Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2020 “La dottoressa Giorgi” di Luigi Giuliano D’Iddio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2020

Quel misto di odore umano e disinfettante che entra di forza nelle narici ricordando il terrore adolescenziale per i camici bianchi. Un camice bianco come quello elegante, ben stirato ed indossato dalla dottoressa Giorgi appoggiata alla parete della saletta relax piegando il ginocchio destro per spingere il piede contro il muro. Il pollice della mano sinistra sfiorava i tasti del suo cellulare accoccolato nel palmo della mano destra. Sulla parete opposta Arturo, l’infermiere di turno, fingendo di essere rapito dalle pagine sportive del quotidiano, la spiava come sempre ipnotizzato da quegli occhi pieni di mare. L’ultima breve pausa condivisa prima dell’ultimo spezzone di turno al Pronto Soccorso e poi una serata calda, intensa e ansiosa per Arturo insieme al fratello Giacomo.

L’incertezza del tempo disegnava nel cielo nuvole che si divertivano a celare e poi svelare il sole nella loro corsa sulla consolare alberata. Sulla strada il traffico delle ore di punta di qualsiasi città ma in quella città ce n’era sempre di più. Alberto non amava incolonnarsi nel serpentone di macchine ma quel pomeriggio non potè rifiutarsi di accompagnare la moglie all’ultima visita di controllo. La guardava riflessa nello specchietto retrovisore mal sopportando la decisione di accomodarsi sempre sul sedile posteriore da quando aveva scoperto di aspettare il loro primo bimbo. Eccola torturarsi le pellicine delle dita della mano sinistra mentre con la destra si accarezzava il pancione.

“Dottoressa, che programmi abbiamo per stasera? Aperitivo, cinema, cenetta?”

Il silenzio che seguì era dovuto al fatto che la dottoressa ignorasse la sua presenza o perché cercava nello schermo del suo cellulare la risposta a dubbi e preoccupazioni che la attanagliavano? Si chiedeva l’infermiere raschiando dalla gola i residui del fumo della seconda sigaretta della giornata annegata nello scarico del water cinque minuti prima.

“Scusi Arturo, diceva?” 

Ah ecco, esisto, ti sei accorta che esisto dottore’, avrebbe voluto dirle ma replicò con un “Dicevo, dottoressa, suo figlio per quale squadra tifa? Stasera ci sono le coppe, appena finiamo passa a prendermi mio fratello col furgone della ditta e scappiamo allo Stadio. Lei che farà, dottoressa?”

“Arturo, ho solo una femmina che odia il calcio come la sua mamma, quindi niente coppe stasera” lo zittì abbozzando un sorriso più sarcastico che simpatico.

La sensazione di solletico al capezzolo sinistro provocato dal cellulare vibrante custodito nel taschino interno della giacca innervosì ulteriormente Alberto. A poco o nulla serviva in quel momento il volo del falco liberato dalle corde della chitarra di Pat Metheny che usciva dalle casse dell’impianto audio della monovolume. 

“Abbassa il volume Alberto che oggi sono più nauseata del solito, ti prego”

Finse di non sentirla e non si preoccupò minimamente di agire sulla manopola del volume dello stereo incastonato al centro del cruscotto.

Virginia cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore palesando ancor più fastidio ed ansia. L’anticamera dell’esplosione che Alberto non avrebbe potuto sopportare lo spinse a stringere la manopola tra indice e pollice e con un impercettibile rotazione del polso tolse qualche decibel all’abitacolo.

“Come vorrei spegnere la luce su questa giornata con la stessa facilità” pensava Alberto mentre qualche centinaio di metri più in là alla loro destra due turisti in bicicletta pedalavano inghiottendo fiato misto a gas di scarico, preoccupati dalle auto che schizzavano ovunque ai loro fianchi più che dalla salita davanti i loro occhi.

“Ehi ma cosa sta facendo quel pazzo?” urlò Hanna al suo compagno indicando un furgone che zigzagava nella colonna delle macchine che procedevano nel senso di marcia opposto a quello delle loro due ruote.

“Italiani” la teutonica risposta del suo compagno accompagnata da una smorfia di acceso disappunto

Buongiorno avvocato ieri ti ho percepito distante, assente… cosa succede?

fece scorrere lo schermo qualche millimetro per leggere

Ops scusami sarai impegnato con la Rottermaier, la tua bisbetica segretaria anche un pò bruttina devo dire, te l’ho mai detto? 🙂

Vide che tra il secondo e il terzo watsup che gli aveva spedito erano trascorse due ore di non-risposte

Oggi al PS una giornata tranquilla tranne l’infermiere con cui sono in turno che è piattamente logorroico, e tu?

Cazzo, si strillò nella mente, ma perché tutto questo silenzio? Mentre con il pollice faceva scorrere anche gli ultimi due messaggi successivi dal profilo assolutamente più forte

Ti ho mai detto che odio più essere ignorata che ricevere un no? Il quarto messaggio malcelava una minaccia ostentata nel successivo ed ultimo della carrellata, appena inviato

Mi hai decisamente rovinato la giornata Alberto te la farò pagare, CAZZO! 

