Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “La rivolta delle consonanti” di Gabriella Gera (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Osvaldo Bianco dirigeva da alcuni anni un istituto scolastico situato in un piccolo paese del Nord Italia. Era l’unica scuola del posto e comprendeva asilo, elementari e medie; i ragazzi più grandicelli, per recarsi ai licei, dovevano prendere il bus e spostarsi nei dintorni.

Osvaldo era un uomo mite all’apparenza, ma in realtà molto duro e severo, che incuteva un vero terrore nei suoi alunni e Paolino, un bimbetto paffutello di otto anni,  non faceva eccezione. Siccome insegnava nella sua classe, ogni volta che lo vedeva entrare con quel naso aquilino, lo sguardo torvo da uccellaccio e l’andatura rigida di un baccalà, gli partivano dei lunghi brividi sulla schiena e le mani cominciavano a sudare. Guardandosi in giro notava che anche per i suoi compagni era lo stesso.

Sembrava invece che Osvaldo si divertisse della situazione e non faceva nulla per metterli a proprio agio. Le mamme, del resto, lo apprezzavano, perché era un ottimo professore e in qualità di Preside mandava avanti la scuola…come nessun altro! Alla sua presenza infatti bidelli, insegnanti, tecnici e assistenti trottavano come puledri, sempre preoccupati di non compiacerlo abbastanza.

I bambini però ne avevano timore e mal lo sopportavano.

Un caldo giorno di primavera, si era a metà aprile, Osvaldo giunse in classe più burbero del solito, non gli andava bene niente.

“Matteo, non adagiarti sul banco, fila dietro la lavagna! Martina oggi hai gli occhi stralunati, vai in bagno a lavarteli! Paolino, hai la testa tra le nuvole come al solito??”

Ad un certo punto, nel bel mezzo della lezione, accadde un fatto davvero strano: la finestra accanto al banco di Paolino si aprì inspiegabilmente. Eppure non c’era un filo di vento. Osvaldo la richiuse, ma Paolino notò che il suo volto aveva assunto un pallore eccessivo.

Non appena Rosanna, una bimba molto carina con le treccine scure, fece cadere una biro dal banco, si sentì immediatamente riprendere dal maestro.

“Rosanna, per avore!”

Per avore? Si chiese Paolino, aveva sentito bene? No, probabilmente era troppo stanco e il sonno annebbiava i suoi pensieri, anzi le sue orecchie!

Osvaldo continuò la sua lezione.

“Allora, ripassiamo gli aggettivi. Righi e Sassi, cosa state acendo? Smettetela di chiacchierare!”

Eh no, pensò Paolino, ho ragione, c’è qualcosa di strano.

Quel giorno arrivò a casa, dalla mamma, trafelato e sudaticcio. L’abbracciò come sempre e le raccontò quello che era successo.

“Mamma, oggi il maestro era strano, parlava come…come…se gli mancassero le F!!”

“Cosa? – fece lei, intenta a stirare una maglietta del figlio. Era impiegata part-time in una piccola ditta vicino alla scuola. Spesso per arrotondare faceva lavoretti di sartoria in casa. –  Non capisco.”

“Sisì! Te lo giuro, non gli escono più le F!”

“Paolino, per favore, basta. Adesso mangia e poi a letto, sarai un po’ stanco.”

Il giorno successivo Paolino, che aveva pochi amici perchè era un timidone e veniva facilmente deriso dai compagni per la sua piccola statura e il fisico gracilino, era curioso di vedere se a Osvaldo mancasse ancora la F e quale fu la sua sorpresa nello scoprire che…

“Allora, bambini – disse Osvaldo, quella mattina più stralunato del solito –obbiamo ripassare la calliraìa.”

Un attimo di pausa, Paolino guardò i compagni, sembravano esterrefatti. Allora aveva sentito bene! Ma il peggio arrivò dopo.

“Unque, volevo ire… Ma ua!”

Osvaldo si coprì la bocca con le mani, fece un sospirone e si lanciò contro la porta, uscendone goffamente, per fiondarsi fuori dall’edificio.

I bambini si guardarono, stupiti, poi Luca, l’estroversone della classe, dall’ultimo banco cominciò a ridere, prima sommessamente poi sghignazzando sempre più forte;  allora si unirono anche gli altri e in pochi minuti tutta l’aula rimbombò delle risate sfrenate dei ragazzini, fino a quando non arrivò la bidella a redarguirli. Ma era sconvolta pure lei, mai le era capitato di vedere il Preside correre in quel modo, lasciando la scuola prima del tempo. Inoltre aveva quello strano modo di tenere le mani sulla bocca. Che avesse mal di denti??

Osvaldo si era rintanato nel suo piccolo appartamento, dove viveva da solo con la gattina Polda, una micia di tre anni bianca e nera, molto affettuosa.

Osvaldo, col viso terreo, si avvicinò allo specchio, tolse la mano dalla bocca, perché era ancora lì attaccata, e cercando di restare calmo, cominciò a parlare con se stesso.

“Io sono una persona normale, posso ire e are quello che volio e non succee nulla!!”

