Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2024 “La Rosa di Gaza” di Lavinia De Santis

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Da quattro mesi sei lontana. Da allora pensieri alla rinfusa mi rincorrono come avvoltoi e la notte fabbrico costantemente nuovi incubi. Vorrei essere con te, farmi strada nel mondo dietro i tuoi passi, ma so che mi mancherebbe il tuo granitico coraggio. Mentre fantastico su questi scenari vado in giardino ad innaffiare la tua rosa, che emerge, ribelle e aggressiva, dalla nebbia in cui scompare la restante vegetazione, l’unica che abbia resistito alla rigidità del clima invernale.

Quella rosa dalle intense tonalità scarlatte te l’ho regalata nel giorno in cui mi hai comunicato, con stile lapidario, la tua scelta di partire in missione per iniziare un’indagine sull’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Sapevo che qualsiasi tentativo di dissuaderti dal lasciarmi solo ad aspettarti sarebbe stato vano, ma ciò nonostante ho provato a scalfire la tua rocciosità prospettandoti le minacce che ti sarebbero piovute addosso, l’interruzione di internet che avrebbe tagliato il tuo cordone ombelicale col mondo, il rombo delle armi da fuoco, la fame, la sete, il gelo, da cui non avresti più smesso di cercare riparo. Mi hai risposto che saresti tornata dopo aver visto coi tuoi occhi la realtà vera, perché è solo dal coraggio di chi resiste che si aprono le porte per un nuovo mondo. E poi, con una frase presa in prestito da Rosa Luxemburg: “la libertà è sempre e soltanto la libertà di chi la pensa diversamente”.

Sei partita due giorni dopo, lasciandomi nella soffocante vastità di questa casa, diventata insopportabilmente noiosa, ora che non c’è più la melodia che intonavano le tue dita affusolate battendo sulla tastiera del computer, né la scia del tuo profumo alla vaniglia che pervadeva ogni stanza e i cumuli di libri disseminati su ogni mobile ed elettrodomestico.

Da allora ogni giorno quando mi sveglio vado ad osservare la tua rosa, le chiedo se ha sete, fame, se ha paura dello scroscio della pioggia che si abbatte crudelmente sul suo stelo delicato e quando soffia il vento la copro con un telo, per proteggerla dal freddo.

Lo so che è giusto così, che non si può impedire a chi si ama di inseguire fino ai luoghi più estremi il richiamo febbrile della sua vocazione. Eppure non posso fare a meno di scagliare pietre, tutti i giorni, contro il muro che circonda il nostro giardino: sono l’unica arma a cui mi aggrappo per manifestare la mia muta protesta.

Ci saremmo dovuti sposare l’anno prossimo. Ho ancora l’anello della mia promessa dentro il cofanetto che ti avrei offerto proprio quella sera in cui mi hai comunicato la tua decisione. L’anello fuso in bronzo con al centro la pietra rossa che disegnai e lavorai a mano giornate intere, scegliendo il colore che si accordasse il più possibile alla tua inafferrabile bellezza. Ma nonostante sfiorisca ogni giorno di più la speranza del nostro matrimonio in riva al mare e, insieme ad essa, l’estatica visione di te che emergi come Venere dalle acque, con gli occhi che irradiano vitalità, l’abito impalpabile di seta che ondeggia al vento e la vigorosa chioma bruna che fatica a lasciarsi domare dalla corona di rose che la adorna, io resto qui ad aspettarti.

E in quest’attesa costruisco gioielli, modello come un demiurgo pietre preziose che adorneranno le spose e la felicità degli altri. A riempire il silenzio delle mie ore vuote ci pensa il giornale radio sempre acceso, come è accesa la speranza di sapere quello che non so di te, mentre sul tavolo dove lavoro si affastellano le pile di quotidiani internazionali che leggo e rileggo nel desiderio di ricevere un’informazione nuova, anche la più trascurabile, sulla resistenza dei reporter al fronte.

Tramite i giornali ho scoperto che te, Elsa Soldaini, sei stata denunciata per il feroce attacco che hai sferrato contro Hamas, affermando come tale movimento non c’entri nulla con la protezione delle vittime di cui si erge a paladino che concorre, al contrario, a moltiplicare.

Una decina di giorni dopo al Tg1 hanno comunicato che sei entrata nel mirino dell’intelligence israeliana per aver difeso il diritto di resistenza dei palestinesi, che hai spiegato essere parte dei diritti scolpiti nella natura degli uomini. Da allora le due maggiori organizzazioni ti danno furiosamente la caccia con l’accusa di “istigazione al terrorismo”. Fin quando non ti hanno trovato. Hai trascorso cinque notti in una cella di 15 metri quadri in compagnia di altri tre attivisti politici, due dei quali gravemente ammalati, ma poi, grazie all’instancabile mobilitazione di alcune organizzazioni per i diritti umani, ti hanno rilasciato.

Da ultimo l’altro ieri sono venuto a conoscenza della cattura di venti giornalisti, portati via da un ospedale di Gaza City, con le loro apparecchiature distrutte, i più fortunati isolati, alcuni arrestati, la maggior parte uccisi.

Da quella notizia sono piombato nel baratro. “Dove sei amore mio?”, ti chiedo ogni mattina al risveglio. “Sei ancora viva? Sono riusciti a spegnere anche la tua voce? Rispondimi. Dimmi che tornerai come promesso, che indosserai quell’abito di seta che nell’ordinarietà del mio piccolo mondo, io ho ricamato su di te. Dimmi che i nostri nomi – Tobia Serra ed Elsa Soldaini – scintilleranno finalmente vicini sulla porta del Comune di Gallipoli”.

Finché la disperazione di queste suppliche non trova riposo nella vista rassicurante della tua rosa, che si espande sul terreno senza vita, ansiosa com’è di esplorare la propria libertà.

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