Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2024 “Davanti allo specchio” di Maria Teresa Innocente

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Ho portato con me lo specchio della nonna Maria quando sono venuta in questa casa, mia madre non si è opposta.

«Fai come vuoi, ma forse non si adatta al tuo arredamento moderno».

In realtà a me sembra di sì, si adatta a me. La nonna ci teneva tanto, lo teneva con cura, passava un filo d’olio sulla cornice di legno e con un panno imbevuto d’acqua tiepida puliva il vetro, che era sempre trasparente. Quando ero piccola mi portava con sé nella sua stanza e davanti allo specchio mi raccontava storie del passato, invitandomi a recitare con lei come fossimo a teatro.

«Apri le braccia verso il pubblico, tesoro, sorridi e volgi lo sguardo da sinistra verso destra, per cogliere l’espressione di tutta la platea…».

Mi lasciava giocare con i suoi abiti, così potevo travestirmi, diventare una principessa, una dama, una ragazza innamorata, una donna fatale, una guerriera. Aveva un armadio pieno di cappelli, borse, scarpe, sciarpe, abiti da sera. Tutti oggetti pregni dei ricordi del suo passato, quando ancora sperava di diventare un’attrice famosa.

La nonna è un pezzo della mia prima vita.

La cornice dello specchio si è un po’ rovinata e il vetro ha alcune macchie scure dovute al tempo, ma l’immagine che mi rimanda è nitida.

Oggi, nel tardo pomeriggio, ho un appuntamento con il mio medico di fiducia.

Sono mesi che attendo questo momento. Ne abbiamo discusso molto io e Antonio.

«Sento che è la scelta giusta non voglio più rinviare».

«Non è che ci stai investendo troppo? Cosa non va nella nostra storia?».

«Cosa non va nella mia vita… come fai a non capire!».

«E allora, prendi l’appuntamento con questo luminare, se è questo che vuoi!».

Mi guardo allo specchio, vedo un volto impaurito, triste, gli occhi sono velati, lucidi. Le sopracciglia, tatuate con maestria dalla mia estetista, oggi sembrano quelle di un Pierrot. Gli angoli delle labbra carnose e ben disegnate, sono rivolti verso il basso, le guance scavate, senza trucco, palesano ancora una leggera ombra scura. Cosa mi succede?

Sono preoccupata. Sembrava tutto deciso eppure qualcosa è cambiato.

Scaccio questi pensieri e mi preparo per arrivare in tempo all’appuntamento.

Ancora davanti allo specchio della nonna, come davanti a una vetrina, osservo il manichino di una donna bella, raffinata. I capelli composti, lisciati con cura dalla parrucchiera, le arrivano fin sotto le spalle, i pantaloni blu attillati mettono in risalto un fisico magro, ma con i muscoli definiti. Le scarpe con il tacco la slanciano, sembra alta, una camicia azzurra completa il tutto.

«Quanti anni dimostro?» chiedo alla me riflessa. Ne ho quasi quaranta, un’età in cui il tempo inizia a scandire quanto resta per le decisioni importanti. Mi domando se è questo scorrere della vita a turbarmi oggi.

Esco, prendo l’auto e mi avvio verso l’ambulatorio. Si trova in centro città, in una zona molto frequentata, una via costellata da negozi e locali dove la gioventù si incontra, la frequentiamo spesso anche io e Antonio. Parcheggio in una laterale di Corso Italia. È l’ora dell’aperitivo.

C’è un bel sole, un inizio d’estate piacevole, senza afa. Una leggera brezza muove le foglie degli alberi di questo splendido viale alberato. Ritorno di buon umore, il sole mi fa questo effetto, è come una dolce carezza. Mentre cammino sento delle voci un po’ alterate dall’altra parte della strada, mi volto, non posso crederci.

«Da oggi a casa si cambia!» biascica a voce alta Antonio rivolto a non so chi. Non si regge bene in piedi, barcolla. Irriconoscibile.

Aveva detto «Smetto, te lo prometto».

Indosso gli occhiali da sole e torno sui miei passi, fingendo di aver all’improvviso dimenticato qualcosa. Mi muovo con circospezione, come se tutto il mondo potesse accorgersi di me, capire cosa sto provando. Non credo mi abbia vista, in quelle condizioni…

Rientro in casa, ancora tremo. Poso le chiavi dell’auto sulla mensola in ingresso, mi avvio in camera, lancio uno sguardo al grande specchio. Mi sembra di percepire l’immagine della nonna, che mi incoraggia, che mi accoglie. Nessuno come lei mi ha compreso fino in fondo, senza giudizio, amandomi per quella che sono.

Apro la finestra per far entrare il sole, il mondo, l’aria, per calmarmi.

Ho investito molto in questa relazione, dopo un lungo periodo in cui passavo da un uomo a un altro. Io e Antonio stiamo insieme da circa tre anni. Da due ci vediamo regolarmente; si ferma a casa mia durante i fine settimana, una sorta di convivenza.  

