Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2017 “Ricordi degli anni ’90 scritti su un fazzoletto” di Vincenzo Spinelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2017

Era la mia prima volta a Napoli, nel ’90. Diego mi chiamava in continuazione e insisteva come una donna mestruata che andassi a vederlo giocare. Un giorno, stufo della sua ostinata insistenza, gli risposi male, dicendogli che avrei preferito andare a vedere il Milan, ma lui si mise a ridere, e dopo un paio di mesi in cui mi chiamava a tutte le ore del giorno della notte, accettai di andare al San Paolo, ma solo quando il Napoli avesse giocato contro il Milan. Naturalmente Diego accettò di pagarmi il viaggio aereo, il biglietto in tribuna d’onore per me e Alda Merini, vitto, alloggio e si offrì di regalarmi la compagnia di qualche amichetta di quelle che conosceva lui; nel frattempo Alda avrebbe scritto qualche poesia nell’alloggio pagato da Diego. Accettai sbuffando e lui ribattè che avrebbe segnato tre gol e io gli dissi Come no.

Non fu una partita spettacolare, anzi, stavo quasi per addormentarmi e ogni volta che mi giravo verso Alda la vedevo che si scaccolava con aria annoiata. Finì uno a uno. Dopo la partita presi in giro Maradona per la prestazione da squadra provinciale del suo Napoli, che dei tre gol promessi ne aveva segnato solo uno, manco fosse un dilettante. Ridemmo e scherzammo a lungo, poi gli dissi che avrei tanto voluto salutare Baresi, Van Basten e Gullit, non li vedevo da un po’, ma Diego telefonò a Caniggia, il quale ci raggiunse in un paio d’ore, e festeggiammo alla vita per tre giorni consecutivi senza mai dormire. Potete immaginare come. Poi facemmo due passaggi con una Super Santos e Diego mi sparò un missile terra-aria a effetto così forte che, non vedendolo nemmeno arrivare, mi prese sul naso e me lo ruppe.

Prima di partire da Napoli, passai a salutare Troisi, che era a casa di Pino Daniele e li aiutai ad arrangiare il motivetto per Pensavo fosse amore… invece era un calesse, che inizialmente era un fienile puzzolente, ma poi, per evitare censure, Massimo cambiò il fienile con un calesse. Gli dissi di usare un pezzo dei Beatles e di riarrangiarlo ma ci volevano troppi soldi per i diritti d’autore, pensai anche a Pino D’Angiò o a Baccini ma avevo perso il numero del primo perché l’avevo scritto su un pacchetto di sigarette che poi ho buttato, e Baccini da tempo mi aveva detto che le colonne sonore non erano il suo forte; scartammo l’idea Public Enemy e Beastie Boys anche se avrebbero dato un ritmo più urbano al film, ma non serviva, così alla fine decidemmo che avremmo usato Quando di Pino. Ne uscì fuori una bella robetta. Coi fiocchi.

Salutandoci, chiesi a Massimo se sarei mai diventato non tanto uno scrittore, ma uno che riesce a campare scrivendo. Lui mi rispose E che ne sacc. Lo presi come un sì, e poi partii per Los Angeles, la città degli angeli, ma non prima di una tappa a San Siro, per il concerto di Vasco, il primo in uno stadio, in Italia, e soprattutto il primo che Alda vedeva da dietro le quinte, nonostante all’epoca fosse già sulla sessantina. Si emozionò quando vide Vasco anche se poi, lui, voleva sbattersela nell’intervallo, e così portai via Alda, che però non voleva andarsene. Il giorno dopo telefonai a Vasco e mi scusai per avergli portato via Alda in quel modo. Ma ero geloso, anche se questo non lo dissi e solo alla fine delle telefonata mi accorsi che al telefono non era Vasco ma Agnelli. Quel mattacchione mi chiese della coca ma io non l’avevo così gli dissi di telefonare a Caniggia, che, nemmeno a farlo apposta, riforniva anche Vasco. Così Agnelli, da gran signore quale era, bestemmiò e riattaccò.

