Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Il fratello” di Michele Sozzi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

   «È normale per te. Siamo tuoi figli. Hai sempre voluto che andassimo d’accordo. E – credimi – mi sono sforzato di farlo. Fino a quando eri viva, almeno. Poi, scusa, non ce l’ho fatta più.»

   Aveva gli occhi spalancati nel buio e dialogava con sua madre, morta da dodici anni. Il cuore gli batteva alle tempie e le gambe non trovavano pace. Scostò la coperta e si mise seduto sulla sponda del letto. «Per fortuna non hai visto, mamma. Ti saresti rivoltata nella tomba.» Sentiva accanto a lui il respiro di sua moglie che dormiva, o forse fingeva. Poco prima l’aveva sentita tirare su col naso e soffocare qualche gemito.

   Si alzò in silenzio senza accendere la luce e raggiunse tastoni la porta della camera. La richiuse delicatamente dietro di sé e accese la luce nel corridoio. Quando fu in cucina si versò un bicchiere d’acqua e si sedette al tavolo. L’orologio sulla parete faceva un tic-tac beffardo, incalzante. Sembrava il timer di un quiz televisivo. Quanti battiti gli restavano? Il medico gli aveva detto che con l’intervento si sarebbe risolto tutto, ma era lo stesso medico che tre settimane prima, palpandogli la pancia, gli aveva detto: «Solo un piccolo indurimento qui a sinistra, niente di più. Stia tranquillo, probabilmente una contrattura.» Poi però gli aveva fatto fare la colonscopia e ora doveva essere operato. Anche sua madre aveva avuto lo stesso problema e in meno di due anni era morta. E nel suo caso? Chi gli garantiva che sarebbe stato diverso? Un “piccolo indurimento”, una “contrattura”. C’era da fidarsi di uno che parlava così?

   Era da quel giorno che aveva ricominciato a parlare con sua madre. La interrogava, le faceva confessioni, le chiedeva consigli. Come aveva fatto a sopportare quell’inferno senza lamentarsi mai? Cosa aveva pensato nelle notti insonni? Aveva sperato, pregato, inveito contro il destino? Si era rifugiata nei ricordi? Aveva parlato con sua madre come faceva ora lui? E cosa aveva pensato degli altri, di quelli che, premurosi e sorridenti, la circondavano? Che recitavano una parte? Che sapevano tutto e che fingevano? Oppure che credevano veramente nella sua guarigione? E se avesse avuto un fratello che non vedeva da anni l’avrebbe voluto accanto a sé? Era questo il dubbio che nella palude di quella notte lo tormentava: come doveva comportarsi con suo fratello?

   «E invece ho visto» disse sua madre. «Da qui vedo tutto e, se lo vuoi sapere, è già da un po’ che mi sto rivoltando nella tomba.»

   «Mi dici allora perché dovrei informarlo?»

   «Perché è tuo fratello.»

   «Ti pare che si sia comportato da fratello?»

   «E tu, allora, come ti sei comportato?»

   «Volevo agire per il suo bene.»

   «Non era più un bambino. Aveva il diritto di decidere lui qual era il suo bene.»

   «Ma, mamma, lo sai che è sempre stato un irresponsabile.» Quella parola gli sembrò fuori luogo. Lui, che per tutta la vita era stato responsabile e previdente, passava ora notti insonni perché un imprevisto gli aveva sbarrato la strada. Suo fratello non ne sapeva ancora niente. Non si sentivano da anni, da quando, dopo la morte della madre, avevano litigato e troncato i rapporti.

   «Quello che più mi addolora è sapere che è stato per causa mia.»

   «Questo non è vero, mamma. Tu avevi fatto le cose per bene, avevi diviso tutto a metà, con cura. Non sopportavi l’idea che dopo la tua morte sorgessero incomprensioni tra di noi. E invece…»

   «Invece vi siete azzuffati come cani rabbiosi… Dio mio, ma perché spingersi fino a tanto? Ignorarsi per tutti questi anni, non sapere dove ci si trova, se si è in salute, se si è vivi. Due fratelli! Creature venute dal mio stesso grembo. È una cosa insopportabile.»

