Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2024 “Un’inutile fuga” di Andrea Turro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Un uomo, una sera d’inverno, passeggiava per le vie di un borgo medievale. Indossava un lungo mantello nero che lo copriva dal freddo glaciale e sopra il capo portava un vecchio cappello di lana che gli scaldava le orecchie a sventola. L’uomo, nonostante avesse questo pesante tessuto foderato e rivestito, stava soffrendo, come un vagabondo o come un pellegrino, perso, perduto, vinto per le strette vie nebulose di una città labirintica, in cerca di che mangiare, battendo i denti gialli e sollevando le mani al cielo con le unghie sporche di fango. Quest’uomo non era quel tipo di pellegrino o vagabondo che voi immaginavate. Lui non aveva fame, nel senso di dover mettere in pancia qualcosa di caldo. Non aveva sete, nel senso stretto della parola. Lui aveva fame e sete di evadere dal quieto vivere di una lussureggiante dimora. Era stanco di vivere sempre e solo la solita noiosa giornata. Aveva bisogno di fuggire, di viaggiare come il vagabondo o il pellegrino, di fare nuove esperienze, di superare finalmente quel confine, che l’educazione, la morale, l’opinione altrui, i pregiudizi l’avevano sempre frenato nel farlo. Ingabbiandolo in quelle quattro mura di ardesia. Era pronto, era grande, aveva la conoscenza e l’età per poterlo fare. Perciò, quella sera d’inverno con la nebbia fitta che arrivava fin sopra i tetti e oltre l’alta cupola della chiesa, dal clima freddo e umido, partì alla ricerca di ventura come un cavaliere errante fa nei romanzi cavallereschi. L’uomo iniziò il suo cammino quando, una volta mosso i primi passi fuori casa, si accorse che a questo punto si presentava già il primo grosso problema: “Il cavallo! Maledizione! Il cavallo! Come faccio a sentirmi un cavaliere se non ho nemmeno il mezzo animale da cui prendo il nome? Sarebbe come dire che sono un panettiere senza aver il mio forno con cui fare il pane! Oppure come il falegname senza la sua ascia con cui taglia la legna! Orsù, dunque. Dove e come posso procurarmi un valido palafreno? Mah. Che Dio mi assista in questo viaggio e prego nella divina provvidenza che mi conduca nella giusta direzione. E quindi inizierò camminando, non so per dove, ma sicuramente verso quella via che mi sembra buia e tenebrosa senza luce né rassicuranti bagliori. Questo ho deciso. Così ho scritto il mio destino, così vuole il mio senso d’avventura!”.

Era l’inizio più tragico e allo stesso tempo comico che mai potesse succedere ad un moderno cavaliere. Purtroppo per lui questo era solo che l’inizio e già non si preannunciava niente di buono per lui.

L’uomo, passo dopo passo, sentì dei brividi corrergli lungo la schiena ricurva. Affannosamente tentò di superare l’inconveniente ricacciandosi la giacca e la maglia dentro i pantaloni dell’armatura, ma non era da lì che colpiva il freddo. Allora alzò il bavero del cappotto e subito legandosi a più e più giri la sciarpa nobiliare intorno al collo capì dopo questi gesti che era quello il punto debole della sua copertura contro il gelo della sera. Nervoso sul da farsi e di come ottenere “il cavallo” decise ugualmente di partire verso terre lontane e posti inesplorati, verso foreste selvagge e mondi disabitati dove la mano oscura dell’umanità ancora non aveva distrutto quell’idillio di paradiso terrestre che credeva di trovare.

Vagò per ore, minuti e interminabili secondi con in bocca la sua inseparabile pipa di radica, e nemmeno si rese conto, da quanto era spessa e onnipresente questa nebbia, che era uscito dal borgo familiare e che ora camminava alla volta di territori grigi, inospitali; finché non vide da lontano arrivargli incontro due enormi occhi gialli dalla cui bocca sorridente usciva fumo bianco e nero, il quale emanava tetri e spaventosi rumori metallici. Purtroppo, la nebbia non diede modo al “quasi cavaliere” di capire né comprendere che bestia potesse mai essere. Di sicuro non gli ricordava i draghi o i giganti, che aveva letto e studiato nei suoi libri. Gli sembrarono gli occhi di una belva demoniaca enorme. L’uomo non temeva, nonostante l’apparente superiorità di grandezza del mostro, d’affrontarlo. Era l’occasione per la sua iniziazione per essere acclamato come l’eroe, il paladino del popolo. Era pronto come un valido, intrepido e coraggioso cavaliere che si prestava ad uccidere senza pietà la dannata fiera dantesca. Peccato però che non appena l’aspirante cavaliere provò ad estrare dal fodero la lunga spada a doppia lama osannata da lui col nome di “Orleans”, s’accorse d’averla lasciata incustodita sulla porta di casa e di aver con sé solo un piccolo arco di legno con due frecce malconce…Triste e ormai rassegnato ad una indegna morte, l’uomo attese che la famelica belva gli si avvicinasse e se lo mangiasse in un sol boccone. Ma niente di tutto ciò, nessuna bestia, belva, fiera o mostro era quella sagoma avvolta dalla nebbia. Ora che il signore aprì meglio gli occhi capì essere la forma di un automezzo agricolo enorme, possente, di color rosso e grigio, con cabina annessa e quattro ruote motrici alte quanto lui stesso.

