Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “A me gli occhi” di Monica Gizzi (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

 “Questa è la notte più magica dell’anno”- mi disse il nonno dopo aver spento l’interruttore della piccola abat-jour a forma di sfera color sabbia posata sul comodino accanto al letto. E così dicendo mi sfiorava un punto, più o meno messo al centro della mia fronte, con movimenti circolari in punta di ruvide dita della sua mano destra. Prima che le facesse rotolare via, gliele afferrai e gliele strinsi un istante, per quel che potevo; era il mio modo per dirgli: ”Non andartene ancora!”.

“Cosa vuol dire magica?”- chiesi al nonno cercando di trattenerlo ancora per un po’, seduto accanto a me sul letto. Mi fece un sorriso che racchiudeva frasi che non pronunciò, ma io immaginai che le invisibili vibrazioni delle sue labbra avrebbero voluto soffiare parole dietro al dito che si era portato dritto come una sbarra alzata incrociando la bocca, tenuta chiusa. E puntando poi  quel dito indice verso la sagoma tonda della luna piena che si intravedeva attraverso le tende color avorio della finestra davanti al mio letto, mi disse:

”Guarda quanto è bella la luna questa sera, è un cerchio perfetto ed è scesa proprio a spiarci tra le tende”.

“Nonno,”- domandai incuriosito- “mi racconti una storia magica?”. Il nonno cominciò a fissare la luna per qualche secondo senza dire una parola, sembrava ascoltare una voce lontana che gli suggeriva quello che stava per raccontarmi. Alzò gli occhi al soffitto e, dopo aver fatto passare attraverso le narici del suo naso a patata tanta aria rumorosa quanta gliene serviva per raccogliere i suoi pensieri, solo allora fece un gran sospiro e una volta abbassato il petto, cominciò a parlare.

“Devi sapere che tanto tempo fa vivevano in un paese a forma di conchiglia solo persone felici e lì tutto era perfetto. Soffiava sempre un vento leggero che scioglieva i nodi ai capelli di tutti gli abitanti, così i loro pensieri erano sempre freschi e puliti. E quando parlavano tra di loro, uscivano dalle loro bocche dei fiori di gelsomino così odorosi che ognuno si fermava a contemplarli con meraviglia. E nessuno sapeva cosa fosse la rabbia, l’invidia o il dolore perché ognuno si specchiava negli occhi dell’altro e vedeva solo prati e giardini fioriti che si moltiplicavano negli sguardi puri, accompagnati da parole cristalline. Non esistevano gli orologi, il Tempo arrivava solo quando veniva chiamato. Sembra che soltanto uno, in tutto il paese, si vantava di saperlo davvero fare. Questo strano personaggio che tutti chiamavano Fiatone lo Strambone, viveva dentro il tronco cavo di una quercia, squarciato da una lunga e secca crepa a forma di occhio capovolto; l’albero non aveva foglie ma solo lunghi rami cadenti fin davanti alle sue radici che fuoriuscivano dalla terra come grossi artigli di una tigre. Nessuno si avvicinava mai troppo perché lo Strambone, quando respirava, aveva un fiatone così forte capace di scompigliare i capelli di tutti i ficcanaso che provavano a mettere la testa dentro la finestrella a forma di occhio capovolto scolpito sulla corteccia della quercia; Strambone era rispettato come un vecchio saggio ma il suo volto doveva rimanere nascosto a chiunque, altrimenti tutto si sarebbe capovolto nel paese di Senzatempo.

Un giorno però, accadde che il più giovane degli abitanti di nome Ercolino, un bel bambino di tre anni dai capelli biondo ramati e con un occhio di colore castano e uno verde, andò alla fontana Risplendente senza sapere che alle sue spalle c’era il grande albero di quercia dove viveva lo Strambone.  Ercolino si divertiva a sentire il rumore della corrente dell’acqua che scorreva lungo la fessura tra due pietre e, congiungendo le sue mani a piccola conca arrotondata, la raccoglieva e poi di colpo la gettava ai suoi piedi. Alle sue spalle, Strambone, incuriosito dallo sciacquio continuo che Ercolino musicava con le mani, si affacciò dalla finestrella della quercia a forma d’occhio e gli venne una gran voglia di bere. Non potendo farsi vedere in volto, domandò con il suo vocione ad Ercolino:

“ Ho sete, portami da bere, ma non girarti a guardarmi per nessun motivo!”.

Ercolino fu avvolto da un vento caldo ma potente sin dalla prima parola detta dallo Strambone alle sue spalle. Il piccolo si prese un grosso spavento e si sentì sollevare un po’ nell’aria. Per evitare di farsi male, Ercolino, al momento dell’atterraggio, si coricò su un fianco e per sbaglio, confondendo la destra con la sinistra,  si voltò proprio di fronte allo Strambone. Questo, subito si accucciò all’interno del tronco vuoto dell’albero e fece tuonare tutta la rabbia che aveva in gola:

” Stai attento moccioso a quello che fai! Chiunque mi guarderà in volto, perderà la sua immagine e io prenderò il suo posto mentre verrà rinchiuso dentro la quercia: gli  lascerò solo il suono della sua voce. E continuò:

“Se  io non potessi più guardare il Tempo con occhi luminosi e puri, il mio sguardo inizierebbe a distruggere un po’ alla volta tutto quello su cui si poserà!”.

Ercolino rimase bloccato nella posizione in cui era caduto e coprendosi gli occhi con le mani disse balbettando:

“Non ho mai sentito parlare del Tempo. Puoi spiegarmi che cos’è?”.

Lo Strambone si innervosì per la domanda curiosa di Ercolino e cercò di trovare le parole giuste per spiegarglielo cominciando così:

“Il Tempo dà la forma a tutto quello che esiste e poi lo fa sparire nel nulla come una magia!”. Ercolino allora chiese allo Strambone:

”E dove va a finire tutto quello che scompare?”