L’ariaall’interno dell’abitacolo, si era dannatamente ispessita caricata dagli sbuffi nervosi di Virginia mentre ad Alberto iniziava a ballare il sopracciglio destro come sempre gli capitava gli ultimi minuti prima di entrare in aula in occasione delle udienze più ostiche. Quella che si era andata proponendo alla sua vita nelle ultime settimane era una situazione peggiore. Conteso tra la responsabilità di marito, prossimo padre di un innocente nascituro e la goliardica libertà di amante, amatore ed estimatore di episodi piccanti non riusciva a trovare le parole migliori per rendere vincente l’arringa con la propria coscienza.

L’ennesima vibrazione nel taschino lo spinse ad acciuffare il cellulare per spiare la sorgente del suo fiammante nervosismo. Goffamente, nascondendo il gesto a Virginia ignara dell’esistenza di questo telefonino clandestino, cercò di leggere i messaggi ricevuti. 

“Dai su, spingi giù quel piede o levati di torno… ma dove dovrete andare tutti quanti” sbraitava Giacomo nel furgone dopo aver mandato a quel paese due ciclisti che dalla corsia opposta lo avevano fatto indirizzo di qualcosa per lui indecifrabile ma comprensibile per le smorfie e per l’agitare di braccia che gli avevano rivolto contro.  Il verde era scattato, secondo lui, da una vita e non sopportava di vedere la sua fretta, la sua corsa fermata da poveri rincoglioniti così scartò per l’ennesima volta di lato sfiorando la fiancata di una smart e schiacciò l’acceleratore con un fastidioso stridio di gomme sull’asfalto catapultandosi verso l’enorme incrocio con la consolare. L’ultima consegna e poi via di corsa verso l’ospedale a caricare Arturo pronti per quella che desiderava diventasse una serata indimenticabile per sé e per la propria squadra del cuore.

Il sorriso abbozzato leggendo il primo dei cinque messaggi ricevuti nel corso della giornata dalla sua “dottoressa” venne cancellato da quelli successivi insieme al rosso del semaforo sotto il quale stava per transitare. L’attenzione rivolta al cellulare lo aveva indotto nell’errore di calcolo della durata dell’arancione e alle sue spalle Virginia non aveva potuto aiutarlo perché  il tetto dell’auto e i cespugli degli alberi si frapponevano tra lei e il semaforo.

Dal sedile posteriore riuscì però a scorgere la minacciosa ombra che sopraggiungeva alla sua destra quando erano oltre la metà del grosso incrocio ma il suo urlo rimase strozzato in gola insieme allo stupore nel vedere che Alberto aveva lo sguardo rivolto in basso e non alla strada.

Il bip del cercapersone interruppe fortunatamente il vortice di brutti pensieri che frullava nella testa della dottoressa “Arturo, venga, credo che l’ultimo spezzone di turno arrivi prima del previsto”

“Dottore’ speriamo di finire presto però perché devo andare allo stadio come le dicevo”

Lo sguardo di commiserazione non fu colto dall’infermiere impegnato a piegare rapidamente il quotidiano sportivo e gettarlo su un tavolino.

All’esterno si udiva l’ululato di due sirene farsi sempre più vicino mentre nel pronto soccorso tutto il personale metteva in atto le procedure previste per il codice rosso.

Nel giro di qualche minuto due lettighe piombarono all’interno del lungo corridoio dell’ospedale spinte dagli addetti alle ambulanze con i volti carichi di preoccupazione.

Stordito dalla catastrofe degli eventi, accecato dalla luce fluorescente e nauseato dagli odori alcolici che invadevano il lungo corridoio, si teneva la testa tra le mani seduto su una sedia con le rotelle. A bordo dell’ambulanza lo avevano rassicurato sulle sue condizioni, neanche un graffio ma solo un enorme spavento. Li aveva ascoltati ammutolito, confuso e terrorizzato dalle orribili conseguenze che la sua distrazione aveva provocato. 

“Dottoressa, la signora è incinta, chiamo su in maternità per una consulenza?” l’infermiera provò ad interrompere ma invano l’aspetto catalettico in cui era piombata appena aveva realizzato che la donna in codice rosso stesa sulla lettiga era in compagnia di Alberto, spinto lungo il corridoio.

“Mio fratello, ma è mio fratello! Giacomo, Giacomo!” l’urlo di Arturo invase il pronto soccorso facendo scattare una coppia di portantini verso l’infermiere per bloccarlo mentre stava per gettarsi sulla lettiga scesa dalla seconda ambulanza.

Scosso dall’urlo dell’infermiere, Alberto, allontanando il volto dalle mani, portò lo sguardo davanti a sé incrociando la donna in camice bianco. Gli dava le spalle ma non aveva alcun dubbio. Si sconvolse quando lei si voltò perché il viso della dottoressa, la sua “dottoressa”, era quello di Virginia. La mamma del suo primo bambino, quello che ancora portava in grembo. Non aveva il pancione ma sorrideva, gli sorrideva. Non era arrabbiata con lui dunque. Il piacere di questa sensazione si iniziò a propagare lungo le membra spingendolo a chiudere gli occhi e disegnare con le labbra una smorfia di serenità, di pacatezza. Lasciò cadere la testa indietro sulla parte alta dello schienale della sedia e permise al buio di avvolgerlo completamente.

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