combattere per sostituirli con quelli umani del giocare. Sembra quasi che il passato e il futuro irrompano nell’irrazionale presente sotto le sembianze di un pallone. Bellissimo per una trasposizione scenografica.

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