Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “La rivincita” di Barbara Bonelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Le stava proprio bene quello che le era successo; non avevo alcun rimpianto per il mio comportamento, anzi ero davvero contenta.
Basta essere sempre gentile e cortese anche con chi non se lo merita e quella stronza non se lo meritava. Mi aveva fatto passare le pene dell’inferno; per colpa sua avevo perso il mio ruolo di coordinatrice, ma non certo la mia dignità.

Erano passati circa due anni da quando, a causa sua, avevo lasciato il lavoro. Ormai mi dedicavo alle mie passioni, riprendendo lo studio, la scrittura e la mia amata fotografia.

Un giorno lessi per caso di un concorso di poesie e decisi di parteciparvi, giusto per vedere se qualcun altro, oltre a me, avrebbe apprezzato ciò che scrivevo.

Nel regolamento del concorso c’era scritto che la premiazione si sarebbe svolta a Torino, decisamente lontano da casa mia, ma decisi di parteciparvi lo stesso, senza alcuna bramosia di vittoria.

Di sicuro ci sarebbero state tante persone iscritte al concorso, molte delle quali molto dotate.

Ad ogni modo, dopo un’attenta valutazione, scelsi una delle mie poesie preferite e la inviai.

Passarono alcune settimane e non ci pensai più, fin quando non arrivò l’e-mail dalla redazione del concorso. L’oggetto recava la scritta: “Finalisti selezione poetica” e mi comunicava che la mia poesia era stata scelta come finalista; dovevo però confermare la mia partecipazione alla serata di premiazione. Il vincitore della selezione sarebbe stato proclamato durante l’evento, dopo la lettura, da parte dei dieci finalisti, del proprio componimento.

E lì sorgeva il dilemma: affrontare o meno un viaggio fino a Torino per ricevere, magari, solo l’attestato o una targa?

A Torino poi non conoscevo nessuno; dove andavo da sola? Poi pensai che non avevo mai visto Torino e quella era, forse, l’occasione giusta per visitare il Museo Egizio che sognavo da tanto tempo.

Poi, a pensarci bene, ero sempre tra i dieci finalisti: avevo superato ben 880 partecipanti, cosi diceva l’e-mail. Certo, vincere era tutta un’altra storia.

Decisi di partire: ero finalista e avrei comunque portato a casa qualcosa. Se non altro una bella visita della città e, magari, avrei avuto l’opportunità di conoscere anche persone interessanti.

L’evento si sarebbe svolto di lì a otto giorni, quindi prenotai subito un biglietto A/R per Torino.

La mattina della partenza ero felice ed emozionata come non mai.

Presi la metro e mi recai alla stazione con il mio zainetto; sarei rimasta una sola notte. Ero abituata a viaggiare leggera, portando comunque con me tutto il necessario; nel tempo ero diventata un’esperta nel ridurre le dimensioni del mio bagaglio.

Arrivata alla stazione, già mi ero immersa in un altro mondo. Mi persi subito nei miei pensieri; adoravo viaggiare, e niente mi dava più piacere di un viaggio, breve o lungo che fosse.

Ero in discreto anticipo e mi recai al bar per fare colazione: con buon caffè e un cornetto caldo appena sfornato.

Dopo colazione, mi sentii subito pronta ad affrontare la mia avventura e mi diressi compiaciuta verso il tabellone delle partenze. Il mio binario era il numero 8, con partenza, in orario, alle ore 8,30.

Il binario si trovava verso la fine della stazione; quella di Roma è cosi grande che ci si perde pure chi ci vive.

Quindi mi incamminai e, quando finalmente arrivai al binario, sentii dietro di me una voce che non sentivo da più di due anni. Una voce stridula, con una risata grassa e ignorante, di chi, quando ride, mostra pure le tonsille.

Mi voltai e i miei occhi la videro; la fissai con un odio che nemmeno io immaginavo di provare.

