Premio Racconti nella Rete 2025 “Dis-Percezione” di Elena Barocci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Specchio non mente. O forse sì?
Specchio è mio amico, ma non è un tipo troppo affabile. È il compagno onnipresente delle mie giornate, da sempre, e spesso non fa il bravo.
A volte non voglio guardarlo, cerco di ignorarlo come posso. Abbasso lo sguardo quando gli passo davanti, mi concentro, stringo i denti e la mia fronte si riempie di rughe. Altre volte mi avvicino timidamente per pochi secondi, giusto il tempo necessario affinché io possa controllare di aver abbinato decentemente i vestiti prima di uscire. Poi mi allontano velocemente e cerco di cancellare l’immagine appena intravista dalla mia testa.
Poi, capita che Specchio mi streghi, mi catturi. Mi intrappola, impiego ore intere nel tentativo di ricomporre, da capo, quell’intricato puzzle che scorgo oltre il vetro.
Di mattina, mentre mi sto cambiando per andare in Università, inizia il nostro rito tossico e perverso.
Chi è quella lì? Non la riconosco, io.
Ha gli occhi sbarrati – ha paura? – e i capelli sporchi, spettinati, raccolti in uno chignon alto, decisamente poco ordinato. Il naso è dritto, proporzionato, ma se lo si guarda per più di ventinove secondi di fila diventa enorme, si ingigantisce a dismisura. La bocca è bella, se rimane chiusa. Ha due labbra carnose di un bel tono rosato che si addice perfettamente all’incarnato, ma i denti sono grandi e un po’ storti, e il sorriso troppo largo, mi sembra inquietante, ha una piega innaturale.
Sfoggio mille versioni differenti di sorrisi, lasciando a Lui decidere la migliore, la più accettabile. Ma Specchio scuote il capo e dice che sarebbe meglio se non ci provassi affatto, sono più carina quando non sorrido – chiudi quella boccaccia!
Poi c’è il corpo. Corpo che mi appare come un Picasso mal fatto, mal distribuito. Pezzi sparsi e incoerenti che fluttuano nel riflesso e mutano continuamente. Si restringono e si allargano, non riescono a prendere una ferma decisione. Le gambe mi danno filo da torcere più di tutto il resto. Le cosce in particolare, e il sedere. C’è sempre qualcosa non mi convince. Allora ci riprovo, strizzo gli occhi e mi concentro nuovamente. È cambiato qualcosa, è vero, ma ora ho notato del tessuto in più, che prima non c’era. Lo stringo tra pollice e indice, se solo avessi con me una gomma da cancellare…
Questi incontri ravvicinati con Specchio non hanno fatto altro che causarmi problemi. Se devo comprare un paio di pantaloni nuovi vado nel panico più totale. Cerco di divincolarmi maldestramente tra camerini, taglie – che ovviamente non azzecco mai – e cugini crudeli di Specchio, che mi additano e urlano gli insulti più deplorevoli. Nel caos generale, mi sorge un dubbio atroce: ma io, quanto Spazio occupo nel mondo? Quanto ne dovrei occupare? Quanto me ne servirebbe davvero per starci bella comoda dentro?
In questo triste e frivolo Pianeta delle apparenze, Specchio è la mia Narnia nera: vorrei tuffarmi e sparirvi dentro, tornare nel mio uovo. Lui scruta attentamente ogni piega del mio volto, ogni insignificante dettaglio delle mie forme, mi mette totalmente a nudo. Finché non sento il petto pesante, e la nebbia in testa, tanto che sono costretta a sedermi per riprendere fiato.
Ma c’è anche un altro osservatore inatteso, silenzioso e insistente, che da un po’ di tempo si è accomodato tra le prime file della giuria.
Spesso, capita infatti che un’anziana signora mi stia osservando dal suo balcone, posto esattamente di fronte al mio, mi fissa assiduamente. All’inizio le sorridevo e la salutavo con la mano, ma lei non ha mai ricambiato, non compare mai espressione alcuna sul suo viso, inciso da mille pieghe raggrinzite. Allora, un giorno, mentre continuava imperterrita a seguire coi suoi piccoli occhi curiosi ogni mio movimento attraverso il vetro del finestrone, ho ben deciso di spalancare quest’ultimo e restare per un bel po’ in piedi lì davanti.
In mutande.
Forse l’ho sconvolta, ha inarcato le sopracciglia, visibilmente contrariata, ed è rientrata in casa subito. Ha finalmente visto tutto ciò che c’era da vedere, ora non oserà mai più interrompere le mie interminabili sedute con Specchio.
Tanto, il vero occhio resta sempre qui, appeso al muro. E io, ancora una volta, smetto di respirare per guardarmi meglio.