Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Un piede non in gamba” di Franc Allkja

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Ovvero come un piede alla rinfusa suscitò grande confusione civile

Dubito che uno di voi abbia vissuto una vita senza aver sbattuto il mignolo contro almeno uno spigolo. Ma statemi ad ascoltare un momento e capirete cosa fece il mio per farmela pagare.

Avevo appena aperto gli occhi quando i ricordi della sera precedente mi attanagliarono. Salendo le scale, con la testa un po’ tra i fumi azzurrognoli dell’alcol, avevo picchiato la porta cercando di entrare in casa. Il dolore, che fino a prima di addormentarmi era diventato insopportabile, adesso era completamente sparito.

Feci per alzarmi quando, inaspettatamente, con un rumore secco che sembrò lo scoppio di un petardo, caddi goffamente per terra. Stetti un po’ seduto a ragionare sui fatti, ancora assonato. Tirai su il pigiama e vidi sbucare un moncone sbiadito e spelacchiato. Un che di scandaloso mi sopraffece quando notai che il mio piede destro era sparito.

Avvolto da cute rosea, pareva anestetizzato. Fui preso dallo spavento e mi misi a cercarlo. Infilai la testa sotto il letto e subito starnutii quando sniffai una zaffata di polvere stantia. Un piccolo scarafaggio si mise prima all’erta, scrutandomi con minuscoli occhi scintillanti, poi fuggì sulle piccole zampette pelose. Non una traccia del mio amatissimo piede. Lo cercai anche dentro l’armadio, sotto il cuscino e persino dentro il bidone della spazzatura. Il piede che avevo picchiato era scomparso.

Mi sedetti di nuovo sopra il letto. Questo fece un rumore strano, come lo sbuffo di una puzzetta, e per un attimo pensai di aver schiacciato il piede. Ahimè, erano solamente le molle usurate del materasso. Rimasi in silenzio per una quarantina di minuti, sforzandomi di accettare il mio destino crudele. Volevo piangere, ma mi resi conto che potevo ancora contare sull’altro piede. Rincuorato, me ne feci una ragione, ma l’idea, però, di dover camminare su un piede solo mi sembrò una montagna insormontabile e un fardello penosamente pesante. Che questo avesse mai deciso di prendersi gioco di me per averlo schiacciato sbadatamente contro la porta?

Faticavo a muovermi e non potevo neanche uscire di casa. Non che ne avessi bisogno, sia chiaro. Il Circolo poteva certamente andare avanti senza di me. Saltellavo qua e là, stancando ingiustamente il povero piede sinistro rimasto solo. Il peggio era quando si gonfiava e diventava tutto paonazzo. Allora decideva di non ubbidire più, costringendomi a ore intere di completa immobilizzazione sulla sedia.

Passavo le interminabili ore seduto a leggere il giornale che, di primo mattino, il postino infilava nella feritoia della posta. Era l’unico che mi dava uno scorcio della vita alla quale il piede errante aveva deciso, così imprudentemente, di gettarsi. Ero triste, ma non avrei mai pensato che lui se ne potesse andare così, senza alcun preavviso, solo perché l’avevo sbattuto.

Lessi, perplesso, che nel mio quartiere tranquillo, popolato da gente tanto garbata da far venir voglia di creare una nuova ricetta per la signorina Joanne, che aveva una pasticceria in fondo alla strada, erano cominciate ad accadere cose molto strane. Gli abitanti dichiaravano di sentire rumori bizzarri. Giuravano di udire scricchiolii sospetti provenire dalle finestre chiuse, di vedere impronte sui giardini fitti d’erba. Alcuni signori denunciavano lo smarrimento di orologi da polso. Le signore del quartiere piangevano le loro bellissime candeline spezzate e si strappavano i capelli pettinati e tinti con perossido quando scoprivano che i loro gioielli erano scomparsi e gli specchietti delle loro portacipria si erano screpolati. Capite che la gente del mio quartiere non era abituata a delinquenze simili. Loro non avevano nulla a che fare con stranezze del genere e ne avevano sempre fatto tranquillamente a meno.

Era già passata una settimana senza che il mio piede avesse dato segni di vita quando mi capitò sotto mano un articolo così peculiare da lasciarmi sbigottito e a dir poco imbarazzato.

“L’idillico quartiere di E. si svegliò stamane in preda a un panico sconcertante.” – recitava. “Durante la scorsa notte, il famoso proprietario della locanda ‘Il pesce bitorzoluto’ è stato ucciso in modo brutale. Quando suddetto signore non si era affacciato al locale per servire ai primi avventori il loro solito bianchetto, fu chiamata immediatamente la polizia, che trovò l’anziano steso nel proprio letto con la gola squartata. Dopo la prima perlustrazione, i RIS hanno trovato l’impronta sanguinosa di un piede destro. Dalle loro ricostruzioni sembra che un uomo con una gamba sola si sia servito della finestra per accedere e uscire dalla stanza, premurandosi di non lasciare in giro segni che lo identificassero.”

Rimasi esterrefatto. Che un piede potesse compiere un tale atto spregevole contro il proprio umano? E per un incidente, nientemeno. Secondo me non si trattava neanche di una frattura del falange. Poi, bastava guardare quello sinistro. Aveva le dita corte e grassocce come piccoli salsicciotti. Una punta di unghia si scorgeva ogni tanto, e nel quinto dito si vedeva a malapena.

Trascorsi tutto il giorno a rimuginare sull’articolo, fino a quando fui così stanco da pensare che la cosa più saggia da fare fosse quella di lasciare che la notte mi portasse consiglio. Caddi, dunque, in un lungo e profondo sonno.

