Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2016 “Virginia” di Ester Arena

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Virginia era figlia unica. Era stata tanto attesa, una gioia ormai insperata.

Quando era bambina, aveva i capelli corti, ricci, biondi. Le guance rosee, paffutelle. Gli occhi colore del cielo di primavera. Sembrava un angelo.

La sua fotografia era in prima fila sulla ribalta del bureau all’ingresso di quella grande casa con i soffitti alti, le porte di noce scuro e le stanze arredate con mobili antichi.

Virginia bambina era lì. Nel silenzio, nella penombra.

 

Virginia era cresciuta come una principessa nella grande casa. Con lei erano cresciuti, in lunghe spirali d’oro, i suoi capelli, le labbra erano diventate rosse come il sangue, mentre, nascoste da abiti preziosi, forme generose e armoniche disegnavano il suo corpo. Solo i suoi occhi azzurri come il cielo di primavera, diventavano colore del mare in tempesta, quando era sola e nessuno poteva vedere lo stagno al posto del suo cuore.

Nella sua camera da letto di bambola c’era un grande specchio. Era cresciuta specchiandosi ogni mattina ed ogni sera, perché le dicevano tutti “Come sei bella, come sei brava.”

Per tutti Virginia era sempre bella e brava. Per tutti. Tranne per lei, che ora si specchiava ogni giorno e ogni notte, perché le erano sfuggite dalla mente se stessa e la sua immagine.

Vedeva riflessa una sagoma a cui non sapeva più dare forma, colore, nome. Cercava di delinearne i contorni con un Photoshop immaginario, ma non riusciva a vedersi e si voltava in lacrime dicendo “chi sei?”, con la voglia di spaccare quello stupido specchio che non sapeva aiutarla.

Virginia era scomparsa dallo specchio quando, in un pomeriggio di agosto, il suo cuore aveva smesso di battere. Un pomeriggio caldo, senza vestiti preziosi a coprire le sue forme.

Un pomeriggio caldo, così caldo da far impazzire la mente con l’eco di quella voce che le aveva detto “Principessa, da oggi dovrai essere più bella. Più brava. Dovrai esserlo solo per me.”

E aveva sentito quella mano prendere il suo cuore, strizzarlo, spremerlo e svuotarlo dei suoi sogni di ragazza. Quella mano che, fino ad allora, l’aveva sfiorata solo con tenere carezze. Quella mano strusciante. Sudata. Quella mano che sapeva di sporco. Di terra. Di animale.

C’era stato, poi, il fiato addosso, più caldo del caldo di quel pomeriggio di agosto. L’odore della bestia uscita dalla tana, che si mischiava all’odore della sua paura, quello della preda braccata. Dopo, era rimasto solo freddo dentro di lei, anche in quel pomeriggio così caldo.

Ed erano seguiti altri pomeriggi di appuntamenti uguali a cui non poteva, non sapeva sottrarsi nella sua camera di bambola nella grande casa.

“Principessa, come sei bella, come sei brava” le diceva il maiale, mentre grugniva di piacere.

E non c’erano più stagioni in quei pomeriggi. Il mondo intorno si gelava e così Virginia.

Ma, per tutti, Virginia era bella. Virginia era brava e lei nascondeva il suo segreto, perché una principessa può essere solo felice. Ma piangeva di notte. Non voleva essere la schiava del re. Voleva solo una vita normale.

Il suo ragazzo profumava di mare e, con lui, Virginia provava a dimenticare il tempo che separava i suoi giorni da quei pomeriggi. Passeggiavano abbracciati, parlavano guardandosi negli occhi. Sognava che un giorno, domani forse, o comunque molto presto, quel ragazzo l’avrebbe portata via.

Poi, un pomeriggio, anche lui le aveva detto “Come sei bella. Come sei brava”, mentre aveva cominciato ad accarezzarla sul suo letto di bambola.

In quell’istante, le erano tornati in mente e addosso l’altra mano, il fiato, l’odore, la sua paura. Si era sentita la preda ancora una volta braccata. Era svanito ogni sogno, perché anche lui si era trasformato in un animale come il maiale. Così l’aveva scacciato ed era rimasta sola.

Nelle sue ore vuote, giocava ad intrecciare il filo di ferro. Voleva costruire una trincea per difendere il suo cuore. Costruì, invece l’anima di una bambola. Rivestì quell’anima col pongo e fece una bambola senza forme, come la sua immagine nello specchio.

La guardava ogni giorno e poi guardava sé riflessa, senza vedersi. E pensava.

Pensava a come fare per dare una forma alla bambola e a se stessa. Perché Virginia voleva cambiare pelle, carne e le sarebbe andato bene anche marcire, putrefare, pur di essere diversa.

Un po’ per volta aveva smesso di mangiare. Forse in quel modo sarebbe riuscita a non essere più bella. A non essere più brava. E magari quella mano non l’avrebbe più toccata. Perché non avrebbe avuto più nulla da toccare.

Un chilo. Poi un altro. Virginia lentamente scompariva. E, con lei, il pongo dalla sua bambola, che raschiava via con le unghie dopo essersi assicurata che l’immagine indecifrabile di sé nello specchio si stesse assottigliando.

“Virginia, che succede?” Le chiedevano tutti. Nel silenzio della sua risposta, sentiva le voci dire “Mah, che avrà? Era così bella. Era così brava.”

Allora Virginia era felice. Non era più bella, non era più brava come prima. Lentamente prendeva forma. Una forma che non piaceva più. Magari, prima o poi, non sarebbe piaciuta più nemmeno al maiale, che grugniva ancora di piacere e non capiva che Virginia stava cambiando pelle e carne per non sentirlo più su di lei.

