Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2017 “La Panda gialla” di Guido de Eccher

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Franco riconobbe subito la canzone che veniva da una Panda giallina, parcheggiata in doppia fila. Era “Tanta voglia di te” dei Pooh e una storia finita tanto tempo prima irruppe nella sua mente.

Quanti anni erano passati? Dieci, quindici?

 

Anche quella macchinetta gli sembrava la stessa: possibile che Silvia ne fosse ancora proprietaria?

Si avvicinò alla Panda e sbirciò all’interno. Era quella di Silvia, non c’era dubbio: il colore, la tappezzeria, perfino il pupazzetto appeso allo specchietto, scolorito e sdrucito, ma sempre lì: tutto come quindici anni prima. Sul passaggio ruota anteriore destro c’era ancora una botta che ricordava bene: era lui alla guida, quella volta (Silvia di solito non gli faceva guidare la sua Panda). Durante un sorpasso si era distratto ed era andato a sbattere contro la fiancata di un autobus fermo.

Era sconvolto dalla prospettiva di rivederla. Da quando si erano lasciati, Franco non l’aveva più cercata; non si erano più visti, neppure per caso. Troppe parole non dette, una storia che non avrebbe dovuto nemmeno cominciare… lei così giovane, lui già di mezz’età…

Cercò di nascondersi dietro il tronco di uno dei tigli che fiancheggiavano il viale. Se l’auto era stata lasciata in doppia fila, con i finestrini aperti e la musica a tutto volume, il proprietario (Silvia?) non poteva che sbucare da un momento all’altro.

Dopo un paio di minuti (nel frattempo la canzone era terminata) da un negozio uscì un tale sui sessanta. Si avvicinò a passo rapido a un macchinone nero, stretto dalla Panda contro il marciapiede. Era molto arrabbiato: si era accorto subito di non poter ripartire. Non solo, non riusciva neppure a entrare nell’auto.

L’uomo si guardava intorno, in attesa che sopraggiungesse qualcuno. Dopo un paio di minuti s’insinuò sbuffando tra le due auto e riuscì ad aprire la portiera della sua, quel tanto da permettergli di abbassare il finestrino e dare un colpo di clacson. Non successe nulla. Dopo un altro paio di strombazzate, la sua mano non si alzò più e la tromba ululò a lungo, tanto che ben presto parecchie persone si affacciarono alle finestre e altre si fecero sulle porte dei negozi.

Finalmente, dal portone di un palazzo, una cinquantina di metri più indietro, uscì di corsa una donna. Era Silvia? Franco la ricordava alta, esile, bionda… se era lei, non era più così esile e quanto alla chioma, non era bionda ma bruna. Alta, era alta. In quei pochi secondi Franco cercò di metterne a fuoco il volto. Dov’erano i tratti scolpiti, gli zigomi rilevati, quel viso largo che si restringeva verso il mento sottile, gli occhi verdi, grandi, dotati di una particolare luminosità? Se era lei, era cambiata alquanto: il suo viso sembrava essersi arrotondato, come levigato dal tempo, e tutte le asperità che lo caratterizzavano si erano ammorbidite. Ma erano passati quindici anni!

Non ebbe il tempo di esaminarla più a fondo. Ormai lo aveva superato e aveva raggiunto la Panda. Ora si stava scusando con il signore arrabbiato. Poi salì in macchina e avviò il motore. La Panda partì. Franco la vide avanzare di un centinaio di metri, per poi accostare sulla destra. Sospirò di sollievo. La donna aveva trovato un parcheggio libero. Scese dall’auto, chiuse la portiera, si volse e tornò sui suoi passi.

Mentre si avvicinava, Franco poté osservarla meglio. Era Silvia, ora ne era sicuro, ma com’era cambiata! Si specchiò in lei e in lei vide anche il proprio cambiamento. Quindici anni erano passati, per tutt’e due, e si vedevano tutti. Lei doveva essere ormai sulla quarantina e lui… lui aveva passato da un pezzo i sessanta.