Il giorno dopo, la brezza mattutina mi svegliò solleticandomi i peli che spuntavano dalle narici. Non ricordavo di aver lasciato la finestra aperta. Alzandomi, con la testa appesantita dalle tante ore di sonno, prima di mettere l’acqua a bollire, vidi sul davanzale dei gioielli e qualche orologio da polso. Il mio cuore saltò un battito e, grondando sudore freddo, presi il giornale sotto la porta. In prima pagina avevano inserito una foto dell’impronta sanguinosa lasciata dal piede assassino.

“Il piede si è mosso di nuovo. La sfortunata del ‘pazzo monopodico’ è la signora J.O., comunemente conosciuta come ‘la donna dei cento pasticcini’ per via della sua ammirevole abilità a sfornarne di cento gusti diversi. La donna è stata trovata nella cucina della pasticceria con la gola che sorrideva come un ghigno scarlatto. Ormai i RIS sono certi che l’assassino si muova solo di notte e che abbia una certa predilezione per le persone un po’ spinte con l’età. Loro sono inoltre giunti alla conclusione che il soggetto dovrebbe essere un uomo abbastanza corpulento, vista l’impronta ben definita. Per quanto riguarda l’arma dei delitti, i RIS concordano che si tratti niente meno che di un banale coltello da cucina. Hanno però dei dubbi sulle capacità dell’assassino. Il taglio, seppur letale, è vergognosamente storto. Presenta un corto tragitto ondulato che fa loro domandare come mai un tale così incapace si sia messo a uccidere persone diversamente giovani.”

Non mi stava bene che avessero preso in giro il peso del mio piede. Per giunta, senza neanche avere delle prove concrete. Dimenticai per un attimo la tazzina del tè. Rovistai tra gli utensili e notai che mancava il grosso coltello da cucina. Un singulto mi fece quasi perdere l’equilibrio. Fui fortunato a non cadere e ringraziai in silenzio il piede sinistro per la tenace presa al pavimento.

Era surreale. Un piede non può vendicarsi così. Guardavo come, poco fa, il sinistro avesse retto tutto il mio peso senza farmi cadere. Più guardavo l’unghia del mignolo che sbucava dalla carne come la spina di una rosa, e più mi rifiutavo di accondiscendere a simili affermazioni.

Stavo per prendere in mano la tazza ormai raffreddata quando bussarono alla porta. Saltellai fin là, infuriato, e l’aprii con una ferocia inaudita. Potete immaginare il mio sgomento quando, dall’altra parte, non vidi nessuno. Strinsi gli occhi e scrutai il vuoto in silenzio. Qualcosa passò tra i miei – beh, piedi – ed entrò dentro. Abbassai la testa, tenendomi con una mano alla maniglia della porta.

“Eccolo!” – esclamai. Il moncherino era finalmente tornato a casa, lasciandosi dietro una scia di impronte sanguinate. Aveva l’aria profondamente offesa, il mignolo scheggiato da piccole emorragie superficiali e l’unghia sepolta nella carne gonfia e macerata.

“Come hai potuto?” – gli dissi, mentre chiudevo la porta velocemente.

Lo guardai bene. Teneva tra le dita storte il coltello da cucina con la lama tinta di rosso. Sulla pelle aveva sparse qua e là delle croste di sangue e, sparpagliati tra i pelucchi, dei sassolini, un po’ di sabbia e della terra.

Risoluto a cercare delle spiegazioni e a cavargli delle risposte concise, gli domandai:

“Cosa avresti da dirmi?”

Il piede restò in silenzio, incurante del fatto che mi avesse costretto a camminare tutti quei giorni su un piede solo. Saltellò verso il letto con il coltello ancora stretto tra le dita.

“Non così presto, bello mio” – continuai. “Con il tuo savoir-faire ci hai messo in grossi guai. Spero tu te ne renda conto.”

Indicai con la testa verso i gioielli rubati, ma il piede si nascose sotto il letto. È vergognoso venire ignorati da un arto. Dava proprio l’impressione che avrebbe parlato solamente in presenza di un avvocato. Dove lo trovavo uno che si occupasse di piedi?

“Adesso, tu ti rimetterai al tuo posto e faremo finta di nulla. Intesi?” – lo redarguii alzando la voce, rosso in viso dalla collera.

Non ebbi modo di ricevere risposta. Difatti, bussarono di nuovo alla porta, e un grande baccano prese la forma di distinte parole scandite con una certa autorità:

“Signor Bristol, sappiamo che si trova dentro. Apra immediatamente questa porta. Lei è in arresto!”

Mi ero completamente scordato delle impronte.

“Non ti muovere. Dobbiamo spiegare ai signori cosa è accaduto. Non pensare che te la faranno passare così liscia” – mi raccomandai al piede, prima di saltellare fino alla porta.

Tutto successe con una tale rapidità che non riuscii veramente a capire se furono loro a spingermi per terra oppure se scivolai su una delle impronte di sangue. Mentre mi trascinavano fuori casa, mi misi a gridare invano:

“È là sotto, è là sotto!”

Il piede aveva fatto prima: in modo curioso si era rimesso al proprio posto. Si girò giusto un poco intorno all’articolazione, provocandomi un leggero fastidio. Sentii il tallone fare crack mentre si posizionava per bene, come se volesse farsi beffe dello sguardo compiaciuto degli agenti che avevano preso l’assassino. Il coltello giaceva sul pavimento. Fu l’ultima cosa che vidi. Penso che ci abbiano pensato in un secondo momento.

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