Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Scorrere” di Barbara Bertani

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

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–Io non ci penso proprio!–  sibilo a denti stretti, con il fiato sempre più corto –Va bene?!– mi esce in un grido stridulo, forse sono riuscita a fare un respiro più profondo ed è uscito tutto insieme.

Ora tutti ci guardano.

Non mi importa, anzi, meglio.

–Non ci monto su quell’autobus con le ali.–  scandisco bene, come se questo potesse far cambiare qualcosa –Hai capito?– ripeto guardando negli occhi lo steward, che adesso è molto perplesso. Il suo sguardo vaga dai miei occhi sgranati alla mia mano che sembra non voler mollare il corrimano.

Sono in fondo alla scaletta. I piedi piantati in terra. Occupo tutto lo spazio. Più in su, le hostess confabulano tra loro. Dietro di me, la coda degli ultimi passeggeri.

-Beh, ha ragione.– chioccia una signora poco distante mentre scruta il volto grassoccio e ben rasato di un ometto elegante che sta al suo fianco –Caro, non vedi come è piccolo? Sarà sicuro?–.

-Che scemenza! Insomma! Se non vuole salire, si sposti e ci faccia passare.– reclama un tipo in giacca e cravatta, con un tono per niente comprensivo.

Anch’io non mi capacito della mia reazione, anzi di questa sorta di paralisi che mi ha assalito. Ho sempre amato viaggiare, scoprire nuovi posti, conoscere altre persone. Certo, assicurare che volare è sicuro a chi è privo di ali è impossibile, ma non è mai stato un problema, perché semplicemente non me lo domandavo. L’aereo era un mezzo per raggiungere la felicità, per appagare il mio desiderio di novità e tanto bastava a spazzare via il senso di vertigine.

Mentre lo steward decide di chiamare il medico e il signor giacchettina minaccia una richiesta di risarcimento alla compagnia aerea se non mi spostano entro cinque secondi, io mi chiedo “ma perché non ho preso il treno?!”

Cosa credevo di fare?  Non ho più la stessa forza, lo stesso coraggio, lo stesso entusiasmo, la stessa energia di prima di mettermi in pausa. C’è questo interruttore che non funziona più: lo metto su on o su off, ma stacca sempre e torna in modalità standby. Tanto dopo passa, tanto poi tutto si aggiusta. Poi, invece, passano i giorni i mesi e gli anni e non è vero. Anzi, questo maledetto interruttore non vuole più sganciarmi!

La dottoressa riesce ad intromettersi nei miei pensieri. Non sono obbligata a salire, ma non posso fare ritardare il decollo. O salgo o scendo. Ora. Annuisco a me stessa e chiudo gli occhi.

I pensieri che mi si srotolano nella mente sono l’unica cosa che prevale rumorosamente sul resto. Neanche mi accorgo che qualcuno mi ha scollato la mano dalla ringhiera della scaletta, mi ha appoggiato il palmo aperto sulla schiena e con una lieve pressione è riuscito a farmi muovere. Un brusio. Il cielo azzurro.

Cambiare aria per un po’, nella speranza di ritrovarmi. Un mese o qualche giorno, ma non soltanto un’ora in attesa dell’imbarco! E’ uguale: non ce la posso fare!

Stringo con forza la maniglia del trolley. Devo lasciare perdere. L’ansia mi accorcia talmente il respiro che, per non soffocare, mi esce un rantolo.

-Finalmente!- Oh, si, questo invece lo sento, è il signor giacchettina-non-ho-tempo-per-nessuno-non-intralciare-i-miei-piani che voleva salire sul mio stesso aereo.

Mi volto inferocita (oddio, sto reagendo).

-Lei  è un egoista pieno di sé. Si vergogni!- grido –Ma che ne sa- poi la voce mi muore in gola.

E’ a pochi passi da me, ma non è più sul piazzale e neanch’io sono più lì.

Una piccola folla applaude.

-Brava! Brava!- gridano e iniziano a sfilarmi davanti.

Sono rimasta a bocca aperta, con i capelli che svolazzano sul viso, gli occhi spalancati per lo stupore, la mano dello steward sulla schiena.  Devo spostarmi di lato per fare posto a un omone.

-Vedrà che andrà bene!- ride e passando mi tira una pacca sulla spalla.

Sono in cima alla scaletta. Il portellone dell’aereo è spalancato accanto a me. Non so chi ha azionato l’interruttore, né sono certa che sia su on o su off, però qualcosa sta accadendo dentro di me e mi piace quello che provo. Il respiro si è fatto più profondo, più lento e vorrei che non finisse mai quest’aria da respirare: è così bella!

-Si va?- chiede la dottoressa.

-Si- sussurro –Si- ripeto più sicura.

Ho lo sguardo appannato dalle lacrime, per il senso di libertà che provo, per il senso di riconoscenza verso la vita, che, evidentemente, vuole che resti viva finché vivo.

-Io non vengo. Lo sa?- mi chiede porgendomi un flaconcino.