Non era possibile, che fine avevano fatto la F, la G e la D??? Esisteva un medico in grado di aiutarlo? Che tipo di  malattia rara era questa?? Poi pensò che si trattasse solo di stanchezza, domattina si sarebbe sentito bene e sarebbe passato tutto.

Andò a letto presto, ignorò alcune telefonate che lo avrebbero disturbato, e dopo una notte popolata di buffi e strani sogni, al mattino si alzò…quasi tranquillamente.

Adesso mi sento bene –  pensò – Una bella colazione e via. Ma che stupido sono stato a credere che non potessi pronunciare alcune lettere.

In verità non si sentiva del tutto sicuro di sé, quindi dopo una tazza di latte caldo accompagnata da qualche biscotto, si trascinò davanti allo specchio del bagno, si stupì del pallore delle guance e cominciò:

“Io to ene, ho omito ome un hio.”

Il cuore accelerò i suoi battiti e nel silenzio della stanza si levò alto un urlo disperato. Erano scomparse anche la S, la B, la C e la R!!! NOOOO!!

Solo alcune lettere non l’avevano abbandonato…sperò con tutto il cuore che non lo lasciassero anche…le vocali!

Nemmeno questa volta la mamma credette a Paolino, anzi si arrabbiò e lui diventò triste, si sentiva così solo, senza amici, senza un papà perché il suo non lo aveva mai conosciuto. Era sempre stata la sua mamma ad occuparsi di lui e adesso anche lei non lo capiva.

Il bimbo era nella sua stanza che stava sfogliando un giornalino, quando si aprì la finestra e…entrarono trotterellando alcune letterine. Erano una F, una G, una B, una C, una D, subito seguite  dalla R, dalla S e ora anche da una V svolazzante. Cavolino, cosa stava accadendo? pensò il bimbo.

Le letterine si distesero davanti a lui, senza più muoversi. Di lì a poco arrivò volando anche una bella N. Paolino avrebbe voluto chiamare mamma, ma era troppo arrabbiato con lei e gli venne un’idea. Provò a fare alle nuove ospiti delle domande, ma vide che queste si muovevano appena e non rispondevano.

Allora recuperò le vecchie lettere di plastica che gli avevano regalato a sei anni e le gettò sul pavimento. Riformulò quindi alcune domande, tipo: Perché ve ne siete andate? E loro si mischiarono alle altre, inanimate, e composero frasi tipo: LUI TRISTE. SIAMO STUFE oppure … SCELTO TE PERCHE’ SEI BUONO.

“Ma povero maestro, siete lettere cattive, dovete tornare da lui, come farà senza di voi?”

Ma la P, ultima arrivata, si unì alla R emettendo insieme una sonora pernacchia, non c’era verso di farle ragionare. E mettevano tristezza solo a  guardarle.

Allora Paolino ebbe un’altra grande idea. Scappò in cucina, tornò con dello zucchero a velo e lo sparse su quelle antipaticone, che in un attimo si rallegrarono e si misero a ballare. Era arrivato il momento per Paolino di parlare con la mamma…

Alle sette di sera due figure, una giovane donna dall’aria sconvolta e un bimbo pimpante ed eccitatissimo, camminavano, nel vento, in direzione della casa di Osvaldo. Arrivati lì suonarono più volte il campanello, ma prima che lui potesse avvicinarsi allo spioncino infilarono una busta sotto la porta e se ne andarono. Lui riuscì però a riconoscerli dalla finestra.

Osservò la strana busta, che si muoveva e sembrava quasi …danzare.

La mattina dopo i bambini erano in classe, convinti di avere ancora un’ora di supplenza, quando sbucò dalla porta il loro maestro. Aveva qualcosa di diverso. Non era trasandato come al solito. Aveva un’espressione…felice.

SORRIDEVA. Si, qualcosa di rarissimo per lui. Guardò i bambini, si avvicinò a ognuno di loro, regalò una carezzina sulla testa ai più birbantelli e poi si soffermò davanti al banco di Paolino.

“Cari bambini, non avete idea di come mi senta bene oggi. Prima di cominciare la lezione vorrei dire grazie a questo vostro compagno, Paolino Ferri. E’ grazie a lui che ho capito che con la rabbia non si ottiene niente e che a volte ho esagerato con voi, sono stato troppo severo. Questo non vuol dire che non dobbiate studiare però!!”

E un enorme sorriso gli si stampò sul viso.

Da quel giorno Paolino non si sentì più solo, i suoi compagni non lo isolavano più, anzi lo trattavano come un amico; ora giocavano tra di loro e …si malmenavano come tutti i bimbetti. E anche il personale della scuola sembrava più sereno e affabile.

Paolino aveva notato un luccichio negli occhi di Osvaldo quando la sua mamma andava a colloquio con lui, cosa poteva significare?

Era troppo stanco per pensarci. Gli ultimi giorni erano stati frenetici, pieni di novità e cambiamenti.

E poi…chissà.

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2 commenti »

  1. Favola molto graziosa e molto ben scritta. Una bella comicità pulita che sicuramente farà ridere a crepapelle tutti i bambini e forse farà fantasticare le mamme sul finale romantico appena accennato.

  2. Grazie Rossella, mi fa davvero piacere che ti sia piaciuta, grazie ancora!

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