Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2023 “Treni presi, treni persi” di Adelaide Guerriero

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Anita prese posto nel treno che, come ogni sera, la riportava dalla città al suo paesino montano, al termine della giornata di lavoro.

Avvistò un paio di facce conosciute, compagni di viaggio di circa vent’anni di pendolarismo.

La salutarono, passando oltre per cercare posto più avanti nella carrozza. In fondo, non le dispiaceva.

I sedili accanto a lei erano ancora tutti vuoti, condizione inconsueta durante il resto dell’anno ma abbastanza comune nel periodo che precedeva le feste natalizie. Ne approfittò per sfilarsi lo zaino che usava per trasportare il pc di lavoro, il cappotto pesante e la sciarpa di lana e riporre tutto sul sedile accanto a sé. Diede un’occhiata distratta fuori dal finestrino, il treno sarebbe partito a minuti. Per lo più, a quell’ora la stazione brulicava di altri pendolari come lei. Alcuni ritardatari correvano lungo il binario, agitando sconnessamente le braccia e urtando i malcapitati vicini con borse e sacchetti.

Come consuetudine sui treni dei pendolari, anche sul suo si era ormai formata una vera e propria comunità, solidale negli sbadigli del viaggio di andata per via delle levatacce mattutine e unita dalle conversazioni stanche del viaggio di ritorno, per lo più incentrate sulle vicende delle rispettive giornate lavorative.

Erano nate anche diverse amicizie su quel treno. Lei stessa poteva annoverare fra le persone che frequentava più spesso alcune signore conosciute durante i tanti anni di viaggio, con cui alla fine aveva scambiato il numero di telefono e aveva cominciato ad uscire qualche volta durante il weekend. Si trattava di uscite sporadiche e tranquille, naturalmente. Cene, per lo più, ma a volte anche spettacoli teatrali o sagre nei paesi vicini.

Non era una vita emozionante, forse, ma tutto sommato apprezzava la sua routine così rassicurante.

Eppure, non era sempre stato così. Ormai superata la soglia dei cinquant’anni, a volte ripensava sorridendo ai suoi anni giovanili, che sentiva talmente lontani da lei che quasi sembrava li avesse vissuti qualcun altro. Nata e cresciuta in un paesino nascosto tra i boschi, a circa un’ora di treno dalla città, aveva ricevuto un’educazione piuttosto rigida dalla famiglia, che la amava e che lei ricambiava con tutto il cuore, ma che l’aveva tenuta al sicuro dai pericoli della città e dai divertimenti più mondani.

Raggiunta la maggiore età, però, avevo deciso di scoprire cosa si era persa sino ad allora.

E l’aveva fatto in grande stile, con uno zaino preparato in fretta e furia, senza una reale cognizione di cosa le potesse servire, qualche discussione serrata con i suoi genitori, bronci, lacrime e infine saluti e raccomandazioni che stesse attenta e non si lasciasse ammaliare e trascinare da cattive compagnie e che ricordasse gli insegnamenti che le erano stati impartiti.

E così, era partita all’avventura, su un treno per Berlino, trovandosi all’improvviso catapultata in una metropoli viva, frenetica, multiforme, stracolma di stimoli, luci, suoni, sensazioni.

Alle superiori aveva studiato all’istituto linguistico e con le sue poche nozioni di tedesco era riuscita a trovare un lavoro da commessa in un negozio di abbigliamento, imparando velocemente tutto ciò che le serviva per vivere e integrarsi alla perfezione in quell’enorme città.

Si era anche trovata un folto gruppo di amici, provenienti da diverse parti del mondo e insieme esploravano i quartieri più alternativi, frequentavano i locali più underground, partecipavano alle feste più affollate e rumorose.

Dopo circa un anno in cui aveva vissuto la vita per la quale sembrava nata, con una capacità di adattamento che superava qualsiasi più rosea e ottimistica aspettativa, era rientrata a casa per le vacanze, due settimane in cui era stato detto e fatto di tutto per farla sentire in colpa per la sua lontanaza dalla famiglia, le preoccupazioni causate ai genitori, il suo voler essere, per forza, diversa da ciò che era sempre stato auspicato per lei.

Con la morte nel cuore e la certezza che se ne sarebbe pentita per molto tempo a venire, era quindi rientrata a Berlino, soltanto per lasciare il lavoro, salutare gli amici e impacchettare la sua roba, per fare rientro, per sempre, nel suo piccolo paese.

Aveva così finito per costruirsi, senza in realtà cercarla, una vita di abitudini e doveri, intervallati da radi momenti di pacato svago. Dopo qualche anno come impiegata tuttofare in un’azienda a conduzione familiare in paese, aveva trovato un’occupazione in città come contabile, lavoro che svolgeva dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18, in un piccolo ufficio dove non passava praticamente mai nessuno. Una settimana di ferie estive all’anno, pochi giorni a Natale e in prossimità di altre feste comandate. In tanti anni di lavoro, le assenze si contavano sulle dita di una mano. Nel tempo che le restava, si occupava della madre, ormai rimasta sola, con la quale viveva nella stessa casa in cui era cresciuta. In primavera e in estate organizzavano cene in giardino con i vicini, amici di famiglia ormai non più giovani e, ogni tanto, con i cugini che arrivavano in visita con consorti e figli. Aveva pochi momenti da dedicare esclusivamente a sé stessa e per lo più si presentavano la domenica e li trascorreva leggendo un libro, guardando un film alla tv o, quando il tempo lo permetteva, andando a fare una breve passeggiata nel bosco vicino.