A Los Angeles, io e Alda alloggiammo da Bukowski, in uno squallido appartamento non proprio profumato di fiori, ma era un posto caratteristico, e direi anche meno male! A me fa schifo l’odore dei fiori, per me non odorano, puzzano. Mi innamorai subito di Los Angeles… quell’aroma di smog, sudore e vomito, quel caldo soffocante e quelle palme mi ricordavano tanto qualcosa che non avevo ancora visto ma che avevo già vissuto. Invitammo Woody Allen che ci raggiunse da Manhattan e bevemmo dell’ottimo vino californiano, portato da Woody, perché quello di Buk non era il massimo, anche se più che godibile. Allen, al terzo bicchiere, era completamente ubriaco e si mise a parlare con Bogart, che però noi non vedevamo. Era tutto nella sua testa. Buk non aveva la patente perché gliela avevano ritirata per guida in stato di ebbrezza, così telefonammo a Tarantino ma la segreteria diceva che era in un garage a provare una scena di un poliziotto senza un orecchio. Telefonammo a Travolta e così, quando arrivò, portammo a Manhattan il povero Woody, che, con la testa appoggiata al seno della paziente Alda, farneticava di ebraismo e morte, tanto da deprimere Travolta al punto che poi, preso dalla disperazione, si fermò al McDonald più vicino e si ingozzò di Big Mac, ordinando in francese. Le Big Mac. Da quel momento Allen entrò in terapia e non ne uscì più. Ancora adesso ci sentiamo e solo da qualche anno abbiamo smesso di organizzare partitini di basket con Michael Jordan e Scottie Pippen, io, Woody e il suo Bogart, contro loro due; qualche volta vincevano, ma non sempre. Noi li battevamo sul piano culturale, pagando prostitute che li distrassero da bordocampo durante le sfide. La cosa funzionava il più delle volte, fino a quando anche io o Woody o lo stesso Bogart rimanevamo incantanti dal fascino, dallo charme e dall’eleganza delle signorine, e la concentrazione andava letteralmente a puttane. In quel caso, Michael e Scottie, ci facevano neri. Bogart se la rideva, almeno così diceva Woody. Ma un giorno schiacciai in faccia a Michael, vincendo la partita. Lui se la prese e lasciò il basket per darsi al baseball. Poi io, Woody e Bogart ci mettemmo d’accordo per perdere una partita contro Scottie e Michael, nonostante inizialmente Bogart non volesse perdere, ma poi io e Woody lo convincemmo e Michael, da quella vittoria, riacquistò fiducia in se stesso, e tornò a giocare a basket.

Quando invece ero io quello particolarmente giù di corda, andavo a trovare Naomi Campbell. Era l’unica che riuscisse a tirarmi su il morale, oltre alla Falchi. Ce ne stavamo in salotto, tranquilli, con la zuccheriera di coca sul tavolino di vetro, bottiglia di bollicine (come la chiamava Naomi), e lei mi faceva rilassare massaggiandomi le tempie e poi scendendo giù per la colonna vertebrale. Ci divertevamo, io e Naomi, tra un tiro di coca e un bicchiere di bollicine, parlavamo di vita e amore, poi moriva dal ridere quando le facevo il solletico sotto la pianta dei piedi. Finivamo per abbracciarci e poi facevamo l’amore fino a quando, esausti, ci addormentavamo, abbracciati. Quando alzavo gli occhi al soffitto e ci guardavo riflessi nello specchio a soffitto, sembravamo il Tao, o forse ero solo sballato a dismisura. Ogni tanto litigavamo perché lei voleva ascoltare Madonna mentre in quel periodo portavo con me i vinili di Loue Reed, che lui stesso mi aveva prestato, ma Naomi si incaponiva e non c’era verso di farle cambiare idea, così mi sorbivo Madonna. Ma non per quello ci lasciammo, in fondo, pensavo, scopare Naomi ascoltando Madonna è meglio di non scopare Naomi e ascoltare Lou Reed, infatti smisi di vederla solo quando iniziò a stalkerarmi. Asseriva che se non avessi smesso di vedere Anna Falchi si sarebbe suicidata. In quel momento capii che era sotto stress, così la lasciai senza nemmeno spiegarle che dal mio primo vagito ho amato Ornella Muti e che nessuna avrebbe potuto prendere il suo posto. Tutt’oggi penso che dieci Naomi non fanno una Muti e se questo non è amore, non so cos’altro potrebbe essere. Il paradosso è che la Muti non ne ha mai voluto sapere di me, e per questo la amo ancora di più; ad ogni modo, per fortuna la Falchi non mi ha fatto mancare niente. Sono sempre andato d’accordo con Anna. Ogni volta le regalavo un paio di mutandine e lei mi dava in dono quelle che aveva su, che in precedenza le avevo regalato. Lei mi dava l’usato e io le davo il nuovo per usarlo. Mentre tornavo a casa annusavo sempre le sue mutandine tuffandomici dentro col naso, famelico come un lupo, e quel dolce profumo non mi ha mai stancato, nemmeno nelle notti in cui io e Anna ci davamo dentro col sesso. Ah, l’essenza della passera della Falchi filtrata dalle sue mutandine… che bontà! L’aria dovrebbe sapere di quell’essenza. La vita prenderebbe tutto un altro significato. Peccato che Naomi mi bruciò tutto l’arsenale. Avrei voltuo strangolarla quando ridendo istericamente mi disse Ti ho bruciato i mutandoni di quel culo bianco e secco che ti scopi, stronzo!, ma alla fine le spaccai solo qualche tacco tredici di uno dei tanti paia di scarpe che aveva, e me ne andai e lei mi scagliò contro la zuccheriera piena di coca, ma io riuscii a chiudermi la porta dietro prima che la porcellana mi colpisse. Sentii solo il suono di uno schianto sulla porta e Naomi che imprecava. Se mi avesse colpito mi avrebbe fatto un gran male.