Lei se ne accorse, ma distolse subito lo sguardo, fece finta di niente e mi passò accanto, continuando a ridere sguaiatamente con la sua piccola corte dei miracoli al seguito. Quell’immagine mi catapultò due anni indietro, quando assistevo alle stesse scene nei corridoi dell’ufficio: pause continue, chiacchiere e niente lavoro. Per me, che ero abituata a lavorare in modo serrato, queste cose erano inconcepibili.

Quando mi accorsi che il binario era lo stesso, ma non il treno, ne fui sollevata.

Rimasi ferma e feci un gran respiro; mi censurai da sola per non far uscire nemmeno un commento o una parola di troppo. Non volevo mi rovinasse quella giornata così speciale per me; non gliel’avrei mai permesso.

Mi incamminai nuovamente, continuando a guardarla, e notai che aveva una stampella.

Sicuramente niente di grave: si era rotta o slogata la caviglia o il piede. Ma, nel vederla cosi combinata, ne fui felice, inutile negarlo.

Salii sul mio treno, che nel frattempo era arrivato, e mi sedetti al mio posto, quello accanto al finestrino. Sistemai lo zainetto al mio fianco ed estrassi la macchina fotografica, mia fedele compagna ovunque andassi. Le stazioni mi hanno sempre affascinata e non mancavo mai di scattare foto ai treni e alle persone, cercando di catturare emozioni e stati d’animo che difficilmente si vedono altrove.

Le attese, i saluti, la felicità, la tristezza, sono i sentimenti umani e la loro vulnerabilità, che mi piace catturare in un istante.

Mentre ero lì, intenta a guardare la banchina per trovare il mio scatto, mi accorsi di un giovane ragazzino che stava correndo; era riuscito ad arrivare fino ai treni eludendo i controlli all’ingresso della stazione. Probabilmente aveva cercato di rubare qualcosa ai malcapitati viaggiatori. Nella foga della corsa, per scappare ai poliziotti che lo avevano adocchiato, inciampò nella stampella di quella che per me era stata la causa di ogni male.

Il ragazzino si rialzò al volo e continuò la sua corsa verso la libertà. Quella strega, invece, cadde e con lei anche la borsa che aveva al braccio, la quale si aprì rovesciando a terra tutti quegli impicci che era solita portare con sé, esattamente come faceva in ufficio.

Non riuscii a trattenermi e scoppiai in una risata talmente forte che se ne accorse anche lei; l’eco, infatti, dalle porte ancora aperte della carrozza, erano giunte fino alle sue orecchie. La cosa che mi fece godere di più fu la sua espressione, tra l’imbarazzato e il nervoso, che denotava tutto il suo risentimento e la sua stizza per la mia reazione.

In quel momento pensai che a volte, anche le piccole cose ci possono dare grandi soddisfazioni.

Probabilmente lo capì anche lei; in ufficio, purtroppo, non ero riuscita a far valere le mie ragioni e alla fine me ne ero andata. Ma in quel momento, tutto ciò che provavo per lei era esploso con forza, come un vulcano risvegliato da un lungo letargo che finalmente erutta, liberando nel cielo una pioggia di cenere e lapilli.

Continuai a fissarla e a ridere fino alle lacrime.

Lei si affannava a raccogliere tutte le sue cianfrusaglie sparse sulla banchina, e io non riuscivo a smettere di ridere. C’era qualcosa di irresistibilmente comico nella sua frenesia, ancor più perché era consapevole che io continuavo a guardarla e a ridere senza ritegno.

Erano le 8,30 in punto. Il mio treno emise un fischio, le porte si chiusero e lentamente partì, portandomi verso uno splendido fine settimana sicuramente pieno di belle emozioni.

Non so perché, ma tutto ciò che era successo alla stazione mi fece pensare che fosse un segnale positivo per me; quella soddisfazione era solo l’anticipo di una vittoria che mi stava aspettando al varco. Ora ero ancora più fiduciosa e pensavo che, in fondo, ogni tanto, una rivincita, seppur piccola, nella vita ci vuole!

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1 commento »

  1. Un racconto ben scritto, sono riuscita a immaginarmi ogni scena descritta dall’autrice. E sono d’accordo con la protagonista, ogni tanto una piccola rivincita ci vuole. Brava e complimenti!

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