   «Ho notizie indirette. È vivo e sta bene. È pieno di debiti, ma sembra non curarsene, come ha sempre fatto, del resto.»

   «Sempre questo astio! Anche ora.»

   «Non doveva dirmi quelle cose.»

   «Erano solo parole.»

   «Le parole sono importanti, mamma! “Piccolo indurimento” non è la stessa cosa di cancro. Chi parla deve stare attento a quello che dice. Dire che sono stato responsabile della tua morte perché non ho voluto portarti in quella clinica in America, come aveva proposto lui, è stata una gran cattiveria. Chi si è occupato di te mentre lui se ne andava in giro per i suoi progetti grandiosi e inconcludenti? Quel viaggio a New York sarebbe stato del tutto inutile.»

   «Lo so, ma nell’ira si dicono tante cose. Quante volte mi hai detto che meritavo di essere trattata da serva perché non mi ribellavo a tuo padre. Poi mi chiedevi scusa e finiva lì.»

   «Lui non mi ha chiesto scusa.»

   «E tu l’hai fatto?»

   «Avrei dovuto? Per aver pensato al suo bene? Per averlo messo in guardia da sé stesso?»

   «No, per avergli imposto le tue idee, per aver cercato di impedirgli di vendere la sua parte di casa, per averlo umiliato. Gli avevi detto che avrebbe avuto bisogno di un tutore. A proposito di parole…»

   «Beh, abbiamo visto com’è finita. Mi ha costretto a svenderla quella casa, la nostra casa, quella in cui siamo cresciuti. Avremmo potuto affittarla e il ricavato sarebbe stato tutto suo. Così avrebbe avuto una piccola rendita. E invece, come avevo previsto, nel giro di un anno si è mangiato tutto.»

   «Ti ha chiesto mai qualcosa? Ha mai preteso da te un aiuto? Che so, un prestito o anche solo una firma in banca?»

   «No, ma prima o poi…»

   «Prima o poi? Ma cosa ne sai!»

   L’orologio continuava a fare tic-tac. “Prima o poi”: che senso avevano ora quelle parole? Sarebbe stato davvero un suo problema aiutare il fratello? Rabbrividì. Non era ancora abituato a pensare in questi termini. Il suo futuro si era riempito di condizionali.

   «Allora, lo chiami?» chiese sua madre.

   «Per cosa? Per suscitare la sua pietà?»

   «No, per permettergli di starti vicino, per risparmiargli rimpianti in futuro. È brutto perdere una persona senza poterla salutare. Voi con me avete potuto farlo. Non negargli questa possibilità.»

   Tornò a letto e immaginò il proprio funerale. Venivano lodati il coraggio e il senso di responsabilità con cui aveva affrontato la malattia, gli stessi che aveva avuto per tutta la vita. Suo fratello, pentito, piangeva disperatamente.

   Quando due settimane dopo si svegliò dall’anestesia vide sua moglie che gli sorrideva, tenendogli la mano.

   «Com’è andata?» chiese.

   «Bene» rispose lei. «Ho parlato ora con il professore: intervento riuscito.»

   «Ha tolto tutto?»

   «Sì, sì» rispose lei con una prontezza che gli parve sospetta. Come facevano a esserne così sicuri? Lei rifuggì il suo sguardo e si concentrò sulla flebo: «Ma scende sta roba?»

   «Cosa ti ha detto esattamente?» insistette lui.

   «Non ha parlato molto. Ha detto solo che ha asportato tutto quello che era visibile.» Continuava a tenere sotto controllo la boccia della flebo. «Quasi quasi chiamo l’infermiera.»

   «Aspetta. Non ha detto altro?»

   «Non mi pare. Cosa doveva dire?»

   «Sono stati presi i linfonodi, il fegato…?»

   «Qualche piccolo linfonodo, mi pare, ma sono stati tolti anche quelli. Tranquillo, pensa a riposare ora.» Gli strinse la mano e gli sorrise con tenerezza. «Posso chiamare l’infermiera ora?»

   «Devo fare la chemio?»

   «Non lo so, non me l’ha detto.»

