Premio Racconti nella Rete 2026 “Un San Valentino per il commissario Prudenti” di Franco Ganovelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2026Il commissario Prudenti sedeva alla scrivania del suo ufficio in via del Lavoro 28, indeciso se andare a casa o rimanere a lavorare ancora un poco. Erano le ventitré e trentasei e tutt’intorno regnava il silenzio, fatto salvo per il rumore d’un televisore sintonizzato sul festival di Sanremo, probabilmente acceso in qualche appartamento del palazzo di fronte. Era il 14 febbraio e la festa di San Valentino stava finendo sulle note di una vecchia canzone dei Righeira. Non c’era stato nessun delitto, quasi l’amore per un giorno fosse veramente sceso tra il traffico e l’immondizia della città.
Non che l’odio se ne fosse andato, stava probabilmente riposando nella finta pazienza dell’uomo violento o nella mal sopportata noia di un gruppo di adolescenti. Gianni Prudenti aveva un dono o una maledizione, secondo i punti di vista: lui vedeva le persone morte. Ce le aveva davanti, in tante foto appese sul muro per mezzo di semplici cornici. Erano i commissari che l’avevano preceduto, in ordine cronologico. Le prime immagini, in bianco e nero, mostravano volti seri in rigide pose, i più erano sbarbati, ma con folti mustacchi dalle forme bizzarre. Proseguendo si poteva leggere l’evolversi delle mode, nel taglio dei capelli e negli indumenti, fino ad arrivare al colore, da quello un po’ sbiadito fino alla nitidezza iperlucida di una fotografia digitale. Tutte avevano un elemento in comune: lo sguardo indagatore, occhi ai quali era impossibile mentire.
Erano tutti morti, ma solo l’ultimo nello svolgimento del proprio dovere. Perché nel tempo il rispetto per i commissari di polizia era venuto meno e si era arrivati al colmo di sparargli alla schiena, così com’era accaduto al povero dottor Angelo Bastanti, il suo predecessore. Ma a Gianni mancava solo una settimana alla pensione e la foto era già stata scattata. Aveva congedato l’agente Ruffino alle dieci, consegnandolo alla fidanzata, com’era giusto che fosse, ed era rimasto solo a godersi una delle sue ultime notti di lavoro, anche se in fondo non aveva molto da fare, niente che non potesse lasciare al suo successore. Il commissariato lo sovrastava ed era sotto di lui, una decina di stanze vuote dove regnava la notte, lui era avvolto nell’unica luce di tutto l’edificio. Erano le ventitré e quarantadue quando il telefono risuonò tra le pareti del suo ufficio. Da una finestra aperta del palazzo di fronte si diffondeva una canzone di Cristicchi, dalla sua un ossessivo squillare e nessuno che ponesse fine a quella pena.
Ci pensò per primo il commissario Prudenti, sollevando la cornetta. Mancavano solo sei giorni alla sua pensione, che cosa volevano da lui alle ventitré e quarantadue del 14 febbraio?
«Pronto, commissariato di Versa. In cosa posso esserle utile?» Dall’altro capo del filo giunse un respiro affannoso.
«Pronto, con chi parlo?» Riprese il commissario con tono stizzito.
«È lei il commissario Prudenti?» Domandò una voce femminile carica d’angoscia.
«Sì, signora, in cosa posso esserle utile? E lei come si chiama?»
«Sta salendo le scale, si è fatto aprire da qualcuno!» Proruppe la voce con tono concitato.
«Di chi sta parlando, signora, chi sta salendo le scale?»
«Oh mio Dio, si è fermato davanti alla porta, sta provando ad entrare…» Gridò la donna.
Gianni sentì una scarica d’adrenalina attraversargli il corpo. Si alzò dalla sedia senza lasciare la cornetta. Il leggero torpore che l’aveva pervaso fino a quel momento si era del tutto dissolto. Qualcosa di brutto stava succedendo da qualche parte in quel preciso momento e lui avvertiva l’inutilità del testimone, che nulla può se non assistere impotente.
