Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2024 “Io attesi. Tu no” di Valeria Cipriani

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

“Le parole sono finestre (oppure muri)“

(Marshall B. Rosemberg)

                                                   

1894 

La casa era odorosa di legna bruciata, di paraffina e brodo. Isa allattava in piedi il piccolo appena nato e con la mano   libera   impastava un morbido panetto giallo   fatto di farina e uova fresche.

Pose il bimbo nella cassetta ricoperta di teli   e piccole pezze di lana che addolcivano gli austeri angoli del minuscolo giaciglio artigianale. Cominciò a stendere l’impasto morbido canticchiando un motivetto che le ricordava la dolce compagnia della nonna Vetturina. Ah, cara, dolce nonna Rina…

L’infante intanto aveva cominciato a piagnucolare   e da lì a poco quel lamento sarebbe diventato un pianto scosso da un singhiozzo quasi impercettibile che lo avrebbe innervosito. A quel punto la madre sfilò dal grembiule   ricamato un piccolo sacchetto di stoffa bianca chiuso, stretto da un filo sottile. Glielo mise tra le labbra avide di quel sapore dolciastro di zucchero pressato misto a saliva e cotone. Il   bimbo cominciò a succhiare il nettare racchiuso nel fagottino e si addormentò. Intanto Isa tagliava a quadretti   la sfoglia sottile con mano svelta e precisa. Il suo uomo sarebbe tornato di lì a poco, impolverato e stanco. L’odore del sudore e terra lo avrebbe accompagnato pervadendo l’umile cucina illuminata da lampade ad olio.  Si lavò le mani e guardò fuori dalla piccola finestra con i sottili vetri appannati che tremavano al passaggio dei carretti traballanti. 

Ogni giorno all‘ mbrunire con il dito indice, lo stesso con cui accarezzava il minuscolo profilo di quella creatura, scriveva sull’umido vetro appannato, ‘ISETTA’.  Era il suo nome: pronunciato risultava come un armonioso   suono che rispondeva all’esile figura di quella giovinetrta dai capelli color di spiga matura e dal carnato roseo. Era sposata ad un uomo che non amava ed era   sempre in   attesa di chissà quale romantico evento che l’avrebbe portata via da lì, lontana dal paesino che tempo prima l’aveva accolta ma che non sentiva per niente suo. 

In attesa, certo, di colui che un giorno fu solo per lei. Un gentile signorotto che   quella mattina la sopraffece e la lasciò piena di piacere carnale e di piacere  mentale,  piena di quell’interezza mai provata.

Il fieno fresco aveva accolto i loro corpi uniti in un solo abbraccio. Rimasero stretti per ore. Nessuno, a parte le gallinelle chioccianti dal piumaggio nero, seppe mai di loro. 

E da allora Isa era in attesa, sempre… E ogni volta che scriveva il suo nome sull’umido vetro sapeva   già che il marito entrando lo avrebbe visto e senza dare troppo peso a quello stupido vezzo, avrebbe tolto gli stivali, si sarebbe seduto e col capo poggiato sul braccio, cedendo ad uno sbadiglio avrebbe chiuso gli occhi poggiando il capo sul braccio steso sul tavolo. E così ogni sera, quando il vetro si appannava, spostava la lampada ad olio da sotto la finestra e scriveva quel nome. 

Poi si sedeva e aspettava nella penombra, il suono delle ruote cigolanti. 

L’uomo seduto sul carretto girava la testa per sorprendersi. Ma ogni volta era colto da infinita delusine. Era passato troppo tempo ma non voleva perdere la speranza di abbracciarla ancora ed amarla di nuovo.

Isa sapeva che il padre di suo figlio ogni giorno, all’imbrunire faceva quella strada con il barroccino trainato dal cavallo con la testa piegata dalla stanchezza. Egli passava e   in quei pochissimi istanti, ogni volta passando,   leggeva sempre sul vetro opacizzato dall’umidità, la stessa parola: ‘ATTESI’.

2026

Nel moderno appartamento al terzo piano, si sentivano profumi di olii essenziali: ginepro e arancia dolce. Il diffusore liberava una silenziosa nuvoletta di vapore accompagnata da una danza di colori che si alternavano ritmicamente. Caldissime note  provenienti dalla cassa in bluetooth si propagavano  placide.