   Un paio d’ore dopo il professore gli disse che la massa era di cinque centimetri, che c’erano quattro linfonodi e che la chemioterapia andava fatta per sicurezza. Cosa significava tutto questo? Aveva tolto tutto oppure no? Da un po’ di tempo le parole erano diventate vaghe. “Piccolo indurimento”, “prima o poi”, “per sicurezza”. Aveva l’impressione che le mani tese per aiutarlo fossero pronte a ritirarsi, accompagnandosi a parole volutamente ambigue. Lui invece voleva sapere, voleva capire, voleva essere totalmente padrone della propria vita. Le parole non lo aiutavano, anzi, lo confondevano. Dietro alla loro indeterminatezza c’erano fatti concreti, che si svolgevano inesorabilmente, noncuranti delle definizioni che venivano loro date. C’erano eserciti di cellule ribelli, che sfuggivano allo sguardo attento del chirurgo “asportatutto” e che marciavano verso terre lontane per devastarle e saccheggiarle. E per fermare quegli eserciti bisognava “per sicurezza” bombardare tutto il mondo.

   «Lo vedi quanto poco contano le parole?» disse sua madre. «E tu, per delle parole dette in un momento di rabbia, hai rinnegato tuo fratello?»

   Era di nuovo solo, di notte, in un letto d’ospedale. Invece che il ticchettio dell’orologio della cucina di casa sentiva il russare del suo vicino di letto, qualche lamento che veniva da un’altra stanza e il parlottare delle infermiere nel cucinotto del reparto. Ogni tanto c’era il bip-bip di un infusore che si bloccava, un richiamo, uno sbattere di porte. Rumori irregolari, che non scandivano il tempo, ma che sembravano tenerlo in sospeso, in attesa che la vita riprendesse. «Quando riprenderà la sua vita…» aveva detto il primario. E perché? Quella di ora, per quanto limitata, non era vita? E poi, una volta a casa, l’avrebbe veramente “ripresa” la sua vita, o non l’avrebbe piuttosto affidata alle parole ragionevoli e sapienti dei vari oncologi, radiologi, chirurghi, patologi e a quelle elusive e caritatevoli della moglie? Parole difficili da decifrare, alle quali credere o non credere, parole che escono facilmente dalla bocca, fughe incontrollate di sostanze nocive che possono cambiare la vita.

   «Chiama tuo fratello» ripeté sua madre per tutta la notte.

   Il sonno sopraggiunse al mattino, un sonno interrotto dall’andirivieni delle infermiere, delle ausiliarie, dei medici.

   Appena sveglio vide al letto del vicino un giovane medico, che aveva già notato per il suo gusto un po’ ingenuo di ostentare le proprie conoscenze. Gli chiese qualcosa della propria malattia, in particolare quale fosse la prognosi di un tumore di cinque centimetri con quattro linfonodi coinvolti.

   «Beh, dipende…» rispose il giovane con le mani nelle tasche del camice e il fonendoscopio appeso al collo «dipende se è uno stadio III A, B o C. Le percentuali di sopravvivenza vanno dal 70 all’80 per cento a due anni.»

   «E dopo?»

   «Dopo scendono, ovviamente.»

   Apprezzò la sincerità. Evidentemente per quel giovane lui era talmente vecchio che, se anche fosse vissuto qualche anno in meno, non sarebbe cambiato molto.

   All’orario di visita chiese alla moglie un favore. In un cassetto della sua scrivania c’era una vecchia rubrica nera. Le chiese di portargliela. Il numero che cercava lo aveva cancellato dal suo cellulare dieci anni prima.

   «Non è necessario» disse la moglie.

   Lui la guardò stupito: «Perché?»

   Lei sorrise. Gli occhi le luccicavano. Gli prese la mano e sussurrò: «È qui fuori.»

   «Qui fuori?»

   Lei annuì.

   «Chi? Lui?»

   «Sì.»

   «Ma come ha fatto…»

   «Ha saputo da un amico, uno che lavora in anestesia. Preferisce aspettare prima di entrare. Vuole sapere se è bene accetto.»

   Rabbrividì. «Fallo entrare, ti prego, subito.» Non riuscì a trattenere le lacrime.

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