Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2016 “Il Comizio” di Maddalena Frangioni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Fin dalla mattina presto di un lunedì di novembre, si videro arrivare in piazza due camioncini pieni zeppi: assi, pedane, fili elettrici, lampade, torce, transenne, due tavoli, qualche sedia pieghevole.
Gli operai iniziarono a battere sul selciato e a fare dei grossi buchi in terra per mettere pali e pedane. Fu scelto il posto più vicino alla chiesa, quello più alto rispetto alla strada che scendeva fino al fiume vicino.
La gente, uscita di casa per andare al lavoro, fu sorpresa da tutti quei lavori. I più curiosi si fermarono a guardare, altri girarono intorno per cercare di capire di cosa si trattasse- Finalmente, alcuni, quelli che sapevano leggere, dissero che, nel volantino, lasciato sul tavolo del bar centrale del paese, c’era scritto che in quella piazza il sabato ci sarebbe stato un comizio, sì proprio un comizio tenuto da un politico venuto da Roma.
I curiosi, soddisfatti di aver avuto una risposta a quel trambusto, si tranquillizzarono e tacquero. In fondo la cosa non era importante e non li riguardava.
La vita riprese cogli affanni di sempre.
I lavori durarono una settimana. Andavano molto a rilento. Era come se gli operai, avessero avuto l’ordine di andare piano, in modo da creare negli abitanti un po’di fastidio, misto a curiosità.. Mai i più accorti dissero che era una tattica voluta da quel politico, per far sì che tutti accorressero a ascoltare le sue parole.
Il venerdì sera, dopo l’ultima giornata di lavoro, fece mostra di sé ” lui”, il palco. Era davvero grande, qualcuno disse perfino troppo tanto da ostacolare l’entrata dei fedeli in chiesa. Sul palco, dietro il tavolo e sedie pieghevoli. sventolò la grande bandiera tricolore che, nel fluttuare al vento, copriva quel poco di cielo rimasto tra la chiesa e l’impalcatura.
Al ritorno dal lavoro, alle persone sembrò quasi di perdere l’orientamento, non riconoscendo la via di casa con tutto quel trambusto che aveva cambiato i connotai alla “loro” piazza.
La notte, rendendo tutto indistinto, avvolse la piazza col suo mantello nero. Si sarebbe potuto confondere la chiesa con il palco se non fosse stato per la sagoma alta del campanile stagliata nel cielo. La quiete, mescolata alle tenebre, addolcì tutti rumori anche quelli degli animi più inquieti e perplessi sulla novità del giorno che li attendeva. Il paese si immerse nel sonno.
Il sabato arrivò puntuale, la luce pian piano si fece strada nell’oscurità, mentre una nebbiolina leggera coprì l’orizzonte.
La piazza, a poco a poco, si risvegliò dal torpore, il cappellano aprì la grande porta della chiesa ai fedeli, il bar, più vicino alla strada, mise i tavolini fuori, mentre un odore penetrante di caffè si spargeva nella via. Il palco, coperto da grandi teloni di nailon, mostrò tutta la sua robustezza, occupando quasi tutto lo spazio.
I primi vecchi comparvero in piazza per un caffè scuro, mentre qualche donna si avviava in chiesa per la prima messa. Nessuno chiedeva o faceva domande, un’occhiata e niente più a quella strana impalcatura.