Intanto io e Buk diventammo inseparabili e iniziò a girare voce che grazie a me aveva trovato ispirazione per il suo nuovo romanzo e che io, grazie a lui avevo trovato ispirazione per il mio nuovo romanzo, nonostante nel mio libro parlassi chiaramente di un gruppo di bambine siamesi con lo strabismo di venere della Transilvania che, grazie a un oracolo che gli ha indicato la via, vanno al lago di Loch Ness, in Scozia, accompagnate da un elfo biondo arrivato dall’Irlanda che nel tragitto non solo le convice a giacere con lui ma se ne innamora anche, di tutte; e alla fine succede che entrano dentro il lago e non ne escono più.

Una notte incontrammo Wallace in un baretto a Sunset Boulevard. Parlammo di cultura americana, cavalli, pornografia, nichilismo, io, Buk e Wallace, tanto che poi, dei ficcanaso, ci soprannominarono i tre samurai della tavola rotonda. Soprannome che era indifferente al vecchio Buk, ma non a Wallace. A me piaceva. Alla fine ci sbronzammo.

Quell’estate De André, Dalla, Villaggio e io comprammo una casa in Sardegna di tre piani e mezzo che si affacciava sul mare. Io e Villaggio dormivamo al mezzo piano, in alto. Stavamo stretti ma lui non si è mai lamentato dei miei piedi in faccia e anzi, mi ringraziava quando durante la notte gli tagliavo le unghie dei suoi, ma per me era soltato un modo per sfuggire all’insonnia e per non svegliarmi con la faccia graffiata come se avessi litigato con ottanta gatti. Ogni tanto arrivava Verdone e noi lo chiamavamo simpaticamente Er patata farmacisti perché aveva una scorta di farmaci ben assortita dentro una ventiquattrore e quando era alticcio ce la illustrava come se fosse tre farmacisti, ma non tutti insieme, uno alla volta. Passava anche Guccini. Portava taniche di vino che il tassista scaricava dall’auto, perché il Guccio non ha mai avuto la patente, e noi ce le scolavamo, le taniche, e poi si metteva a cantare il tormentone dei 99 Posse appena uscito, quello che, come lo chiamava il Guccio: Cuvve cuvve guagliò.

De André, Dalla, Villaggio e io ci facevamo delle grandi risate, ubriachi come sardine. Quando poi c’era anche Benigni che ci faceva la camminata di Pinocchio in stile Piccolo Diavolo recitando la Divina con in bocca lo stuzzicadenti di Jonny Stecchino, era il finimondo, un’energia indescrivibile. In quel periodo stavo lavorando alla biografia parziale di Andrea Pazienza ma non riuscii a finirla. Dissi che avevo la testa tra le nuvole e De André, sentendomi, decise di intitolare l’album a cui stava lavorando Nuvole. Mi ringraziò per anni per l’intuizione, ma io, per modestia, cambiavo discorso.

