Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “L’uomo vestito di nero” di Laura Losio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

A mio figlio

Al suo odio per i libri,

al suo amore per le storie.

Non voleva che la sua vita fosse giudicata ordinaria

Fino ad allora, le giornate, le settimane, i mesi … si erano scritti e cancellati come parole sulla lavagna del filosofo giramondo Sandemar.

Quando la fine è più vicina, tuttavia, si vorrebbe rileggere ciò che abbiamo scritto,  apportare correzioni, dare un senso diverso alla storia.

Così, preso il bagaglio più leggero che potesse portare (quando si hanno già molti anni sulle spalle, non serve che il bagaglio sia pesante) si mise in viaggio. 

Da tempo sapeva che i viaggi danno un senso diverso alla Storia. I viaggi per necessità spingono all’incontro,  i viaggi per piacere portano alla conoscenza. 

Arrivò dunque ,  dove aveva sempre voluto andare. Vide tutto ciò che aveva sempre desiderato vedere, incontrò la gente, fece conoscenza. 

Gli incontri ci cambiano, inevitabilmente producono mutamenti fuori e dentro le coscienze. 

Tra tutti gli incontri, uno in particolare lo cambiò. 

Era a Parigi (o forse no, ma c’era una torre che gliela ricordava). C’erano persone di vario colore, segno che,  lì, un incontro, in qualche modo, era avvenuto. Le bombe non cadevano, ma di certo vi erano cadute: non esistono luoghi sulla terra dove non ne siano cadute. Le bombe cadono dove ci sono uomini a sganciarle e altri uomini da colpire.

Assorto nelle sue riflessioni, lo sguardo opaco dei suoi occhi non ancora stanchi fu attratto da un uomo vestito di nero. 

Aveva anni sulle spalle, e il bagaglio interiore dell’esperienza; perciò, girava il mondo portando con sé soltanto il peso delle sue scarpe. E un foglietto ingiallito, su cui chiunque, nella lingua che conosceva, poteva leggerne la storia. In breve, si capisce. Tutti sanno che la storia di una vita non si può riassumere; eppure, essa riesce a racchiudere la propria essenza in poche ma significative parole.

L’amore possa albergare in te che leggi. Sono in viaggio da tanti anni, non ho legami, se non quelli dei lacci che stringono le mie scarpe. Cerco, nella libertà, il segreto della mia perfezione; lo cerco nella bontà fragrante del pane e nel refrigerio generoso dell’acqua che disseta.”

Dopo essere sbarcato sulle coste dell’Italia, percorsa tutta la Penisola, l’uomo vestito di nero aveva valicato le Alpi, e andando su, verso Nord, si era spinto fino alla città Capitale.

Sentiva che quello era il posto in cui si doveva fermare.

Lì,  un bambino – tutti lo chiamavano Marcel – aveva letto per primo il bigliettino ingiallito che l’uomo gli porgeva. Quindi, decise di adoperare i suoi pochi spiccioli per comprare una baguette e dell’acqua da donare al bizzarro personaggio.

Felice, dipinto sul volto il sorriso più autentico con cui potesse ricambiare il gradito regalo, l’uomo in nero aveva spezzato il pane e versato l’acqua in parti uguali dentro due ciotole di legno, sbucate da chissadove.

Dopo aver mangiato e bevuto, il bambino che tutti chiamavano Marcel ricordò di chiamarsi Mohammed, ricordò le sue origini.

C’era un grande, immenso deserto nella sua memoria. La sabbia gialla e fine gli solleticava i piedi. Era più piccolo, allora, nel suo sogno ad occhi aperti. Non aveva nulla; tuttavia, si sentiva padrone del mondo intero, perché calpestava il suolo della sua Terra.

Ecco: ora strisciava come un serpente, muovendosi circospetto, stava immobile, in agguato, col suo pugnale d’osso stretto nella mano destra, pronto per la caccia. Ed ora, seduto accanto al fuoco, la notte illuminata dal vivido bagliore della brace, ascoltava gli anziani: narravano storie di guerrieri, di danze propiziatorie, di principi orgogliosi e donne dal ventre caldo di madri, narravano di animali selvatici e focacce di sorgo, di un tempo in cui non esistevano  né barconi né catene.

Mohammed (che nella sua nuova vita si chiamò Marcel) era partito, un giorno, a bordo di un barcone (chi ne avesse visto le dimensioni,  non avrebbe creduto che potessero prendervi posto 7 uomini e 6 donne, due delle quali in attesa di partorire altrettanti Mohammed – Marcel).

Con lui, ne partirono altri cento, forse mille, su improvvisati mezzi di fortuna (o sfortuna,  a seconda del capriccio del Mediterraneo) … corpi e anime, così vicini e pigiati l’un l’altro, che era impossibile non respirare il reciproco dolore.