«Signora…» gridò: «Dove si trova?»
«In… in via Bandini numero 9, sca… scala B, terzo piano, interno C.» Disse tra le lacrime. Il commissario si appuntò l’indirizzo su un foglio che infilò nella tasca dei pantaloni, quindi rassicurò la signora.
«Sarò da lei in un attimo, nel frattempo cerchi riparo in una stanza che può chiudere a chiave e…» Stava per aggiungere, non apra a nessuno ma all’ultimo momento si trattenne. Appoggiò la cornetta, s’infilò la giacca e lasciò di corsa l’ufficio. Scese le scale due gradini alla volta e uscì nel parcheggio antistante il commissariato. Dove aveva lasciato la macchina? Là non c’era. Voltò l’angolo dell’edificio ma anche il vicolo era vuoto. Si mise a correre, ogni attimo poteva significare la vita o la morte per una persona. Trovò l’auto dopo qualche minuto, parcheggiata lungo un viale. Come c’era arrivata fin là? Si chiese sorpreso, ma non aveva tempo da perdere in inutili congetture e si affrettò a metterla in moto. Partì in terza e il motore si arrestò con un singulto. Erano le ventitré e quarantasette quando finalmente la Punto Evo del commissario Prudenti si immise nella circonvallazione. Era indeciso se usare o meno la sirena lampeggiante, non c’era traffico e decise che non fosse necessaria.
Quale svincolo avrebbe dovuto prendere? In quale quartiere si trovava via Bandini? La città non era grande e quel nome gli ricordava qualcosa ma non era sufficiente a guidare la sua corsa. Impostò il nome sul navigatore e lasciò fare alla tecnologia, sperando non lo conducesse in qualche vicolo cieco, c’era in gioco la vita di una persona. Un delitto passionale, probabilmente, la vendetta di un uomo ferito nell’orgoglio. Oggi li chiamavano femminicidi, un termine che non aveva mai sopportato. Alle ventitré e cinquantuno entrò nel quartiere Lama, il navigatore lo condusse davanti a un palazzo di sei piani, tipico esempio di edilizia popolare anni ’90. Si catapultò fuori dall’auto e corse verso l’ingresso. Sentiva il cuore pulsargli nelle tempie, mancavano sette minuti alla mezzanotte e solo sei giorni alla sua pensione. Si pentì d’aver concesso all’agente Ruffino quel permesso d’uscita anticipata, cedendo ad uno stupido spirito romantico, ma era tardi ormai per le recriminazioni.
Salì i gradini con circospezione, tenendosi sempre vicino al muro e avendo sempre un occhio verso l’alto della tromba delle scale. Regnava il silenzio, se qualcosa doveva accadere probabilmente era già accaduto. Arrivò al terzo piano, all’interno C. La porta era socchiusa ma non portava segni d’infrazione. Quando s’introdusse nell’appartamento, notò un lungo corridoio semisepolto dall’oscurità. Vicino all’ingresso c’era un tavolino con un telefono, la cornetta giaceva appesa al filo, immobile come un filo a piombo. Il commissario cercò la sua pistola d’ordinanza e scoprì d’averla lasciata dentro il cassetto della scrivania. Imprecò sottovoce e proseguì con la massima cautela. Vide una flebile luce filtrare da una porta a vetri.
L’aprì ed entrò dentro una sala dove, seduta su una poltrona, stava abbandonata una donna di mezza età, il capo riverso su una spalla. Solo quando fu a un metro da quel corpo notò in lei qualcosa di familiare. Marta, si scoprì a mormorare. La donna si svegliò e vedendolo gli sorrise. Gianni, rispose, e si alzò per abbracciarlo.
«Pensavo non saresti più arrivato in tempo, è quasi mezzanotte. Sei riuscito a trovare la strada da solo? Bravo il mio amore, vieni in cucina che ho preparato una piccola torta. Vieni a festeggiare San Valentino.»
Lui la seguì, impacciato, chiedendosi chi mai fosse quella signora gentile.
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