Abito in un appartamento di tre stanze che ho scelto appena ho iniziato a lavorare. Fin dal primo stipendio ho pensato a una casa tutta per me, arredata secondo il mio gusto, un luogo in cui rifugiarmi ma anche da cui partire per costruire il futuro.

«Continuiamo a non parlare del nostro domani, del nostro progetto, non ti sembra sia il momento?».

«In che senso? Parliamo delle vacanze piuttosto!».

«Le vacanze non sono un progetto! Intendo della nostra vita, di diventare una famiglia».

«Una famiglia? Io e te? Ma ti prego Maura!».

Sono anni che mi sottopongo a cure mirate, per consentire a me stessa e al mio fisico di arrivare pronta al grande momento. Ho sempre pensato che Antonio condividesse, che fosse con me in questo cammino. In realtà ero e sono sola, io e il mio corpo, questo involucro che non è come vorrei.

Poi, qualche settimana fa, la svolta, ho fissato l’incontro con il medico.

Mi sono illusa, credevo di aver raggiunto lo scopo della mia vita. Io e Antonio una coppia vera.

Invece proprio da quel momento Antonio è cambiato. Ha iniziato a essere trasandato, a non curarsi come al solito. Incalzato, ha ammesso di essere attirato dall’alcool.

«Non so cosa dirti, non ho mai bevuto, ho bisogno di stordirmi per non pensare…».

«Non pensare a cosa?».

«Non farla troppo lunga, dai, vedrai che smetto».

E invece, eccolo là, al bar, brillo. Proprio oggi.

Sento sbattere la porta di casa, deve essere malfermo sulle gambe dal rumore di piedi trascinati che annuncia il suo ingresso in camera.

«Che fai, sei sempre lì a specchiarti, hai paura di invecchiare?» ride sarcastico.

«E tu, hai paura di crescere?».

«Che vuoi dire?». Mi spinge verso il letto.

«Vieni qui, vieni qui».

Mi divincolo, non lo desidero, non mi va il suo abbraccio, il suo odore di alcol e fumo, lo sguardo che non promette nulla di buono. Insiste, vuole a tutti i costi sfogare il suo bisogno. Non è amore, lo sento che è sopraffazione, manipolazione. Riesco a staccarmi. «Dove scappi, cosa guardi!». All’improvviso scaglia il mazzo di chiavi verso la parete, colpisce lo specchio.

Si forma una piccola incrinatura, da un punto centrale si irradiano dei raggi, delle linee che si aprono come ferite. Scoppio in lacrime, non riesco a trattenermi.

«Cosa fai? Sei impazzito?».

«Sei tu che sei fuori! Vuoi sapere la verità? Io non ce la faccio, non ne posso più di tutto questo».

«Di tutto cosa?».

«Dei progetti e… del resto!».

«Del resto?».

Abbassa lo sguardo, biascica qualcosa fra sé e sé, non lo ascolto più. 

«E allora vattene!».

«Maura, senti io…» si avvicina mi prende per un braccio.

«No, lasciami».

«Mi cacci di casa?».

Raddrizzo le spalle, lo fisso, no, non posso accettare questa scenata.

«È casa mia, te ne sei dimenticato?».

Sono trascorsi dieci giorni. Mentre ero al lavoro, Antonio è passato a prendersi i vestiti, la biancheria, le scarpe, ha svuotato l’armadietto del bagno. Sembra quasi che non aspettasse altro che una discussione, un diverbio, qualcosa per chiudere, per mettere la parola fine al nostro rapporto.

Non sto bene, continuo a chiedermi dove ho sbagliato, cosa cercavo, cosa sarà di me, della mia vita.

Esco dalla doccia. Ho raccolto i capelli bagnati con una molletta verde, il residuo del mascara segna il mio viso con delle righe nere, accentua delle occhiaie profonde. Lo specchio mi rimanda un’immagine stanca, le spalle sono curve. Mi sposto una ciocca dalla fronte e inorridisco davanti alle mie mani, che ho sempre curato, vedendole sciupate, le unghie spezzate, lo smalto sbeccato. Guardo quest’immagine che riflette il mio involucro, ma anche il contenuto, trascurato, dimenticato, occultato.

Un rumore che proviene dalla strada mi fa trasalire, l’accappatoio si apre appena. Lo specchio mi rimanda la verità. Vedo riflessa quella parte intima del mio corpo che voglio celare, quella che mi ricorda che sono nata… Mauro.

Chiudo gli occhi, mi rivedo con la nonna che mi pettina e insieme inventiamo storie in cui sono una principessa, un’attrice, una fata.

Cerco nello specchio la me felice che oggi non trovo. La finestra sulla parete di fronte al letto si apre sulla strada già brulicante di persone, di traffico. Una finestra sul mondo accanto allo specchio, una finestra sulla vita.

La mia vita, da rimettere insieme da recuperare, per ripartire.

Mi guardo attorno, recupero il cellulare nascosto sotto i vestiti abbandonati sulla poltrona. Compongo il numero che quasi ricordo a memoria.

«Studio del dottor Rinaldi, come posso aiutarla?».

«Buongiorno, sono Maura, vorrei fissare un nuovo appuntamento».

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