Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2024 “La ferita” di Mario Olivo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Per quanto si sforzasse ossessivamente di tendere l’orecchio a intervalli di inconsapevole regolarità, il suono ovattato della navicella non pareva cambiato in nulla. La piccola capsula di salvataggio continuava a solcare lo spazio producendo il solito rumore di un motorino immerso nell’acqua.

Ma perché avevano fatto quell’oblò, non sarebbe stata più bella tutta carlinga? Avrebbe viaggiato in un utero di metallo. 

Non si era preoccupato granché quando aveva attraversato quella che in gergo si chiama comunque tempesta di asteroidi, anche se si trattava in realtà pietre non più grandi di un pugno. Le rocce avevano fatto il rumore della grandine quando dormiva nella casa in campagna, dei rami e dello sterrato picchiettanti sulla carrozzeria della sua Land Roverd’epoca. Che bella la Terra, che stupido era stato fuggirne via, non l’avrebbe rivista più. 

Aveva sentito la crepa correre un poco, come un ragno dalle zampe d’acciaio che trotterella sulla parete, e aveva compreso presto che non c’era molto da fare. La corazza adamantina del vetro era stata intaccata, quand’anche si fosse potuto intervenire dall’esterno, quella specie di canoa spaziale in cui era sdraiato non era approntata per l’attività extraveicolare. Le strumentazioni non potevano mentire e non c’erano né navi ne stazioni pronte a salvarlo, sarebbe stata solo questione di giorni, forse ormai di ore.

Il momento dell’orrore non era poi durato molto, la rassegnazione e i tempi relativamente lunghi dell’attesa gli avevano presto permesso di convertire il timor panico in un’ansia capace di gelificargli e appesantirgli le viscere, ma non di impedirgli di pensare.

Certo, era davvero stanco, aveva ordinato al computer di bordo di limitare al minimo il tempo del sonno perché non voleva sprecare i suoi ultimi momenti, eppure era proprio quello che stava facendo, e lo sapeva. Ma, si chiedeva, possibile che fosse tutto qui?

L’istante migliore dall’apertura della crepa l’aveva passato quando, senza pensarci, era riuscito a non pensare a nulla, quando la sua attenzione era stata catturata da una stella che faceva capolino da una nebulosa di spazio ageminato. Si era allora lasciato rapire dallo sguardo, che finalmente aveva davvero oltrepassato il vetro, senza soffermarsi più su quella piccola, insulsa linea frastagliata al margine del suo campo visivo.

Non aveva avuto grande simpatia per i suoi ultimi compagni di viaggio, lo avevano perlopiù lasciato freddo. Nessuna donna abbastanza carina da scuoterlo o perturbarlo; beh, meno dolori, meno stress, lui era fatto così. Sin da piccolo gli era sempre piaciuto stare al chiuso, un poco riparato, o almeno lontano dalla ribalta, tuttavia non si era mai sentito apertamente pavido: si era arruolato e aveva servito la Federazione senza tentennamenti, per non dire che era stato impeccabile, talvolta pure ardito, però solo sempre su un’astronave. Le guerre nella marina aerospaziale si combattono furiosamente, ma senza mai guardare in faccia il nemico.

A lui non interessava granché guardare nessuno. Nemmeno la bella ragazza dello spaccio ufficiali, quella che indossava sempre un sorriso finto che non avrebbe mai ingannato una donna, ma che faceva lievitare gli acquisti di ogni tenente o capitano lontano da casa. Con lui era inutile, era semplicemente lontano da tutto; aveva sempre dovuto forzarsi per aprirsi e ora gli toccava di morire per una minuscola fessura nella sua corazza. 

Dovevano essere morti quasi tutti, quelli dell’astronave madre, anche se molte capsule come la sua erano riuscite a partire, espulse come spore un momento prima dell’esplosione. Un riflesso incondizionato, un istinto di sopravvivenza poco razionale: si trovavano in un territorio teoricamente nemico, effettivamente disabitato, naturalmente ostile alla vita. Le sue poche, illusorie speranze di arrivare tanto lontano da potersi salvare erano già svanite grazie a quel piccolo incidente, gli restava solo il dono di poter morire affondando nel silenzio, lontano dalle urla, dalle sirene d’allarme, dalle vampe di fuoco. 

Quando era sulla nave e gli mancava la Terra, pensava alle mosche, alla puzza di polvere, agli incontri infausti, a tutte quelle cose che nell’ambiente asettico che si era scelto gli erano precluse. Ora questo giochino non funzionava più, quanto tempo sprecato a disprezzare; ora gli sarebbe piaciuto tutto. 

Che sciocco che era stato a imbarcarsi. Che sciocco che era stato a stancarsi di lei.

Da allora, malgrado l’apparente cordialità, la sua capacità di provare tenerezza era andata deteriorandosi, come una malattia che fa cascare la pelle risparmiando mala pena il viso e le mani.

Pensò a quel suo sorriso timido, magari lezioso, chi lo saprà mai, ma riusciva ancora a farlo con naturalezza dopo tanti anni, scostando gli occhi di lato e abbassando le palpebre. Disegnò nella sua mente quell’immagine animata. Quello era l’unico sorriso che gli fosse mai interessato contemplare; di interpretarlo nemmeno a pensarci, pura bellezza, come un astro che esce da una nebulosa ageminata.

Riuscì a far si che fosse il suo ultimo pensiero, e così la vita parve addirittura una vittoria al pover’uomo, quando fu sorpreso dal rumore di proiettile dello schianto del vetro.

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1 commento »

  1. Racconto intenso, che delinea a poco a poco i contorni della storia. Avvolgenti le descrizioni.
    A gusto puramente personale, quindi entra in gioco la soggettività, avrei preferito una chiusura in altro modo, che non coinvolgesse le dinamiche del ricordo di una persona, come spesso avviene.

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