Annuisco.

-Questo lo prenda in caso cambiasse idea. Giusto per arrivare di là.- sorride e me lo consegna –Ma il volo è breve. Non le servirà. Mangi qualcosa, legga, dorma e si faccia mettere in un posto vicino a un’ala.-

Guarda lo steward e, con un cenno del capo, saluta e scende in fretta le scale.

Infilo il flaconcino in una tasca del cappotto. Tiro su con il naso. Apro la borsa. Dò la carta di imbarco allo steward e mi asciugo le lacrime e il naso.

-Bene, io sono Juan, adesso vediamo dove dovrebbe sedersi.-

Un odore pungente mi fa tossire.

-Ne ha ancora per molto? Perché vorrei finalmente raggiungere il mio posto!- gracchia giacchettina, sventolando la carta d’imbarco.

Diamine, anche il suo dopo barba mi irrita! Lo steward e una hostess si scambiano uno sguardo veloce: far calmare e imbarcare.

-Venga signore passi di qua- e, frapponendosi tra lui e me, crea un corridoio neutro –così vediamo dove farla accomodare.-

Spero lontano, anzi lontanissimo da me!

Lo sento borbottare, ma si allontana.

-Dunque,- riprende Juan – tenga el bigliette e mi segua.-

Mentre solleva il mio bagaglio a mano, noto la fede che porta al dito. Guardo la mia. Sospiro e mi obbligo a pensare soltanto a dove si trova il mio posto.

§§

Sono seduta. Seduta. Insomma. Più che altro incastrata nel sedile vicino all’ala. Non mi sono ancora tolta il cappotto e tengo la borsa stretta tra le mani come un fagotto, sulle gambe.

Lo steward ha riposto il mio trolley nella cappelliera. Mi ha sorriso e se ne è andato.

Il posto accanto al mio per il momento è vuoto, ma sopra ci sono un giornale e un cappello.

Sospiro e allento la presa dalla borsa. Mi volto e guardo la tendina aperta, il vetro un po’ sporco, l’ala, il piazzale, un trenino con i bagagli, un aereo enorme poco lontano e, poi, il cielo azzurro.

Ok. Fa caldo. Devo liberarmi di qualcosa prima che il mio vicino torni.

Mi alzo. Sposto il flaconcino dalla tasca alla borsetta. Un po’ ricurva mi slaccio il cappotto e lo sfilo. Lo ripiego e mi allungo di lato per riporlo nella cappelliera. Già, ma esattamente dove? Ché qui è già pieno zeppo? Sul mio trolley, ecco se spingo un pochino ci sta!

Una hostess sta facendo il giro lungo il corridoio. Saluta. Sorride a destra e a sinistra. Si sposta un po’ a fatica tra borse, pance e persone ancora in piedi.

Armeggio ancora dentro la cappelliera, tiro un’ultima pacca al cappotto e mi risiedo.

Veramente ora vorrei fare anche la pipì, ma forse ancora non posso. Non mi ricordo. Si può solo quando siamo in volo?

Sento lo scricchiolio di un pacchetto. Odore di patatine. Mmm. Buono. Una manica del cappotto penzola di sotto. La la la, se la ignoro forse sparisce.

-Cara- una voce gentile si intromette nel mio tentativo di teletrasporto maniche –è suo quel cappottino?-

Alzo lo sguardo oltre il sedile dietro al mio e incrocio quello della signora che si sta sporgendo verso di me. Potrei anche negare che sia il mio. Io non so proprio dove infilarlo! Ma il suo sguardo si illumina quando mi riconosce.

-Oh, caro.- si rivolge a qualcuno seduto accanto a lei, dietro ad un quotidiano aperto –Guarda chi c’è qui. Saresti così gentile da darle una mano?-

Si volta di nuovo verso di me e sorride. Ha ancora le mani appoggiate al mio schienale. Profuma di buono. Il giornale si ripiega frusciando e appare un volto pacioso.

Questi due perfetti sconosciuti si stanno preoccupando per me? Ho le lacrime agli occhi. Dovrei dire “Non occorre. Grazie. Si, è mio. Ora lo sistemo” e alzarmi per farlo, ma mentirei. Alla fine mi passo le mani sotto gli occhi e ricambio il sorriso.

-Va bene. Grazie. Proviamo.- dico e spero davvero che ci riesca.

§§§

La pipì si poteva fare. Oh, sì, si poteva! Che sollievo. Sono andata. Sono tornata e ho trovato il mio vicino di posto comodamente spalmato su un sedile e mezzo. Sta sfogliando una rivista.

-Buon pomeriggio signore e signori è il comandante Gonzales che vi parla- inizia a gracchiare l’interfono, rimandando una voce profonda e mono tono (ma chi parla a questi microfoni non respira mai?) -siete pregati di prendere posto e allacciarvi le cinture- continua.

L’uomo alza la testa dalla rivista e mi vede. In piedi. Nel corridoio. Accanto a lui.