Isa teneva il bimbo avvinghiato al seno sinistro.

Con la mano libera digitava i tasti del suo computer inviando e-mail a tutti i suoi clienti.

‘INVIA’ e la macchina eseguì l’ordine vocale. Poi vedendo che il piccolo si stava addormentando lo adagiò sulla culletta imbottita da morbidi tessuti di lino che al bisogno, con poche manovre si sarebbe trasformata in passeggino, e in seguito in un agevole girello per imparare finalmente a camminare. 

Voleva fare una doccia. Prima però   rovesciò  il contenuto di una busta nel robot da cucina dal design molto compatto ed elegante e impartì il comando: ‘Prepara ora’. Posizionò il ciuccio in silicone nella piccola boccuccia del neonato, impostò la modalità bebè sul suo mobile e provò a chiamare suo marito.

Suo marito…

Forse troppo tardi si era accorta di non amarlo più, di non apprezzare nulla di lui, neanche le sue carezze frettolose. Non avendo ricevuto risposta riattaccò.  La doccia, già programmata si sarebbe attivata dieci minuti dopo. Prese la sua tisana di passiflora e melissa e improvvisò quel motivetto che nonna   Isetta intonava alle feste in Abruzzo accompagnata dalla fisarmonica Soprani che imbracciava tutte le volte che poteva. Isetta era anche il suo di nome e lo amava moltissimo.

Strinse la tazza a sé e chiuse gli occhi. Inevitabile non ricordare sempre quel giorno di undici mesi prima, quando a Londra incontrò Andrea, un vecchio compagno di studi. O meglio, il suo compagno di studi… ‘Quei momenti non torneranno più’ aveva pensato spesso rimpiangendo la sua felice e ormai passata giovinezza. E invece eccolo là! Come se il tempo non fosse stato mai contemplato: sempre bellissimo, le labbra carnose, che erano state le complici dei sorrisi disarmanti, erano ancora lì. Dopo il meeting organizzato dalla sua azienda si diedero appuntamento a un pub nell’area di Coven Garden. 

Quella sera, divenne notte e poi mattina. Il ricordo era ancora vividissimo nella sua mente. La camera del lussuoso albergo li accolse correa e silenziosa. ‘Troppo breve’ pensò all’aeroporto. 

E ogni volta che ripensava a quei momenti non riusciva a capire se quel giorno era stato reale oppure la proiezione di un più lontanissimo ricordo. 

Con la tazza in mano in maniera improvvisa, i capezzoli si inturgidirono a tal punto che un po’ di latte sverrò dai semi come per risvegliarla.

Sotto la doccia Isa ripensò a tutte le cose che erano successe in quel week-end londinese.

Si erano lasciati così come si erano incontrati, con la luce scintillante negli occhi e un bacio rubato un attimo prima di chiudere lo sportello del taxi. Quegli indimenticabili momenti erano scolpiti nella sua mente. Ma la sorpresa più incisiva fu la consapevolezza di una nuova donna che in passato era sempre stata così riflessiva e  ma mai cosi avventata come in quel momento. Neanche un solo istante di esitazione.               

Che fosse stato tutto vero lo confermò l’avvenuto concepimento di suo figlio.

Col bavero dell’accappatoio sugli occhi pianse di rabbia e di nostalgia. Velocemente guardò il telefono: il bimbo dormiva.

Aveva un’ora e mezza.

Sapeva che il marito tornando non si sarebbe fatto troppe domande non trovandoli a casa. Spesso Isa usciva a fare un giro in quella cittadina che l’aveva accolta ma che non era mai riuscita a fare sua.

Tornato a casa il marito si tolse gli abiti e avvolto solo dal telo di spugna intorno alla vita programmò dal display della cucina   l’accensione della doccia: temperatura media/getto a cascata. La musica new age di sottofondo completava l’atmosfera immersiva  la   quale, di lì a poco lo avrebbe intimamente catturato.

Uscendo prese il morbido e caldo accappatoio dall’armadio termico. Con   un gesto veloce del braccio pulì lo specchio appannato sul quale oltre ad esserci il suo bel viso perfettamente rasato, vide riflesse due parole scritte col rossetto sulla porta dietro di lui:

‘NON ATTESI’. Si girò di scatto ignorando la scritta speculare e lesse ‘NON ISETTA’.

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