I pomeriggi li passavo con Alda. Andavamo dal fiorista sperando che le venisse l’ispirazione per scrivere qualcosa che riguardasse i fiori perché si era fissata che lei stessa era diventata un fiore. Cercai di spiegarle che lei non era un fiore ma ogni volta mi rispondeva Mi fai accendere?

I mondiali li passai a scrivere canzoni con Mogol e Pagani, a Bruxelles. Un giorno venne a trovarci Gino Paoli e bevemmo come se fosse capodanno. Eravamo tutti sbronzi e a un certo punto andai in bagno a pisciare. Lasciai la porta aperta e mi venne in mente un motivetto accativante, che intonai e che faceva esattamente così:

eravamo quattro amici al bar

che volevano fumarsi l’oppio

destinati a qualche cosa in più

che a una overdose e a sposare Franca

tra una canna e un tè di anfetamine

si parlava con profondità

di marjiuana

e di farla franca

cercando di scoparle tutte

in profondità…

eravamo tre amici a bar…

tra un tiro di coca e un tè di MDMA

uno si è sposato Franca

ma anche in tre ci si può sballare bene

eravamo due amici al bar

tra una spada e una dose di metadone

l’altro è morto di cirrosi epatica…

poi mi addormentai, in piedi, con il pene a penzoloni e la fronte appoggiata alle piastrelle del bagno, e quando mi risvegliai, Paoli aveva rubato il mio motivetto e ne aveva fatto una canzone, stuprando le mie parole e quindi cambiando il significato che gli avevo attribuito io, ma non glielo feci mai pesare e in fondo, anche la sua versione non era male.

Ricordo che un giorno, a Los Angeles, vidi Alda che sembrava particolarmente felice. Le chiesi se secondo lei sarei mai diventato non tanto uno scrittore, ma uno che riesce a campare scrivendo. Lei mi rispose con il suo solito modo schivo ed ermetico: Mi fai accendere? Lo presi come un sì e me ne tornai in Italia, la notte stessa.

Una sera, mentre aspettavo che Francesco Nuti finisse di cambiarsi per recarci alla premiazione del Giffoni film festival, accesi la tivù e mi innamorai di Baggio, nonostante indossasse la maglia della Juve, ma quando gli telefonai per manifestargli il mio affetto, mi disse semplicemente “Sono buddista, mica gay”, poi cadde la linea e non ci fu modo di spiegargli che quello era soltanto un banalissimo qui pro quo.

Dopo qualche mese andai a Dublino a trovare un vecchio amico che stava per terminare il suo primo romanzo, ma non sapeva come intitolarlo. Soggiornai da lui, passammo un week end intero a farci di MDMA e il momento in cui eravamo particolarmente fatti, il mio amico si alzò di scatto dal divano e urlò Trainspooooooooooootting e poi svenne. Quando rinvenne disse soltanto Trainspotting. Lo disse tre volte, come fosse una formula magica, il mio amico Irvine Welsh, e dopo due sniffate con entrambe le narici per svegliarci un po’ su, ci divertimmo a elencare i diversi modi di chiamare una sniffata, come colpo o spada o raglia o missile (spariamoci due missili è una frase non solo piacevole da sentire ma anche divinamente poetica) o stecca o orizzonte o arcobaleno, e così avanti per poi elencare i modi di chiamare la coca, come bianca o neve o polevere magica o barella (stendi la barella che ci facciamo due colpi è una frase notevolissima) e così avanti, per non so quante ore.

Intanto seppi che in Italia c’era un clima ostile. De Andrè, in una lettera spedita a casa Welsh, mi raccontò di certe stragi e di Tangentopoli, così pensai bene di tornare dal buon vecchio Buk, a Los Angeles. Scrivemmo ubriachi, Buk e io, e, dopo qualche settimana, invitammo anche Wallace e Welsh e lui portò l’MDMA, e chiamammo anche Palahniuk, e lui arrivò, e facemmo festa fino a perdere dieci chili a testa. Bei tempi… nostalgia canaglia!

