Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2016 “Come una farfalla” di Maddalena Frangioni

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Eccolo, lo vedo, il mio corpo è davanti a me.
Si muove, si flette, si allunga, si piega, appare, scompare.
Ho un corpo!
Ho scoperto di avere un corpo.
E’ stato per caso, così come capita, a volte, nello scoprire qualcosa, senza volerlo.

Ferragosto, giorno del mio sedicesimo compleanno. Mi stavo preparando per uscire. Presi dall’armadio il vestito, regalatomi dalla mamma e, con un semplice gesto, lo indossai.
Era un abito dritto, stretto sui fianchi, allacciato dietro, senza maniche, scollato davanti, lungo fino al ginocchio. Un “tubino”, tanto per meglio identificarlo.
Era la prima volta che mettevo un abito di quel tipo.
Tirai su la cerniera e mi sentii piacevolmente avvolta dalla stoffa morbida e liscia, che mi aderiva come un guanto. Quella seta dal colore arancio, vivace e lucido, simile al frutto di una pesca appena colta dall’albero, creava un perfetto contrasto con il colore castano dei miei lunghi capelli, che liberamente oscillavano sulle spalle, in un dondolio costante, coprendo e scoprendo il corpino di luce.
Mi sembrò, per un attimo, di essere una piccola star, ammirata e bellissima.
Lo specchio, nel rimandarmi l’immagine del mio corpo, avvolto in quell’abito aderente, castigato e nello stesso tempo seducente, mi sorprendeva e mi costringeva a guardarmi e a osservare anche i più piccoli dettagli di me che mi erano rimasti oscuri fino allora.
Era da tempo che pregavo mia madre di regalarmi un vestito simile, ma, ora, che lo indossavo, stranamente, mi sentii insicura, temevo che mi stesse male e che tutti mi osservassero, pronti al sorriso, o a un’occhiata obliqua.
Cercai di capire se l’abito fosse o no neutrale.
Non lo era.
Mostrava un corpo diverso da quello che mi aveva fatto compagnia fino a quel momento.

Il corpo era cambiato! Non lo riconoscevo. Se non fosse stato per quella fossetta sul mento, unico indizio della mia infanzia, cui ero sempre stata affezionata, avrei pensato che in quello specchio ci fosse un sosia, o un impostore che cercava di appropriarsi della mia identità.
La paura di quell’inganno durò qualche minuto, poi con pacata serenità cercai di vedere meglio e di capire.
Lo specchio mostrava nuove e particolari rotondità mai viste prima.
Sembrava che il vecchio corpo informe e sgraziato dalle braccia lunghe, il busto piatto, senza sedere, si fosse completamente dileguato.
Dov’era finito il corpo infantile? Che cosa stava accadendo? Dov’era la fanciulla di un tempo con gonna a pieghe, calzini e maglietta?
Era in atto dentro di me, senza che potessi farci niente un duro corpo a corpo tra la mia infanzia in via di estinzione e la mia adolescenza che premeva per uscire allo scoperto.
Due corpi in uno!
Quella lotta intestina stava sovvertendo l’ordine costituito e mi costringeva a parteggiare o per il vecchio, o per il nuovo.
Non ero mai stata coraggiosa e avrei preferito non dover scegliere. Ero stata bene fino a allora in quel corpo di bimba ingenuo e anonimo.
Non immaginavo una simile metamorfosi!
Per anni avevo ignorato lo specchio lungo e stretto appoggiato al muro nella camera dei miei genitori. Mi divertivo a prendere in giro mia sorella più grande, quando lasciava la stanza, dopo aver dato l’ultimo sguardo alla scollatura, prima di andare incontro al ragazzo che l’aspettava in strada.
Ma quel pomeriggio nello specchio c’ero io con un corpo, che sembrava “aver perso la testa”. Stentavo a accettarmi e a riconoscermi in quelle forme, esplose dal nulla come per magia.
Il “tubino” cercava di contenere due piccole tette appena spuntate, un sederino ritto grassoccio e sodo che, nel muoversi provocava ilarità.
Le gambe più sostenute e le braccia dalla peluria sotto le ascelle testimoniavano la metamorfosi in atto. A completare occhi cerchiati dalla matita nera e labbra rosse.

Era palpabile il trionfo dell’adolescenza! Dell’infanzia non rimaneva che un lontano, sbiadito ricordo. Quel pomeriggio lo specchio pose fine a quel corpo a corpo estenuante durato alcuni mesi e mise a posto le cose.
Non rimase che prendere atto del cambiamento straordinario avvenuto in tutta segretezza senza neanche aver avuto il tempo di accettarlo, o eventualmente di rifiutarlo. Sapevo, anche se in maniera confusa. che per crescere c’era da pagare uno scotto, che crescere era faticoso e non sempre si arrivava al traguardo contenti. Mi arrabbiai con me stessa per aver lasciato fare, per non aver detto la mia. Ci volle del tempo prima di compiacermi e di sentirmi a mio agio in quel “tubino” che, nel mostrare a tutti il nuovo corpo di donna, sbocciato come un frutto maturo, mi rendeva felice. e nello stesso tempo fragile.
Sperai allora di librarmi come una farfalla, ma mi ripromisi che d’ora in poi avrei fatto molta attenzione a non cadere, né a bruciarmi le ali.

Come una farfalla

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