 

Intorno al filo di ferro, ormai, era rimasto solo un po’ di pongo. Virginia cercava di scalzarlo, ma le si rompevano le unghie. Allora piangeva, perché voleva che non restasse più nulla di quella bambola senza forma, se non il suo scheletro. Così come piangeva, guardando nello specchio l’immagine di sé, con la pelle ancora addosso.

Quel pomeriggio di agosto, Virginia aveva chiuso gli occhi mentre tutto intorno tornava a gelarsi come nel suo cuore. Ma il fiato caldo e fetido del maiale non lo aveva sentito quasi più. Come non sentiva quasi più i suoi grugniti di rabbia, ora che, dopo averle rovistato tra le ossa alla ricerca di un piacere che non trovava, si allontanava urlando “Principessa, non sei più bella. Non sei più brava”.

“Sono Virginia. Solo Virginia.”

Aveva sussurrato così, sorridendo alle spalle del maiale, perché, ora che non era più bella, ora che non era più brava anche per lui, sentiva finalmente di aver ritrovato la sua immagine persa.

 

Nella sala arredata con mobili antichi, le tende erano state chiuse. Faceva caldo, troppo caldo, quasi da impazzire. Ma il sole filtrava ugualmente tra i teli.

Un raggio si era posato sulla bara bianca.

Virginia sembrava dormire. Accanto al suo scheletro, rivestito di pelle e coperto da abiti preziosi, c’era lo scheletro di filo di ferro della sua bambola, rivestito da frustoli di pongo. Sembravano uguali. Ma Virginia aveva ancora rade spirali d’oro a ricordare i suoi lunghi capelli da principessa.

La stanza era piena di fiori. In quel pomeriggio così caldo di agosto, i gambi marcivano nell’acqua e l’odore ricordava quello della frutta che macera nel porcile.

Nell’angolo il maiale, dagli occhi colore del cielo di primavera come quelli di Virginia, era raggomitolato sulla poltrona, che sembrava il trono di un re.

“Dovevi essere bella. Dovevi essere brava. Per me. Solo per me.”

Grugniva e piangeva di rabbia. La sua principessa non c’era più.

 

Virginia bambina sembrava un angelo.

La sua fotografia era in prima fila sulla ribalta del bureau all’ingresso della grande casa con i soffitti alti, le porte di noce scuro e le stanze arredate con mobili antichi.

Era lì, nel silenzio, nella penombra.

Tutti quelli che arrivavano per portarle l’ultimo saluto, si fermavano a guardare quell’immagine.

“Com’era bella. Com’era brava.” Nell’ingresso risuonava l’eco di quelle parole, che stridevano con l’immagine di Virginia addormentata nella bara.

Ma Virginia, nel suo sonno profondo, sembrava che sorridesse, felice di non essere più bella, di non essere più brava, di non essere più una principessa, ma di essere finalmente solo Virginia.

 

 

 

 

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13 commenti »

  1. brividi, fiaba nerissima senza scampo. una storia di pedofiliA raccontata con la lingua delle favole. bellissima l’immagine alla Dorian Gray del corpo che si scarnifica appresso al pupazzo.

  2. Un racconto che fa riflettere sull’immagine che abbiamo di noi stessi e su come gli altri ci vedono, o vogliono vederci.

  3. Il nome “Virginia” non mi sembra una scelta casuale. “Virgo”, “vergine”, e sottolinea la durezza del racconto.

  4. Wow Ester! Che meraviglia…

  5. Una favola tristissima, ma molto bella.

  6. Complimenti, scritto davvero bene. E purtroppo tocca argomenti ancora molto attuali che è giusto affrontare. Uno spunto per riflettere.

  7. Ogni volta mi chiedo in quale parte di me nascano le mie storie.
    Prendono corpo senza che io me ne renda conto, perché l’unica cosa certa è che sono davanti al computer e scrivo (io? O un’altra me?).
    Si sa che i racconti sono come i figli e che “ogni scarrafone è bello a mamma…”, ma sono veramente contenta di essere riuscita a emozionarvi e a darvi spunti di riflessione!
    Grazie a tutti

  8. Spietata, diretta, scarna…Ci dai in pasto un orrore infinito, senza filtri ne abbellimenti. Ci hai ingabbiati nelle trame del racconto senza darci scampo, spettatori impotenti della tragedia in atto. Complimenti.

  9. Pedofilia e incesto, anoressia e morte … un racconto nero come la pece. Bella la narrazione ma più di tutto mi è piaciuta quella ripetizione/ossessione del “bella e brava”, martellante dall’inizio alla fine

  10. Non so perchè, ma l’avrei scritto al presente, per togliere quel tono da favola.
    Anche se forse vuole essere proprio quello, una favola cruda e sporca raccontata con dolcezza.
    Molto bello.

  11. Veramente intenso. Hai saputo armonizzare elementi diversi. brava

  12. C’è il cacciatore, c’è lo specchio, c’è il cuore, c’è la bara, c’è Biancaneve ma la regina cattiva non si vede, perchè è nascosta dentro Biancaneve.
    La fiaba si fa adulta, gli elementi si mescolano, perdono i contorni definiti e mostrano tutta la loro crudele verità.
    Straordinaria Ester!

  13. Credo uno dei più bei racconti che ho letto, tra quelli qui in concorso.
    Scritto benissimo e con una profondità di immagini e una prospettiva interiore a dir poco perfette.
    Bravissima.

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