Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “Mi dispiace” di Claudia Losio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Mi dispiace averlo pensato.

Non sono più abituata a viaggiare in treno. Sono stata una pendolare quando tra i viaggiatori esistevano ancora contatti e conversazioni, quando si formavano piccoli gruppi di amici, colleghi o semplicemente compagni di percorso, sempre nello stesso scompartimento, sempre negli stessi posti. Quando la mattina ci si parlava a bassa voce per non disturbare chi leggeva i quotidiani con i gomiti stretti per non invadere lo spazio del vicino. Quando la sera succedeva il contrario, tutti avevano da raccontare, si intrecciavano voci, argomenti, battute che facevano ridere anche chi era lì per caso, quando una discussione particolarmente vivace metteva in agitazione tutto lo scompartimento.

Ma questo succedeva trent’anni fa. Preistoria.

Forse puoi capire il mio turbamento quando ho sentito.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Cerco subito con lo sguardo chi, con voce chiara e lenta, sta recitando questi versi. Il tono non è alto, ma nello scompartimento regna un silenzio assoluto, impossibile non sentirti. E poi ti vedo. Poco più avanti rispetto a dove sono io. Sei seduto su un bracciolo del sedile, riesco a vedere la tua figura fino alle spalle.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

Declami e volgi lentamente il capo. Il volto è coperto dalla mascherina, ma noto il colore scuro della pelle e cerco la conferma nelle mani che muovi lentamente. Sanno di un mondo culturale, economico, sociale, religioso lontano, troppo. Comincio ad agitarmi. Non trovo il tuo sguardo che lasci vagare lungo lo scompartimento e tieni fermo sul finestrino, sul paesaggio che scorre. Pianura padana che riprende fiato dopo lo sfinimento dell’estate, ancora verdeggiante in questo fine settembre, ma noiosa, aperta, senza colli che possano creare mistero, se non infinita così vasta che non serve nemmeno scomodare l’immaginazione.

io nel pensier mi fingo, ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante io quello

infinito silenzio e questa voce

vo comparando:

Mi sento inquieta, smarrita, e non per le suggestioni del Leopardi. Chi sei? Perché stai recitando qui, ora, questa poesia? Al contrario di te non smetto un attimo di frugare con lo sguardo. La coppia orientale davanti a me dorme, lei ha il capo appoggiato alla spalla di lui che le tiene il braccio con una mano, abbandonati e protetti a vicenda. La ragazza accanto a me ha appena terminato una videochiamata con il fidanzato. Aveva le cuffie e non sentivo la voce di lui. È francese, parlava così velocemente che ho afferrato solo qualche parola qua e là, si sono salutati Je t’aime mon amour, un baiser, je t’aime, e ora appoggia la testa al finestrino con gli occhi chiusi, immersa nell’abbraccio della conversazione appena lasciata. Gli altri passeggeri che riesco a vedere sono impegnati con i loro smartphone, molti hanno gli auricolari, probabilmente ascoltano musica, altri sui social o in internet, tutti in collegamento con tutto, e indifferenti a quello che succede a un metro da loro.

Io ascolto il silenzio e sento la tua voce, ma tu quale silenzio senti? Quale voce ascolti?

e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni e la presente

e viva e il suon di lei.

I miei pensieri corrono insieme al treno e i battiti impazziti mi rimbombano nelle orecchie. Questi versi che ho sempre amato ora mi sembrano minacciosi, presagio di una sciagura imminente. A quale tempo passato e presente ti riferisci? Perché ora, su questo treno, queste persone sconosciute e indifferenti ti spingono a parlare di eternità? Vorrei poter chiedere almeno a una persona Le piace questa poesia?, e poi coinvolgerti nella conversazione, potrei confrontarmi timidamente con un altro passeggero ma soprattutto potrei capire quale pensiero di eternità ti ispirano ora questi viaggiatori assonnati e impassibili.

Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Trattengo il respiro. Sento affiorare nello sguardo, nel volto, nella postura che si irrigidisce tutto il mio smarrimento. A quale mare d’immensità vuoi abbandonarti? Ancora una volta i miei occhi cercano, frugano, e temono. Per tutto il tempo controllo le tue braccia e le tue mani con la paura di vederle aprire uno zaino o entrare in una tasca per uscirne armate e pronte a colpire. Noi. Distratti e sonnolenti. Sicuri e indifferenti. Il disagio iniziale in pochi minuti, il tempo di recitare la poesia, diventa terrore che vivo nella solitudine di uno scompartimento affollato, inchiodata al sedile, arresa ai versi e paralizzata dall’angoscia. Ma nessuna arma compare nelle tue mani. Ti alzi e abbandoni lo scompartimento, e ancora i miei occhi a controllare che non ci siano minacce sotto il giubbotto aperto.

Tutto torna in quella che appare normalità. Il treno continua la sua corsa, i passeggeri sempre affondati nei sedili e nei telefonini, io finalmente respiro appoggiata allo schienale, con la stanchezza di chi ha speso tutte le sue energie per difendersi da un pericolo incombente.

Lascio scorrere i minuti e sento la tensione che si allenta. Fortunatamente tra poco sarò arrivata.

Ti ritrovo seduto sul seggiolino di emergenza nello spazio destinato alla salita e alla discesa del treno. Lo spazio è ridotto e altri passeggeri sono già pronti a scendere, sono costretta a rimanerti accanto ancora vagamente inquieta. Lo zaino a terra è aperto e pieno di libri. Tu sei chino su un volume e leggi senza alzare mai lo sguardo. Allora sono io a posare lo sguardo sul libro che tieni tra le mani: poesie. Le poesie sono l’arma che ho tanto temuto? Improvvisamente vorrei dirti che mi dispiace. Mi dispiace aver pensato a te come a una minaccia, aver associato il colore della tua pelle a scenari terrificanti e non aver nemmeno preso in considerazione che potevi amare la cultura, i sentimenti, le emozioni. Forse volevi trasmettere le stesse emozioni, tu a noi, anestetizzati dalle immagini, diseducati allo stupore, e insegnarci l’immaginazione, la meraviglia, il bello.

Non so se è stato un caso o se a volte lo fai, di recitare a voce alta, di sicuro ora so che ami la poesia, come me.

Con la tua voce ancora nelle orecchie mi allontano e faccio i conti con la mia piccolezza.

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8 commenti »

  1. Mi piacciono i racconti ambientati sui treni perchè di per sè li trovo una metafora del viaggio, del nostro essere transitorio. Ho apprezzato questo racconto in cui un piccolo straordinario evento ci racconta qualcosa di noi stessi, come un’epifania, e ci fa riflettere, su quante volte siamo stati indifferenti o distratti davanti alla bellezza e quali conseguenze questo possa portare.

  2. Proprio così Valentina. Un viaggio in treno è anche un viaggio dentro noi stessi, un’occasione per ritrovarsi e riscoprire il bello intorno a noi. Grazie per l’apprezzamento.

  3. Profondità e delicatezza in questo racconto, così sincero e vero. Un luogo non luogo come il treno, accogliente eppure respingente, statico ma in movimento, e riflessioni universali. Molto bello, complimenti.

  4. Grazie Francesco, mi fa piacere che tu abbia colto il messaggio fra le righe e che il racconto ti sia piaciuto. Grazie per i complimenti

  5. Molto bello e ben scritto questo racconto: spontaneo, intimista, pone l’accento sull’incertezza e soprattutto sulla paura dell’altro, che ormai ci accompagnano e contaminano tutti, in maniera subdola e strisciante. Complimenti!

  6. Grazie per i complimenti Licia. Purtroppo è vero che spesso si guarda all’altro con diffidenza e sospetto. È allora che nasce l’esigenza del viaggio dentro noi stessi.

  7. Ho provato commozione nel leggere questo racconto: è molto potente l’immagine del ragazzo che regala bellezza, poesia, anche lì dove nessuno sembra interessato. Uno di quei gesti “inutili” per il nostro vivere indaffarato, impaurito, del tutto impreparato a cogliere la poesia. “Inutile” e invece denso di speranza, di fiducia che qualcosa di buono saremo ancora capaci di fare. Complimenti, davvero

  8. Grazie per i complimenti, Maria Nives. Dovremmo imparare a “vedere” non solo con gli occhi per scoprire che il bello e la poesia sono anche e soprattutto nelle piccole cose intorno a noi.

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