Uscì dal nascondiglio e puntò con decisione verso di lei. Portava fuseaux neri, attillati, che evidenziavano le gambe snelle, quelle di un tempo; sopra, una gonna corta, di lana arancione, che rivelava la vita non più sottile e un po’ di pancia. Sotto un giacchino rosso, aperto, il seno premeva sulla maglietta nera, più pieno di allora. Gli occhi però non erano cambiati; solo, adesso erano troppo sottolineati dal trucco pesante. Veniva avanti veloce, reggendo una borsa, lo sguardo che puntava oltre a lui, verso la casa da dove era uscita pochi attimi prima.

“Silvia, che piacere rivederti!” esclamò Franco quando fu a un paio di metri da lei.

La donna si bloccò di colpo, la fronte aggrottata, gli occhi finalmente su di lui.

“Franco, non ci credo, sei proprio tu?” gli disse, dopo averlo squadrato per qualche attimo.

La sua voce gli parve più bassa di un tempo, un poco velata.

“Come sei cambiato” aggiunse, facendo scorrere lo sguardo sul suo viso.

Stavano l’una di fronte all’altro, rigidi, impacciati. Franco avrebbe voluto abbracciarla ma non era certo che anche lei lo volesse.

“Che ci fai da queste parti?” chiese Silvia.

“Passo sempre di qui per andare in studio” le rispose Franco.

“Davvero? Io dovevo portare una cosa a un’amica ammalata. Sta in quel palazzo” disse indicando il portone. “Ma dimmi di te… come stai?”

Franco non rispose subito. Gli faceva male quello scambio di battute superficiali, come tra persone che si conoscessero appena. Eppure avevano fatto l’amore centinaia di volte, in qualche modo si erano amati e quando lei lo aveva lasciato, ne era stato straziato.

“Sto abbastanza bene, per la mia età” rispose. “E tu?”

“Non c’è male. Ti sei sposato?”.

Franco scosse la testa. No, non si era sposato. E poi, già allora era troppo vecchio.

“Invece tu?” le chiese.

“Sono stata sposata per dieci anni. Da due sono separata”.

“Con quello…”

Non riuscì a finire la frase. Allora lei stava con un ragazzo, ma aveva una storia anche con lui. Per questo non dovevano neppure cominciare.

“No, non con Renato. Quello se ne andò con un’altra sei mesi dopo che…”

“Ma pensa… allora mi dicesti che era l’uomo della tua vita…”

Silvia alzò le spalle e sul suo viso apparve una smorfia eloquente, come per dire: “Che ci vuoi fare, è la vita”.

“Ora devo andare” disse “la mia amica mi aspetta”.

“Ti va di rivederci, uno di questi giorni?” le chiese Franco, un poco incerto.

Si pentì subito di averglielo chiesto. Le parole di Silvia, tutto il suo atteggiamento, trasudavano indifferenza. Provava una spiacevole sensazione di freddo, come se una folata d’aria gelata lo avesse investito.

Silvia invece non sembrava turbata.

“Mi farebbe piacere” disse “parleremo dei vecchi tempi”.

Prese dalla borsetta un biglietto da visita e glielo porse.

“Qui c’è il mio numero. Chiamami”.

Fece per allontanarsi.

“Aspetta un momento” disse Franco “ascolti ancora quella vecchia canzone?”

“Che canzone?” chiese Silvia.

“Quella che veniva dalla tua macchina, cinque minuti fa. A proposito, la lasci sempre aperta, parcheggiata in doppia fila? Ti ricordi quella volta, l’ultima estate che stavamo insieme? Eravamo al mare, ballavamo, ascoltavamo proprio quella canzone… anche allora avevi quella Panda. Com’è che non l’hai cambiata?”

Silvia gli sorrise. Un sorriso automatico, freddo, si disse Franco.

“Mi fai troppe domande. Sembra un interrogatorio. Quanto alla Panda, bastava che quello scemo la spingesse un po’ più in là. Per quello l’avevo lasciata aperta. Per il resto, ti dirò tutto quando ci vedremo”.

Gli fece un cenno di saluto e si allontanò in fretta. Quando fu sul portone della sua amica, si volse e lo salutò ancora con il braccio alzato. Poi sparì all’interno.