“Impressionante il suo cavallo, signor contadino!” disse l’uomo col mantello e armatura argentata salutando il buon uomo che si fermò dinnanzi a lui per capire se stesse chiedendo aiuto o se fosse lì per perdersi nei campi duri, aridi: neri come il carbone.

“Come mai da queste parti, signore? Vi siete smarrito per caso?” domandò il contadino con un cappello di lana calato fin sotto le orecchie aprendo lo sportello del suo potente mezzo.

“Sono ore che son partito dalla mia illustre dimora cittadina e in tutto questo mio camminare non mi sono nemmeno reso conto di dove sono finito… Per l’appunto, gentile servitore della terra, dove mi trovo?”

Il contadino sorrise gentilmente allo straniero pensando però “Che gran maleducato chiamarmi: servitore, chi diavolo crede di essere questo pazzo vestito di nero a quest’ora d’inverno?”

“Si trova ai confini della provincia nel paese di Rocca di Roscopello, signore”. Rispose l’operario della terra spegnendo momentaneamente il mezzo agricolo.

“Pensavo solo a inseguire il mio sogno d’avventura e alla necessità di trovare un valido e baldo palafreno. Inoltre, solo ora, mi sono accorto d’aver perduto o forse è più corretto dire “dimenticato” la mia fida compagna Orleans”.

Il contadino si mise a ridere di gusto, divertito dal tono e dall’espressività con cui si metteva a recitare, più che a parlare, quell’uomo buffo coperto dal mantello e con in mano la pipa ormai consumata.

Non capiva se stesse parlando sul serio o se lo stesse prendendo in giro. Ugualmente decise di ascoltarlo ancora un poco prima di proseguire lungo il viale sabbioso.

“Lei è un gran villano ridere così di fronte a me senza ritegno facendo vedere quei denti sporchi, mal sani e cariati! Si dovrebbe far vedere dal dottore prima che perda tutti i denti! Poi come farebbe a mangiare senza denti?”

“Lei è davvero divertente signore…” disse ridendo l’agricolo socchiudendo gli occhi. “Sembra quasi che sia venuto da una terra lontanissima o da un tempo passato, remoto…Deve sapere che esistono le dentiere ai nostri tempi moderni e se ho male vado dal dentista non dal dottore!”

“Ah! E questa macchina cos’è? Si direbbe un cavallo meccanico o una vacca di ferro mossa da ingranaggi!”

“Eh, sì. Da anni non usiamo più gli animali per tirare, livellare, seminare, arare, smuovere il terreno agricolo. Ora esistono questi macchinari che si chiamano: trattori! E vanno che è una meraviglia lavorando meglio e di più dell’animale”.

“È davvero comodo e accogliente più di un cavallo…” osservò l’uomo a piedi.

“A proposito, a cosa le serviva il cavallo?” domandò l’uomo seduto nel trattore gesticolando con la mano destra.

“Per fare il cavaliere errante in cerca di ventura!”

“Capisco…Anche lei è un altro di quei tizi che gli piace travestirsi come i personaggi di fumetti o rievocazioni storiche… sì, sì ho capito…Le serve un passaggio per andare nel borgo dove questa sera si festeggiano i 700 anni dalla nascita del castello del conte di Roscopello, non è così?”.

“Ma, ma sono io il conte di Roscopello! Joachim Friederich III di Poiters conte e governatore del borgo di Roscopello! Sono appena partito da lì. Come osa…”

“Ah. Quindi il vostro personaggio sarebbe questo…conte dal nome lunghissimo? Bah, mi sembra così anacronistico…Ma dopotutto è una rievocazione storica quindi…” commentò l’agricolo alzando spallucce non capendo: questa festività per lui inutile, come il fatto di mascherarsi con i panni di un personaggio immaginario, non capendo poi che l’uomo incontrato gli stava parlando seriamente. Stava d’avvero cercando in tutti i modi di poter vivere quest’esperienza come un vagabondo, anzi: come un cavaliere fuggendo verso la libertà.

“Che vuole fare signor conte? Sale a bordo e l’accompagno alla festa medievale o preferisce arrivarci a piedi come un viandante in questo mare di nebbia?”

La fitta nebbia iniziò ad annebbiare la mente del conte a prendere possesso del suo corpo rendendolo invisibile e sparendo via come un fantasma, evaporando in quel fumo bianco nebuloso che tutto avvolgeva e che tutto nascondeva, sotto il suo fitto strato di vapore. 

“Sveglia!” urlò una voce autoritaria maschile sbattendo il manuale di letteratura sul banco dell’alunno intransigente seduto in ultima fila, che si era appisolato durante la noiosa, solita lezione dell’insegnante.

L’alunno, sorpreso e svegliandosi di soprassalto come se gli fosse esplosa una granata sotto il suo naso, per alcuni attimi diventò sordo e mentre incominciava a riprendere coscienza della vista e dell’udito da poco traumatizzati; in lontananza vide diradarsi la nebbia, l’oscurità della notte e l’illusione di una fuga inutile per lasciar posto all’aula di scuola coi banchi, le sedie e la luce solare del giorno che filtrava dalle tende di poliestere gialle facendolo ritornare con i piedi per terra, in questa realtà fatta di solitudine.

“Chi dorme non piglia pesci! E se si riaddormenta di nuovo alla mia lezione di letteratura medievale le giuro, signor Leoni, che all’esame sarò come una spina nel fianco per lei! E questo vale per tutti. Sono stato sufficientemente chiaro?” Concluse il rimprovero il docente osservando dagli spessi occhiali in metallo uno ad uno i visi dei suoi cari studenti.

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