Poi un giorno apro gli occhi e mi vedo davanti il vecchio Buk che mi sventola in faccia una lettera. Gliela strappo dalle mani senza nemmeno alzarmi dal pavimento credendo fosse una lettera di Faber e invece vedo che è un invito di Berlusconi, che vuole farmi partecipare alla festa di Forza Italia. Così lascio i miei buoni amici alle loro storie e torno in Italia, ad Arcore.

La festa di Forza Italia fu fantastica. Piena di gente pulita, educata, onesta. Perfino Mangano, lo stalliere di Berlusca, mi confessò che non ne sapeva niente di cavalli, che era un killer della mafia e che spacciava tonnelate di droga destinata perlopiù a Caniggia, ma lui faceva lo stalliere lo stesso. Mangano: persona eccentrica, ma altrettanto simpatica. Io, alla festa di Forza Italia, ci andai con Bob Dylan, che non era invitato perché per Berlusconi Dylan era troppo comunista per partecipare a una sua festa, ma io mi esposi, dissi che se non fosse venuto Dylan, io non mi sarei presentato. Così Berlusca mi disse Ma sì, dai, portalo.

Quando arrivammo, io e Dylan, vedemmo Berlusconi che se ne stava a intrattenere i suoi invitati, ma poi, guardando meglio, ci accorgemmo che non era Berlusconi ma Joe Pesci. Sembrava il suo gemello. Fu in quel momento che Berlusconi, preso da un momento di euforia mentre parlava con Pesci, si mise a recitare la scena di Casinò, quella in cui Pesci chiede con aria inquietante a Liotta Mi trovi buffo? Berlusca interpretò talmente bene il personaggio che anche Pesci rimase stupefatto e gli propose di girare un film con lui, per la Warner Bros, girato da Scorsese, scritto da Spike Lee e Nanni Moretti, produttore esecutivo Clint Eastwood, agli effetti speciali Spielberg, musiche di Morricone, e come controfugura, Stallone. Ma Berlusconi rifiutò perché amava troppo il suo Paese per allontanarsi. Comunque, alla fine del numero, Berlusconi sparò un proiettile in aria con la pistola di Mangano e il proiettile rimbalzò prima sul lampadario, poi sul bicchiere d’oro massiccio di Dell’Utri, poi sul quadrante dell’orogogio d’oro massiccio di Provenzano, poi sul quadrante dell’orologio d’oro massiccio di Riina mentre quest’ultimo pronunciava in siciliano la parola racket, poi sul tacco delle scarpe di Michael Jackson, intento a fare un moonwalk nelle pause in cui Berlusca smetteva di parlare, e poi andò a conficcarsi nel cranio della Mussolini, che da allora si è rincoglionita. Tutt’oggi la difendo quando sento qualcuno dire che è stupida. Dico sempre Ehi, amico, non è stupida, ha solo un proiettile in testa che la rende quella che è. Ad ogni modo, ci fu un applauso generale per Silvio. Pesci si commosse e Berlusca lo offerrò e se lo strinse al petto. Non nascondo che anche io mi commossi. Berlusca era fatto così, era un fuoriclasse.

C’era anche Diego, lì, al buffet, vestito con lo smoking. Aveva detto che se gli fosse stato lanciato un pallone sporco di fango e lui avesse avuto lo smoking, non avrebbe esitato a stopparlo di petto. Così andai alla macchina di Bob Dylan e presi il pallone che aveva nel bagagliaio. Purtroppo era una giornata estiva molto secca e non c’era fango. Tornai al ristorante, presi una caraffa d’acqua senza farmi vedere da nessuno e andai a versarla sul terriccio, ma l’acqua non bastava, così pisciai nella caraffa e riversai il tutto sul terriccio. Ne creai del fango. Sporcai il più possibile il pallone di Bob Dylan e tornai alla festa. Diego ora stava parlando con Berlusconi di tattiche, schemi e mignotte. Appoggiai la palla infangata al pavimento, mi feci spazio allargando le braccia tra gli invitati indietreggiando di tre passi, e lo chiamai: Diegoooooo, appena prima di crossargli il pallone. Non mentiva, stoppò il pallone come solo lui sapeva fare e, di controbalzo, me lo rilanciò e mi prese sul naso, e me lo ruppe. Mi salì il nervoso così glielo ritirai ma lui si abbassò e colpii in faccia Berlusconi, e gli ruppi il naso e lui disse Cribbio. In quel momento sbucò fuori dalla torta gigante Naomi Campbell furente d’ira e mi riempì d’insulti, inseguendomi, sclaza e rivestita di panna. Scappai via sulla decappottabile di Bob Dylan che aveva lasciato le chiavi attaccate al cruscotto, e successivamente venni a sapere che lo riportò a casa Mangano, ma fino a metà strada, poi fece l’autostop.