Osservo il mio mezzo posto. Non so come potrò farlo, ma non vedo altra scelta. L’uomo mi sorride.

-Oh, è lei dunque? Prenoto sempre un posto accanto al mio, ma hanno detto che si trattava di un’esigenza particolare.- dice alzandosi –Se si mette di lato, esco e la faccio passare, poi ci organizziamo.- e mentre lo dice mi sposta ed esce nel corridoio –Adesso capisco.- aggiunge ridendo –Vada. Vada.- e mentre lo dice mi sposta di nuovo ma verso il mio sedile –Basterà tenere sollevato il bracciolo di mezzo. Credo.-

Ride di nuovo di gusto, con la sua risata panciuta, che fa sembrare tutto semplice e leggero.

Mi siedo un po’ riluttante. Sono dimagrita molto negli ultimi tempi, ma non occupo sicuramente lo spazio di un gatto! Mi accosto al finestrino, sempre senza dire un parola. Intanto lui si siede di nuovo e, non si sa come, ma ci stiamo. Posso anche allungare le gambe. Mi resta da scoprire dove posso mettere il braccio sinistro, ma non importa.

Dovrei dire che mi dispiace, ma non ci riesco proprio. Lo osservo. Sorrido. Ricambia lo sguardo. Alza le spalle e mi dà una pacchetta amichevole su una mano.

-E’ tutto okay.- dice.

Annuisco con un cenno del capo.

-Grazie.- rispondo.

La voce dell’interfono è cambiata. Vedo una hostess con indosso un giubbino, che soffia in una cannuccia, poi indica sopra e sotto al sedile accanto a lei. Prende una mascherina. La ignoro. Se mi servirà, spero che cali giù come si deve.

Le ruote dell’aereo iniziano a scorrere sulla pista.

Mi allaccio la cintura. Appoggio la testa indietro sullo schienale. Chiudo gli occhi, stringo il bracciolo e faccio un respiro profondo. Decolliamo! Poi l’aereo vibra sempre di meno, la pressione si allenta, i miei occhi brillano mentre mi giro verso il finestrino e sorrido. Il mondo è la sotto, sempre più piccolo, e io sto volando!

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10 commenti »

  1. Mi è piaciuto.
    Divertente e profondo
    Sembra di vederli il signor giacchettina-non-ho-tempo e la compagnia aerea
    E’ bello accompagnare chi ritrova le ali, viene voglia di gridare ” non ti voltare!”

  2. Molto bellino.
    Vincere le proprie paure e trovare le persone giuste sono tasselli fondamentali.
    L’ autrice suona le corde giuste di ognuno di noi.

  3. E poi ? Dov’è giacchettina a? È la protagonista è vero che è in volo , ma poi ???…

  4. Il racconto scorre bene, è piacevole.
    Ho percepito l’emozione, raccontata con leggerezza, ma che arriva dritta!
    A volte basta davvero poco per stare meglio e ripartire!

  5. Alessi@ grazie per averlo letto ed avere lasciato un commento. Si, a volte ci capita di avere le ali strappate e continuare o intraprendere un percorso diventa oltremodo faticoso. Però sono convinta che è sempre possibile farle ricrescere o rafforzare, perché le ali sono ciò che ne facciamo dei nostri sogni, della fiducia, della speranza e che la vita di ogni persona è un viaggio, anche quella del signor Giacchettina?, solamente io dubito che lui ne sia consapevole.

  6. Tra la paura di volare e l’antipatia per giacchettina, la protagonista scopre di provare ancora emozioni, nonostante l’evento che l’ha portata a non desiderare più nulla (probabilmente un lutto, perché guarda la fede sul suo dito con aria malinconica). Saper raccontare con leggerezza anche le angosce più spaventose, è un talento.

  7. Sandra22 grazie per avere letto il mio racconto e per avere lasciato un commento su, dentro ci sono anche il vincere le proprie paure e il trovare le persone giuste.
    Ho notato che non sappiamo mai quale sia ta scala giusta da salire e non possiamo sapere quali persone ci aiuteranno a farlo, ma trovare il coraggio di tentare è quanto di meglio possiamo scegliere.

  8. Paola73, grazie per avere letto il mio racconto e avere lasciato un commento. Sapere di avere trasmesso un’ emozione è impagabile e che sia arrivata la leggerezza anche. Ho voluto fortemente che ci fossero, perché senza non si riesce a scorrere né si può volare.

  9. nonnaFiore grazie per avere letto il mio racconto e per avere lasciato un commento. Avere lasciato il desiderio di conoscere altro, mi dà una sensazione molto bella ! Si, io il seguito ce lo potrei avere, basterà che ascolti i personaggi e loro, come ogni volta, mi sapranno dire. Nel frattempo mi piace scoprire, quando e se capita, che cosa si immagina chi ha letto il racconto.

  10. Scorrevole il tuo racconto e sembra di librarsi in volo.
    Complimenti.

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