Quella mattina Franco non andò allo studio. Camminò a lungo per le viuzze del centro, in preda ai ricordi. Gli pareva di rivivere quel giorno d’autunno, quando Silvia, dopo aver fatto l’amore, gli aveva detto: “Franco, non voglio più vederti”.

Il mondo gli era caduto addosso. Eppure, fin dall’inizio sapeva che non poteva durare. Lui era uno stimato ordinario di diritto del lavoro, lei una studentessa del suo corso. Si era sempre chiesto perché si fosse messa con lui e passasse quasi tutti i week end nella sua casa in campagna. Silvia era una splendida ragazza e poteva avere tutti gli uomini che voleva. Come mai proprio lui? Un capriccio, la ricerca del padre, che altro?

Era chiaro che si era stancata di lui, non c’era bisogno di cercare tante spiegazioni. Eppure allora si era fatto sorprendere come un allocco in quel letto sfatto.

Era come se fosse stato trasportato indietro nel tempo e fosse precipitato nello stesso baratro d’infelicità e di disperazione in cui si era dibattuto per mesi dopo che Silvia se n’era andata.

Si sedette al tavolino di un bar e ordinò una birra. Mise una mano in tasca. Le dita saggiarono a lungo un cartoncino che, chissà come, era finito lì. Poi, distrattamente, lo tirò fuori, lo guardò. Era il biglietto di Silvia. Se n’era dimenticato. Lo fissò a lungo.

“Dottoressa Silvia Rocca, docente di diritto, via Battisti 56, Padova. Tel. 346825439”.

Franco lo rigirò tra le dita per qualche minuto. Poi si decise e lo fece in tanti pezzettini. Li lasciò nel portacenere sul tavolino. Si alzò e si diresse verso casa.

 

 

 

 

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8 commenti »

  1. Storia di vita, storia di un amore raccontato in poche righe. Bravo

  2. Guido,

    ho apprezzato moltissimo il tuo modo di descrivere lo sprofondare di una giornata ordinaria (e di una vita ordinaria, forse) nelle spire di un passato impossibile da dimenticare.

    Fare i conti con ciò che si era, a testa alta, per migliorare ciò che saremo: uno dei compiti più ardui in assoluto.

    Il tuo racconto tratta l’argomento alla perfezione.

    Bravo.

  3. Trovo molto interessanti i racconti in cui si assiste a un vero e proprio salto temporale. 15 anni, un lasso di tempo che muta sembianze e gesti ma piccoli dettagli che restano, resistono alle separazioni. Un po’di Franco sopravvive ancora in Silvia, nel bene e nel male. Con poche pennellate sei riuscito a rendere tutto questo.

  4. Penso che ognuno di noi abbia una ‘panda gialla’ e il suo conducente nel cuore.Col tempo, ho capito che il rimpianto non è per ‘conducente’ ma per la sensazione che provavamo .Il soggetto e’ ormai svuotato di ogni splendore.Rimane la metafisica della passione, come una farfalla che corre impazzita nel prato ,e che noi vorremmo acchiappare come da bambini.Scusa tutto questo sproloquio, ma stavo pensando ….alle mie vecchie macchine.

  5. Ho letto tutto d’un fiato, con tanto desiderio di andare avanti e leggere cosa sarebbe successo. Mi è piaciuto molto, e anche il tuo stile. A volte può fare male rituffarsi nel passato.

  6. A ognuno di noi è accaduto di fermare nelle memoria le emozioni del passato, ma il tempo passa inesorabile…
    Il tuo racconto mi ha trasmesso una piacevole nostalgia.
    Bravo, Guido.

  7. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto commentare il mio racconto per i giudizi lusinghieri che hanno lasciato. Guido

  8. Mi sembra un racconto capace di toccare corde che ognuno di noi si porta dentro a modo suo. L’emozione che può provocare un incontro come quello di Franco con Silvia è una di quelle esperienze pazzesche e in un certo senso terribili che tutti, ma proprio tutti, dovrebbero provare per capire qualche cosa di più. Da leggere!

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