Il naufragio, la salvezza: relitti umani, tratti a riva come assi di un galeone. Suore in bianco, angeli in camice verde che li restituivano alla coscienza, dopo un viaggio nell’inconsapevolezza, oltre che fra le onde.

-Mangia il tuo pane, Marcel … – aveva detto, d’un tratto, l’uomo vestito di nero, costringendo il bambino a tornare in sé. 

-Credi che potrei diventare un dottore? Vorrei salvare le persone, specialmente quelle per cui tutti pensano che non ci sia più nulla da fare… –

Il vagabondo chiuse gli occhi e annuì, soddisfatto: – Hai trovato la tua perfezione; ed io posso riprendere il cammino! –

Il secondo incontro dell’uomo vestito di nero fu, appunto, con un vecchio: non voleva che la sua vita fosse giudicata ordinaria. Così era partito. Percorsa tutta la Penisola, aveva valicato le Alpi, e andando su, verso Nord, si era spinto fino alla città Capitale.

Sentiva che quello era il posto in cui si doveva fermare. Quello era il luogo di una riconciliazione. 

Fu proprio lì che lesse le parole sul foglio ingiallito,  comprendendo come mai prima quanto possano essere potenti.

-Ho incontrato un ragazzo.  Anche lui, come te, mi ha offerto del pane e dell’acqua, e ha conosciuto la sua perfezione. 

-Esiste la perfezione? – chiese stupito il vecchio, che non ci aveva mai creduto. 

L’uomo in nero sorrise sotto i baffi (anche se non aveva baffi).

-Ognuno ha la sua. Qualcuno la trova, molti la vanno cercando, ma quando la trovano, non sanno riconoscerla.

– Ciò è triste. – Concluse il vecchio,  pensando che, forse,  lui era tra i molti che non l’avevano riconosciuta. Quindi, aggiunse: 

– Desidero ripercorre i passi già segnati, perché so di aver smarrito qualcosa, ma non so di cosa si tratti. 

L’uomo vestito di nero annuì compiaciuto, e si pose in ascolto.

C’era un bambino a cui piacevano le storie. Fin da molto piccolo ne aveva ascoltate e vissute tante. Era stato il capitano di una baleniera, all’inseguimento di un vorace mostro degli abissi; poi giù, nel ventre della terra  alla scoperta di mondi sconosciuti. Aveva vissuto nella giungla, con un orso per amico e una pantera come precettore. Aveva abitato nel Paese dei balocchi e in quello delle meraviglie. Lungo una strada di mattoni gialli, in compagnia di un uomo di latta, uno spaventapasseri e un leone codardo, si era diretto verso Oz, per farsi indicare da un finto mago la via di casa. Per sette anni, si era fermato in Tibet; aveva incontrato l’Imperatore del Catai; era arrivato persino sulla Luna a cavallo di un ippogrifo. Ovunque, lo aveva condotto, aprendo un libro, la voce di sua madre.

-Dove vuoi andare, stasera? – gli diceva – C’è un’isola, nell’oceano, dove i pirati hanno nascosto un tesoro… 

-Mi ci porti,  mamma?

-Certamente. 

I viaggi sembrava non finissero mai. E non sarebbero mai finiti, se lei gli fosse rimasta accanto.  A volte, però,  le mamme devono partire da sole.

Non avevano neppure potuto salutarsi. O forse, lei lo aveva fatto, ma il bambino non aveva inteso o non aveva voluto.

Fu così che, dopo aver ascoltato e vissuto tante storie meravigliose, non ebbe più accesso al giardino fantastico che si apre dietro la copertina di ogni libro. Temeva di perdersi, entrando senza la mamma in quel giardino.

Eppure, anche restando al di fuori, ugualmente, si era smarrito. Lo comprese quel giorno, ormai diventato vecchio, dopo aver vissuto senza le parole che avevano reso magica la sua breve infanzia. Si sentì nuovamente piccolo e solo, come quando sua madre era dovuta partire. Si sentì un microscopico puntino in mezzo al bianco sconcertante di una pagina.

L’uomo vestito di nero scuoteva impercettibilmente la testa. Aveva un’espressione talmente affranta da spezzare il cuore.  Il bianco dei suoi occhi rifletteva la sofferenza dell’interlocutore.

-Nessun bambino dovrebbe crescere senza la madre accanto. La madre è tutto. Pianta e nutre, sprona e protegge. Ascolta, racconta, piange e sorride, bacia e ammonisce.  È vero, è dovuta partire. Ma prima di andarsene, ti ha lasciato gli indizi per trovare il tesoro della tua perfezione.

Così dicendo,  l’uomo in nero porse al vecchio un taccuino e una penna, sbucati da chissadove.