Lo Strambone, nascosto dentro alla quercia, iniziava a irritarsi per le domande di Ercolino. Fece silenzio per un po’ e poco dopo l’albero cominciò a far oscillare i rami secchi; dal varco della corteccia fuoriusciva il respiro minaccioso di Strambone che spostò con forza il corpo di Ercolino . Il bambino diventava sempre più leggero e quasi come una piuma si sollevava in aria e poi ricadeva giù: ogni volta che una qualunque parte del suo corpo toccava terra, si ammaccava come se lo Strambone avesse preso a grosse cucchiaiate la sua carne per nutrirsene un po’. Ercolino iniziò a sorprendersi di come le sue gambe diventavano trasparenti alla sua vista e, se provava a  tastarsele con le mani, trovava un vuoto in cui le forme del suo corpo si erano d’incanto volatilizzate; un po’ alla volta scomparve tutto quanto e si sentì sospingere da una forza potente verso l’interno della quercia. Riusciva solo a mantenere viva la sua voce ma Strambone coprì con un grosso pezzo di legno anche la fessura del tronco e con una pietra appuntita ci scrisse sopra:

“Da oggi, nemmeno qui, abita più il tempo!”.

Quando Ercolino capì di essere stato sigillato dentro la quercia, iniziò a piangere e a urlare forte ma nessuno lo poteva udire. Sua mamma si affacciò dalla finestra di casa, poco lontana dalla fontana e cominciò a chiamarlo a voce piena:

”Ercolino dove sei? Torna a casa subito!”. Ercolino riusciva a sentire sua madre ma soffriva per la distanza che lo teneva separato da lei. Strambone, intanto, aveva preso la forma apparente del corpo di Ercolino e ansimava così forte che dopo uno starnuto, spostò una massa d’aria enorme tanto che il cielo iniziò ad ingrigirsi di colpo e, dopo un po’, lampi e fulmini scesero  a minacciare la tranquillità che fino a poco prima aveva regnato nel paese.

Tutti gli abitanti lo sentirono, questo rumore fisso che faceva scricchiolare i tetti delle case senza mai più fermarsi, né di giorno e né di notte. Il gallo cominciò a cantare sempre e solo di notte e tutti pensarono che il mondo si fosse d’improvviso rovesciato. La mamma disperata cominciò a cercare Ercolino sotto la pioggia  e lo chiamava ad alta voce:

“Ercolino vieni fuori, dove ti sei nascosto?”- lo supplicava mentre si avvicinava all’albero di quercia. Quando giunse vicino alla fontana Risplendente, trovò Ercolino,  seduto su un masso e gli corse incontro.

“Ah sei qui, ero così preoccupata per te. Torniamo a casa subito o ci verrà un accidente!”-  diceva la mamma a Ercolino che però rimaneva immobile e zitto. Il suo sguardo era opaco come se una luce grigia fosse scesa tutta attorno ai suoi occhi.

“Perché non dici niente? Non ti riconosco più!”- diceva la mamma a Ercolino accarezzandogli la fronte. Quello che sembrava Ercolino, rimaneva fermo e indifferente davanti a tutto ciò che i suoi occhi vedevano. La mamma se lo portò verso di sé e una volta stretto al petto, lo sentì freddo come un ghiacciolo ed ebbe la sensazione di  avere rotto il cuore in due. E cominciò a soffrire di un male profondo ovunque nel suo corpo, a tal punto che cominciò a piangere senza mai fermarsi. Sempre più disperata e senza sapere perché, si avvicinò al tronco della quercia e lì, sopra le radici sporgenti, si lasciò cadere. Le lacrime, assieme alla pioggia che continuava a cadere, bagnarono le radici dell’albero e un po’ alla volta anche la quercia, con dentro il vero Ercolino, sembrava commuoversi: dalle rughe della crepa a forma di occhio chiuso dal pezzo di legno messo dallo Strambone, trasudarono goccioline ambrate di resina che scesero fino a terra. La fontana Risplendente cominciò a far sgorgare tanta più acqua che bagnò tutta la terra intorno. Il paese di Senzatempo si stava allagando e tutti gli abitanti del paese erano giunti vicino alla fontana per cercare di bloccare il flusso di acqua che, impetuoso, fuoriusciva dalla fessura tra le due pietre. Tutti videro che a fior d’acqua galleggiavano ovunque tante piccole gocce oleose di resina cadute dal tronco crepato della quercia: queste si erano trasformate in tanti occhi vivi di luce e guardavano ogni persona che si specchiava nel loro sguardo, senza giudizio. L’acqua continuava a salire ed era giunta sino alle  ginocchia della mamma di Ercolino. Anche lei si accorse di tutti questi occhi vaganti sulla superficie dell’acqua che, come tante zattere di salvataggio, accoglievano solo quelli dallo sguardo puro e innocente e li guidavano in salvo verso i rami della quercia. Il finto Ercolino scomparve nel nulla mentre quello vero cominciò a urlare a squarciagola dal dentro della quercia:

“Mamma sono qui, fammi uscire!”. Il pezzo di legno che chiudeva la fessura sul tronco cadde e ne uscì Ercolino in carne e ossa. Abbracciò forte sua madre e i loro cuori rotti si riunirono, saldandosi uno all’altro senza più alcun dolore; la ferita sulla quercia si richiuse per magia e dai suoi rami spuntarono foglie e frutti di ogni specie e colore, offerti dalla natura a tutti gli abitanti tratti in salvo”.

Il nonno terminò così la sua storia guardandomi negli occhi e io caddi dentro ai suoi, in un presente senza tempo.   

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