Quando Berlusconi mi telefonò a casa Salvatores, giorni dopo, credetti che volesse rinfacciarmi qualcosa, invece mi disse che da ora in poi avrebbe pensato lui a Naomi, e poi mi chiese se volevo entrare nel suo team di Forza Italia, ma parlando saltò fuori che non avevo commesso abbastanza reati per poter far parte della sua squadra e, anche se avessi avuto tutti i reati a norma, non credo che avrei accettato, sia perché sono sempre stato di fede progressista/abolizionista/anarchica (non necessariamente in quest’ordine), sia perché la Santanché emanava una puzza di merda che la potevi sentire in tutto un palazzo.

Alda mi lasciò poco dopo. Non eravamo mai stati insieme ma disse che non poteva perdere altro tempo con uno così idiota come me. Le dissi che aveva ragione e lei, prima di andarsene, mi disse semplicemente Mi fai accendere?

Avrei voluto darle fuoco, ma non lo feci, anzi, scrissi una canzone d’amore per lei e spedii il testo a De André perché me la incidesse.

Dopo due mesi lo chiamai e mi disse che non aveva ricevuto niente.

Poste Italiane!

Purtroppo non ricordo il testo e non ne avevo fatto una copia. Però ricordo Alda con tanto affetto e non solo lei, anche tutti gli altri miei compagni di viaggio, che, per motivi di spazio, non posso citare. Sul fazzoletto non c’è modo di scrivere alt

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10 commenti »

  1. Vincenzo,

    purtroppo ai tempi ero troppo piccolo per potermi godere a pieno il fascino intramontabile dei nineties, ma grazie alle tue righe, così scanzonate e ben scritte, mi è sembrato di aver vicino alcuni dei miei modelli adolescenziali.

    La prosa perfetta, sciolta e speditissima, accompagna divinamente lo scorrere di uno spaccato di vita, personaggi ed atmosfere che, proprio come la tua scrittura, é volato via talmente veloce da lasciar in bocca una nostalgia dolceamara.

    La costante presenza di Alda Merini, poi, è un bellissimo tributo ad una delle più grandi poetesse che il Bel Paese abbia mai conosciuto.

    Veramente bello.

    Complimenti.

  2. Ero indecisa Se commentare o meno, ma la curiosità di chiederti spiegazione SULLA INSISTENZA DI UNA DONNA MESTRUATA e’ troppo forte.Da dove proviene questa lapidaria affermazione? è per sottolineare le fanfaronate del tuo protagonista o altro?? Son molto curiosa, in quanto donna, (penso anche altre) .Inoltre la mia propensione didattica mi porta a farti notare che Humphrey Bogart è morto nel 1957 (andata a controllare) quindi c’è qualcosa che non torna a livello temporale e di incontri fra i personaggi del tuo racconto.Vero è che con la teoria Einstein possiamo spiegare molte cose….ma insomma. Detto questo rimango perplessa , avendo anch’io vissuto gli anni 90 .Davvero esistevano certi tiperelli?? Che buffi!! Ho percepito ironia nel tuo racconto, percepito bene o male?? A quante cose ti tocchera’ rispondere, se vuoi!! (Sulla donna mestruata in particolare, Pleasanton).ciao.