-Ho sempre desiderato scrivere. Volevo diventare scrittore, regalare agli altri storie meravigliose,  come quelle che lei aveva dato a me. Ormai, però, sono troppo vecchio per incominciare. 

-Hai cominciato tempo fa. I giorni non ordinari che compongono la tua storia sono le pagine del libro che scriverai.

In quel momento, il vecchio comprese di aver trovato la sua perfezione. Avrebbe trasformato in racconti tutte le storie che, gelosamente, custodiva dentro il cuore. Erano storie di partenze, di arrivi, di incontri. Erano avventure, ma anche dialoghi, sfoghi, confessioni. Perlopiù, si trattava di sogni. Ma anche di speranze, progetti, piccole e grandi rivoluzioni.

-Prima di salutarci …- chiese il vecchio all’uomo vestito di nero – … dimmi di Marcel, ti prego. La sua è la prima storia che vorrei poter raccontare.

-Prima della tua?

-Prima, sì. La mia può aspettare.

Marcel – Mohammed crebbe in fretta, come quando si ha un sogno da realizzare. Studiò alacremente e si laureò. Diventò un bravo medico, di quelli che salvano la gente senza conoscerne il nome e la provenienza.

Su una nave più solida di quella che aveva trasportato suo padre, attraversò il Mediterraneo, fece ritorno al luogo delle tende che erano appartenute alla sua gente.

C’era molto da fare laggiù, lontano dalla città Capitale. Là, i bambini non andavano a scuola, ma non ne erano felici.

Un giorn0 (il sole picchiava impietoso sulle ferite della guerra), all’ospedale da campo dove Mohammed – Marcel operava giunse una vecchia, i capelli crespi, lo sguardo obliquo della pantera. Disse al ragazzo di andarsene, che lei aveva cure per tutti i mali della tribù: non avevano bisogno di un moccioso europeo e delle sue false magie.

-Ma se hai la cura per tutti i loro mali, perché scappano? Perché affrontano il mare, un muro d’acqua, e muri di diffidenza, odio o commiserazione? –

La guaritrice pensò a lungo, prima di rispondere. Poi, capì che la risposta che cercava è in coloro che tornano, non in quelli che vanno via. Essi sono i costruttori di ponti, sono quelli che abbattono i muri.

-Mohammed, sei tu? –

Moammed – Marcel non si stupì che la vecchia signora conoscesse il suo nome. In fondo, c’erano molti Mohammed da quelle parti.

Ella disse ancora: – Marcel, sei tu? – Ciò fu davvero strano, perché non c’erano tanti Marcel da quelle parti.

-Sei tornato per noi? Sei venuto a restituire i sogni al tuo popolo? –Ecco: finalmente la riconobbe. Quella donna anziana era sua nonna, la nonna di molti Mohammed, di tanti Marcel, anche di quelli che non erano tornati.

Frugò fra le sue vesti colorate e ne trasse un cofanetto d’ebano, lucido e scuro. Dentro al cofanetto c’era un bigliettino ingiallito su cui, nella lingua antica dei suoi avi, il giovane medico colse queste parole: “L’amore possa albergare in te che leggi. Finalmente sei tornato, dopo tanti anni: non hai ancora legami; eppure, hai già tanti figli. Hai trovato il segreto della tua perfezione, fragrante come il pane e fresco come l’acqua che disseta. Partisti in catene, nel ritorno hai conquistato la Libertà.

Allora, Marcel – Mohammed e la guaritrice si abbracciarono. Fu un abbraccio caldo come la sabbia del deserto, benefico come le piogge tropicali. Così, dopo che si furono ritrovati, vissero per sempre felici e contenti: Mohammed – Marcel e la sua Africa.

Passarono alcuni anni. Poi, un giorno, sentendo che la fine del suo racconto era vicina, il vecchio si recò sulla spiaggia: aveva scelto il modo in cui se ne sarebbe andato quando l’uomo vestito di nero gli concesse di trovare la sua perfezione. Si immerse nel mare smisurato, provando un senso di infinita completezza.

E mentre veniva cancellato dalle onde, come arabeschi tracciati sulla sabbia e destinati all’oblio, prendeva vita la sua storia diventata racconto, perché, tra i modi possibili di esistere, quello davvero incancellabile è  fatto di parole.

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2 commenti »

  1. Bel racconto. Mi piace molto l idea del viaggio dipanata in così tanti modi: la ricerca della conoscenza e della verità, i viaggi della speranza e della disperazione sui barconi, il viaggio nel mondo della fantasia e della memoria, la partenza della mamma come ultimo viaggio…

  2. Grazie, adesso che la scuola è finita, mi metterò a leggere i racconti dei partecipanti. Un saluto

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