Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2016 “La casa delle voci” di Stefano Morleschi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2016

Abito un maniero che lunghe onde invisibili lambiscono silenziosamente, e sono solo. Almeno quanto può sentirsi tale un essere umano in mezzo ad altre persone. Quindi infinitamente; come tanti altri, qui dentro.

Ogni castello che si rispetti è visitato da fantasmi, e così anche il nostro.

Vediamo prima le loro ombre, allungarsi contro i vetri smerigliati della porta d’ingresso, fino a trovarceli, quasi di colpo, davanti.

Creature strane, insieme caute e chiassose. Capitano a giorni fissi. Alla spicciolata, si spargono in mezzo a noi, spifferandoci storie dei loro mondi lontani, come se dovessero esserci di qualche sollievo e intanto ci sfiorano e ridono, oppure parlano forte. Sembrano fare a gara, eppure le loro voci ci giungono sbiadite.

Capitano la domenica, perlopiù, quando veniamo consegnati a quelle entità stipati nel salone d’ingresso, in mezzo a un vero dedalo di sedie e poltrone con o senza rotelle, in silenziosa attesa, frammista di ansia e rassegnazione.

Perlopiù si tratta di ombre indistinte. Capita però che qualcuno di loro ci riveli il proprio volto, e allora si tratta di un momento terribile. Quello che lui crede di mostrarci, cioè se stesso, noi non lo vediamo perché è trasparente. Altro, riusciamo invece a distinguere dietro il suo fatuo sorriso, oltre al disagio o, perfino, al segreto fastidio, che talvolta esso esprime: lo scorcio di un paesaggio o una tappezzeria ingiallita, insomma l’ombra di un ricordo, magari un vecchio ritratto, o la piega amorevole di un caro volto perduto. Ed ogni cosa ci trafigge dolorosamente, penetrando nei nostri cuori come una lama sottile.

Quelle nebulose presenze portano con loro, senza saperlo, minuscoli frammenti della nostra vita di prima, preziosi e taglienti come diamanti. Fin troppo rilucenti, per occhi ormai consumati. La stretta che proviamo, nel riconoscerli, così dolorosa e lenta, come una scia di lumaca, ci accompagnerà, ogni volta, per i giorni a venire.

Essere visitati da simili ectoplasmi, insomma, può non essere piacevole. Senza rendersene conto, in fondo, essi sono cauti assassini. Meglio perciò starne alla larga, soprattutto da quei loro discorsi, incomprensibili e astrusi, dove passato e presente si fondono senza costrutto.

E’ da un pezzo, ormai, che nei giorni delle visite preferisco rimanere nella mia stanza, dove c’è anche un piccolo balcone.

Di lì riesco a sbirciare una realtà che però mi sfugge, dove perfino il cielo, sopra l’orizzonte, sembra aver voltato le spalle al mare. Solo il vento si muove, trascinando con sé l’effluvio di quell’infinito azzurro; ed è sotto la sua carezza che ogni volta frugo in basso, con lo sguardo, verso una macchia di rose, vaporose e bianche come ballerine, ben allineate nell’angolo di un piccolo giardino.

E’ quando poi si fa scuro, e magari gocce pesanti e fredde cominciano a tamburellare sopra quei petali, che tutti i fantasmi brancolanti per i diversi ambienti del castello via via si eclissano, guardinghi.

Lo fanno con studiata lentezza, spesso tradita qua e là dalla fretta, scambiandosi attorno vaghi segnali che chiamano “saluti”.

Molti fra noi tengono allora gli sguardi bassi, per non vederli, mentre spariscono come fossero inseguiti. Forse il nostro silenzio, li incalza.

Pensare che la notte, invece, quando il vento batte sui muri, il vecchio maniero si trasforma e come in un bosco, sonnacchioso di giorno, la vita riaffiora, e lo fa incontrollata, sommergendo l’oscurità di mille e mille voci accorate.

Tutti noi, qui dentro, parliamo nel sonno…

 

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1 commento »

  1. Ho letto il racconto un paio di volte; ha catturato la mia attenzione subito perchè mi ha evocato scene a cui in genere cerco di non pensare, quando vado a trovare mio padre in casa di riposo. Chiudendo gli occhi ho anche immaginato un reparto di psichiatra , o un vecchio manicomio Quelli che per fortuna ora non ci sono piu’ e dove si entrava sani e si usciva ( quando se ne usciva) completamente rimbambiti. Peccato per il finale un po’ frettoloso, ( ma forse eri legato al numero di battute consentite). Una curiosita’: esattamente a cosa ti sei ispirato?

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