  3. Pleasanton e’ un errore di battitura, mi limito a ‘please’ ..come mi ha insegnato il mio amico Mick (Jagger)..

  4. Vincenzo… Vincenzo… il tuo racconto mi ha creato una certa irritazione dalla prima riga leggendo ” mestruata “, per di più riferito ad un uomo e, additittura, con accezione negativa. Poi, continui, sprezzante , insolente e cinico nelle tue dettagliate descrizioni di situazioni paradossali e, spesso, di pessimo, oltremodo pessimo gusto, che mi indignano e mettono a dura prova la mia imperturbabilità..e poi… e poi….e poi cosa vuoi che ti dica? Non sono più riuscita a staccare gli occhi dal tuo racconto!! E’ formidabile: denso di gossip e cultura, di pochezza e di poesia. E’ divertente. E mentre ridi ti fa sentire in colpa, perchè non si deve e perchè non si fa. Ma poi ridi ancora lo stesso. Scivola sotto agli occhi con la fluidità di un gommone su una discesa fluviale, fino a sparire di colpo come farebbe quel gommone immerso sotto al getto di una cascata. Genio.

  5. Vincenzo grazie. Mi piace molto il ritmo del tuo racconto, rende perfettamente la frenesia di quegli anni…

  6. Prima cosa vi ringrazio per tutto quello che avete detto (Gloria, esagerata ma ti ringrazio a cuore aperto), e poi, avete ragione, posso capire la vostra irritazione ma con quella frase intendevo solamente dire che in quel periodo siete un tantino… irascibili??… irritabili?… pazzerelle? nervose più del solito?? e unire quel senso di tensione a un personaggio maschile, in questo caso Maradona. Non prendetela troppo sul personale, la frase era “contro” Maradona, non contro le donne. Che siete un tantino irascibili in quei giorni non credo sia un mistero e dirlo non mi sembra così grave, soprattutto se riferito a un uomo.
    E Laura… apprezzo la tua ricerca dei personaggi nel testo ma il fatto che Allen vedesse Bogart nei novanta è una citazione a un suo film (Provaci ancora, Sam) che ti consiglio (vista la tua propensione didattica) e poi sarebbe stato strano se Allen si fosse immaginato un personaggio dei novanta nei novanta. Comunque, mi spiace se l’hai presa sul personale, non volevo offendere nessuno.

  7. E Vincenzo…’ Provaci ancora Sam ‘l’ho visto forse prima che tu nascessi, e non mi potevo certo ricordare questa citazione.Comunque accetto questa tua precisazione. invece non accetto la tua sulle nostre condizioni da mestruate, e soprattutto trovo irritante il tuo voler apparire uomo scafato che Sa. NON NE PUOI SAPERE MOLTO, penso…anzi trovo che il tuo sia solo un luogo comune o forse un pregiudizio , spesso voi omini lo avete , pensando di essere spiritosi.Inoltre non mi hai risposto sulla ‘ironia’, ma non credo tu lo voglia fare, d’altra parte non ne sei tenuto , la colpa è mia che non ho capito se ti compiaci di ciò che hai scritto o c’è appunto un velo ironico.Scusa, la vecchiaia avanza.Just in case, se vuoi…Provaci ancora , Vincenzo !

  8. Vincenzo, alcune riflessioni dopo aver letto il tuo racconto. Magari hai fatto arrabbiare le donne, ma io l’ho trovato divertente, paradossale, ironico
    e surreale. Anch’io ho vissuto gli anni novanta e mi ritrovo in molte cose di cui scrivi. Molto interessante la rilettura che tu ne fai, sul file rouge che
    accomuna diversi “personaggi”. Bravo.

  9. E così scopriamo chi c’era realmente dietro le quinte di tutti gli eventi artistici, sportivi e mondani degli anni novanta… Divertente e cinico quanto basta, mi hai disorientato e stordito, ma lo considero un complimento.

  10. Leggerai mai questo commento?
    Sono andata a ritroso cercando qualcosa di tuo. Ora andrò a controllare se l’annio scorso sei stato tra i vincitori.
    Sappi che leggerei volentieri pure i tuoi temi delle elementari!
    Si, gli anni ’90 erano così (ed esistevano davvero certi “tiparelli”)
    Il massimo sarebbe scoprire che invece tu hai poco più di vent’anni…
    Roberta Silvagni

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