Col passar delle ore il sole rafforzò il chiarore del cielo e invogliò la gente a uscire di casa. Si videro madri coi passeggini, ragazzetti tenuti per mano e qualche carrozzella di anziani.
Era il sabato del paese fatto di abitudini semplici, da sempre uguali a se stesse. Ma quel sabato quel palco inquietava le anime. Non si poteva far finta di niente Si girava a largo, si guardava a distanza, si osservava dalla parte più alta della piazza, oppure stando seduti al tavolino del bar, mentre il caffè nero scaldava lo stomaco. Qualcuno chiudeva gli occhi come per farlo sparire, inutilmente, quello era là immobile. Le donne più vecchie, quelle con molta esperienza, cominciarono a raccogliersi vicino alla chiesa e a chiacchierate delle cose di sempre, per mostrare con orgoglio la propria’ indifferenza al palco.
Arrivò mezzogiorno la piazza rimase deserta, la chiesa chiuse il portone, il bar tolse i tavolini. Il vecchio dette un’ultima occhiata a quel palco incustodito, solitario, spettrale come un fantasma.
Il pomeriggio si rianimò di anziani soli, le donne ancora in casa a sistemare e pulire. Ogni tanto qualche grido di ragazzetti che si rincorrevano. Qualcuno, col passare delle ore, il cielo arrossato al tramonto, cominciò a preoccuparsi.
Era già sera, quando si videro arrivare delle macchine scure che fecero il giro del palco e si fermarono. Si scorsero uomini dai grossi scarponi neri avanzare e dirigersi verso la struttura. I cappelli con la visiera impedivano di vederne il volto, sembravano spaventapasseri senza testa.
Gli abitanti dalle finestre sbirciarono per curiosità. Qualcuno sussurrò: “Arriverà ? Quando arriverà? Che cosa vorrà? Che cosa vorrà sapere da noi? E noi che c’entriamo con tutto questo? Noi siamo qui a sgobbare. Il tempo libero è poco, non si può buttare per un comizio. Ma quello là non ha nient’altro da fare?”
La bruma della sera cominciava a coprire la strada, la gente non sapeva cosa pensare. Come fare a stare tranquilli pensando a quel palco ingombrante là fuori. Erano quasi le nove di sera. Era tardi. Le porte delle case, le vie e la piazza mute, in sospeso.
Anche le stelle solitarie nel cielo, in preda alla disperazione, per quell’attesa insostenibile, osservavano giù nella terra quegli uomini dagli scarponi scuri che si muovevano intorno a quel palco.
Finalmente l’altoparlante ruppe il silenzio. L’uomo di Roma era in arrivo. Mandava a dire che si scusava per tanto ritardo, ma non era stata colpa sua. L’unica via al paese era chiusa per una frana e aveva dovuto allungare la strada. “Ma non lo sapeva?”, disse l’uomo dagli stivali a mezza gamba, “possibile che a Roma non sappiano mai niente? La frana è lì da più di sei mesi, bastava informarsi”.
Alle ventidue l’uomo di Roma arrivò. Sudato, seccato, arrabbiato. Salì sul palco. La luce illuminò la sua faccia larga, dal mento squadrato, il piglio arrogante. Bevve un po’ d’acqua per schiarirsi la gola e cominciò il suo discorso.” Concittadini, è da tempo che nel nostro Paese accadono le cose più strane. Esseri con volti scuri e minacciosi, venuti da lontano, attentano alle nostre case e alla nostra vita. In guardia! Io sono qui a difendervi tutti. Se mi voterete, non ve ne pentirete!”. L’uomo di Roma a un tratto si fermò, in attesa di sentire dalla platea una risposta. Ma non arrivando agli orecchi né un fischio, né un battito di mani, né un’ingiuria, o un complimento, impallidì.
Possibile che il pubblico fosse tanto compito e rispettoso? Una forte agitazione lo prese. Siccome il buio impediva la vista di ciò che gli stava davanti, un dubbio atroce gli attraversò la testa. Tentò di parlare ancora. Forti parole rimbalzarono in quel silenzio notturno. Niente, dalla piazza non arrivò nulla Allora l’uomo, scese dal palco per andare a vedere cosa c’era là sotto. Voleva negare a se stesso il presentimento che serpeggiava nella sua testa. Era arrivato a pensare persino che sotto il suo palco non ci fosse nessuno. Sarebbe stato troppo!
Sulla piazza il buio era davvero totale. L’uomo di Roma avanzò dapprima con cautela stando bene a dove mettere i piedi, poi, più spedito, tentò di fare il giro, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla. Si voltò di scatto, tentò di vedere. Non riusciva a capire. Perché quella mano e quel volto sembravano essere tanto invisibili? Uno strano accento di un italiano stentato lo fermò. Qualcuno gli stava dicendo di calmarsi. Che non c’era nessuno di tanto cattivo quanto lui aveva detto dal palco. L’uomo di Roma continuava a non capire. Allontanò quella mano dalla spalla e continuò il giro. Là in piazza non c’erano i paesani, quelli col viso e le mani bianche, ma solo volti neri e teste ricciute.
L’uomo ebbe paura, temette per la sua gola, pensava già alla famiglia insicura. Roma era tanto lontana.
Di scatto fece un salto, voleva scappare. Risalì velocemente sul palco e presa la borsa e il cappotto raggiunse l’auto. Voleva far presto e fuggire. L’autista, nell’aprire la portiera e farlo salire, disse laconicamente che, era da tanto tempo, che il paese era stato abbandonato dai giovani in cerca di lavoro in un altro Paese. Tutti sapevano che lì erano rimasti soltanto vecchi, donne e bambini. Peccato che a Roma non glielo avessero detto ma in quel paesino erano arrivati dal mare i migranti, tanti migranti neri a lavorare nei campi abbandonati. Quei giovani scuri senza più una patria, né una terra, da anni, nell’aggregarsi al preste e alle donne, aiutavano i vecchi nei campi. Era tempo che a Roma prendessero atto dei cambiamenti e la smettessero con quei “comizi” che volevano colpire proprio quei volti dalla carnagione diversa in nome della bugia della libertà e della sicurezza. L’uomo di Roma ora sapeva, aveva toccato con mano la verità. Lì, al paese, non c’era bisogno di lui.
L’uomo di Roma, preoccupato e ammutolito, fece cenno all’autista di partire.
Girata la chiave, l’auto scomparve nella notte più nera.
Il giorno dopo la gente uscì dalle case e fu contenta di vedere gli operai smontare velocemente il palco. A sera, al ritorno dal lavoro, del palco più niente, neanche il ricordo.
Qualcuno chiese se l’uomo di Roma era venuto.
“Chissà!”, disse un altro. “Penso di no”, ripeterono alcuni, “ e se è venuto”, aggiunsero, “ deve essere scappato subito. Qualcuno non ricorda se ha parlato, né cosa ha detto”.
Oh sostenne l’uomo dal viso scuro, giunto in piazza a bere un caffè. “Io l’ho visto l’uomo di Roma, era grosso e aveva un gran vocione, ma, quando è sceso dal palco e ha visto che c’eravamo soltanto noi poveri neri è scappato impaurito e credo che non tornerà mai più. “Bene”, disse un vecchio, “era ora che l’uomo di Roma si spaventasse e grazie amici, per averlo messo in fuga. Sappiamo bene che non bisogna aspettarsi nulla di nuovo da un uomo che viene da lontano a parlarci di giustizia con le mani sporche di illegalità”.

Il paese tornò alla calma di sempre e la piazza, liberata dal palco, riprese il suo posto per i giochi e il passeggio delle persone, che l’ attraversavano col freddo e col caldo, la pioggia e il sereno.
Il comizio era già lontano, dimenticato da tutti.
Le ansie scomparvero e la tranquillità tornò nella vita di tutti.

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