La sua routine, naturalmente, includeva anche i viaggi in treno nei giorni feriali, al mattino e alla sera, per raggiungere il lavoro e tornare a casa.

E proprio durante uno di questi viaggi, circa dieci anni prima, qualcosa di inaspettato era successo.

Come sempre al termine della giornata lavorativa, si trovava seduta nel treno di ritorno, aspettando la partenza. Una calca di persone affluivano sul treno come un torrente in piena. Tra queste, un uomo che aveva preso posto di fianco a lei, mentre i due sedili di fronte erano già occupati da due delle sue compagne di viaggio abituali. Si stavano scambiando gossip riguardanti alcuni colleghi di lavoro e quasi non fecero caso al nuovo arrivato. Lui, invece, si era messo ad ascoltare distrattamente la conversazione, giusto per passare il tempo, tenendo lo sguardo fuori dal finestrino.

Man mano che il discorso proseguiva, però, era stato sempre più preso dai racconti e, in particolare, era incuriosito e divertito dai commenti di Anita, pungenti e sagaci, che facevano sbellicare le altre due. Le aveva lanciato una rapida occhiata nel riflesso del finestrino. Era una donna dal viso solare, curata ma non agghindata per catturare lo sguardo altrui. Era semplice e piacevole nella sua modestia.

Il treno era partito e il discorso tra le tre donne si era protratto fino alla fermata in cui le altre due erano scese e avevano lasciato Anita da sola, con lo sconosciuto a fianco. A quel punto, l’uomo aveva preso coraggio e aveva goffamente provato ad intraprendere una conversazione con lei, con un commento confuso e farfugliato su quanto aveva ascoltato sino ad allora.

Anita, dal canto suo, era solita socializzare velocemente e le veniva naturale riuscire a chiacchierare senza alcuna timidezza con chiunque. Così, alimentò a sua volta la conversazione, iniziata in modo così stentato e rapidamente si ritrovarono a parlare del più e del meno, lei con una scioltezza che poteva quasi far supporre fossero amici di vecchia data, lui in un modo timido e imbarazzato, che era anche dovuto al fatto che, in realtà, stava cercando un po’ di piacerle e questo rendeva molto più complicato sembrare naturale e rilassato. Anita, invece, non aveva nemmeno sospettato che si trattasse di un approccio a sfondo romantico e procedeva nei discorsi con la massima serenità.

Non era accaduto nulla di più in quell’occasione. Ma, casualmente, tutti i giorni successivi lui riuscì ad intercettarla nel viaggio di rientro serale, a volte anche già sul binario, e a sedersi accanto a lei.

Dopo alcune settimane di conversazioni quasi quotidiane, lui si era infine deciso a chiederle il numero di telefono e, a quel punto, non passava momento della giornata in cui non si sentissero per raccontarsi i più svariati aneddoti o semplicemente le vicende della giornata.

Infine, si erano dati appuntamento per vedersi al di fuori del contesto ferroviario. Prima diversi caffè insieme in città, poi un paio di passeggiate domenicali, infine una cena al ristorante in un paese vicino. Con il tempo e tutta la calma possibile, era infine nata una storia d’amore. Lui era convinto di aver trovato la donna della sua vita, lei si sentiva felice di avere finalmente qualcosa che la facesse di nuovo sentire emozionata, trepidante, viva.

Così, le cene erano diventate frequenti durante la settimana, così come le passeggiate nei weekend. Parlavano tanto, si sentivano al telefono quando non erano insieme, si confidavano e erano convinti che non ci fosse difetto dell’altro che avrebbe potuto infastidirli.

Ma via via che il rapporto era diventato più stretto e intenso, erano aumentate anche le osservazioni pungenti della madre di lei, che si sentiva ormai trascurata dalla figlia e, di conseguenza, crescevano i sensi di colpa di Anita e i suoi dubbi sul voler sovvertire così la propria vita cadenzata, tranquilla, senza scossoni sino ad allora. E così infine, dopo un anno di frequentazione, aveva dichiarato, con profondo dispiacere ma con altrettanta dolce risolutezza, di non essere in grado di proseguire quella relazione, che fino ad allora nessuna tristezza e nessun motivo di incertezza aveva dato ad alcuno dei due e aveva interrotto quello che, lui ne era certo, avrebbe potuto essere un lunghissimo cammino felice insieme.

Anita, invece, non si era mai pentita della sua scelta e anche quando, anni dopo, rivedendolo casualmente in treno, aveva notato al suo dito la fede che prima non c’era, non ne aveva sofferto e si era sentita, tutto sommato, felice per lui. “I treni passano una volta sola” le aveva detto una volta un’amica, commentando la rottura. Ma lei, aveva replicato, non era interessata a treni che portavano in posti inaspettati: stava bene sul suo solito, familiare, treno da pendolare.

Il fischio del capotreno la distolse infine dai suoi pensieri. Il treno si mosse e, quasi contemporaneamente, squillò il suo cellulare.

“Ciao mamma, dimmi”.

“Anita, stai tornando? Volevo solo dirti di non passare a prendere nulla per cena. Ti ho preparato le lasagne”. Il suo piatto preferito. Sorrise.

“Grazie, mamma. Tra un’ora sono a casa”.

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