Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2013 “L’azzeccagarbugli” di Pier Francesco Sica

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Un giovedì qualunque. Tribunale di Roma. Ma potrebbe essere qualunque tribunale. Mattina. Edificio A. Piano terra. Andirivieni di gente. Umanità varia. Cancellieri. Imputati. Detenuti. Polizia penitenziaria. Carabinieri. Finanzieri. Poliziotti. Giudici. Parenti. Razze di tutti i tipi e colori. E odori. Gente qualunque. E avvocati, ovviamente.
La vittima. È lì che pontifica a distanza di sicurezza dal cellulare. E urla, come se il suo interlocutore fosse dall’altro capo del mondo.
Di bassa statura. Stempiato, ma con una capigliatura che si sviluppa in orizzontale un incrocio tra Abramo Lincoln e Danny De Vito. Con un accozzo di colori ed abbinamenti improbabili. Giacca blu di panno. Cravatta con un nodo che aspira a diventare una sciarpa, con un misto di fiorellini azzurri e viola, che non gli arriva nemmeno all’ombelico. Una camicia con un colletto che ti ci potresti soffiare il naso. “Collettoni” li chiamano qui quelli che le portano e che sembrano rincalcati, con la testa attaccata direttamente al corpo. Non un bello spettacolo. Ma vanno di moda, dicono. Pantaloni di fustagno ascellari e stazzonati. Pancia prominente. Mocassino nero tipo Pakerson con un tacco che non ha nulla da invidiare ad una scarpa grunge anni ’70. Entra in sala avvocati, saluta con un urbi et orbi tutti i presenti, cattura il Messaggero e si stravacca. Calzino bianco corto d’ordinanza.
Si avvicina una persona si china e gli sussurra qualcosa all’orecchio, il principe del foro, si alza di scatto. Chiude il giornale e parte, di gran passo. Io dietro. Usciamo dall’edificio A. Cortile interno. Entra nell’edificio B. Piano primo aule “arrestati” in gergo. È un viavai di gente portata in manette in aula e riportata via sempre in manette. Una catena di montaggio. Qui si svolgono i processi per direttissima. I parenti trepidanti aspettano di cogliere uno sguardo fugace del loro caro. E lui con il collo torto mentre lo tirano via grida sempre qualcosa di incomprensibile. Il nostro principe del foro aggancia i parenti e scuote la testa. E loro sembrano implorarlo. Il nostro è inflessibile e continua a rassicurare tutti con la sua benedizione. È una tecnica. E da consumato frequentatore delle aule arrestati, indicandosi il petto sembra dire ci penso io, voi aspettate qua, non vi preoccupate. E loro, i parenti lo guardano come se fosse il Messia che cammina sulle acque, mentre entra all’interno dell’aula.
Finisce il processo. Il Messia esce come se fosse il primario che deve sciogliere la prognosi. I parenti sono trepidanti in attesa. Il loro sguardo passa dalla speranza alla delusione alla rabbia. E no il giudice di oggi era troppo severo e non sono stati fortunati. Ma avrebbero fatto l’istanza di scarcerazione e con un pò di fortuna sarebbe andato ai domiciliari. Di onorari nemmeno a parlarne. Il nostro passa in rassegna il parentame e finisce per squadrare i piedi di uno alla sua destra. Gli punta un dito e gli fa:”che numero porti?”

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