Premio Racconti nella Rete 2025 “Aggiustare le ore” di Manuela Pomicino
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025
“Tempo disgraziato!”
Marina imprecava contro le ore delle sue giornate sempre troppo corte, mentre a passi rapidi raggiungeva il mercato. Ansimava. I sandali con la zeppa sbattevano di continuo contro i sanpietrini divelti della strada.
Erano le 10 di mattina e voleva fare in tempo a mettere in tavola un pranzo memorabile.
Delle recensioni non le importava. La sua pensione era sempre piena, le poche camere prenotate con mesi d’anticipo.
Lei voleva piacere, sorprendere, imprimersi nella memoria dei suoi ospiti.
Una cartolina d’auguri a Natale o un messaggio sul telefono da chi avesse soggiornato anni prima nella Pensione “da Marina” valevano più di mille stelline su internet.
“I soldi finiscono” diceva spesso. “La salute oggi c’è, domani non si sa, gli uomini tradiscono… il tempo è infame, la memoria è la sola ricchezza che teniamo”.
Sulla via di casa, con le buste piene di pesce fresco e, una foglia di scarola che sbucava dalla sporta, malediceva i tacchi di legno, gettando occhiate di disprezzo a quella mala gioventù che vedeva impigrirsi nella noia, seduta sui bordi della fontana della piazza, senza compiere altro sforzo che portare una sigaretta alla bocca, mandando in fumo quelle ore che sarebbero servite a lei.
*
Quel giorno Marina era ancora più ansiosa del solito perché aspettava un ospite importante, un professore di Napoli che era stato mandato nientedimeno che dalla Soprintendenza; doveva fare non so che, aggiustare non so cosa, era esperto di chissà che. La ricciola doveva essere superba, la fama delle sue alici mbuttunate doveva arrivare fin dentro ai corridoi della soprintendenza, dell’università, del Vaticano, dell’universo intero.
Mauro vide passare Marina, come ogni giorno, sudata, frettolosa. “Avrà 20 anni più di me, ma quanto mi fa sangue, non lo potete capire!” disse agli amici. E intanto le fissava le natiche sporgenti sotto il vestito, indugiava sul polpaccio che guizzava ad ogni passo, sul tallone liscio che le sbucava dal sandalo alto; ne immaginava il sudore profumato, la pelle che assorbiva gli odori della cucina e del mare, in un misto inebriante di passione di vita. “Vai, portale la spesa” lo incalzavano i compagni. “No, non è cosa” diceva lui. “Quella è na’ femmena ‘e conseguenza, vuole fare tutto da sola, mi manda a quel paese!”
Si era fatto mezzogiorno. Lo capiva non soltanto dal ritocco del campanile ma anche da quel sole ancora non caldo di primavera, che ora sentiva cadergli a picco al centro della testa.
*
“Buongiorno, mi chiamo Lauro, e risolvo problemi”.
Nuresh, il sagrestano, lo guardò smarrito.
Lauro non si scompose. “Non ha visto Pulp Fiction, vero?”
Ridendo si fece strada all’interno, con la valigetta in mano e l’impermeabile ripiegato sul gomito. “Sono Lauro Soleri, lo gnomonista… non le ha detto niente il parroco?”
Dinanzi alla faccia perplessa di Nuresh, la sua risata fragorosa fece tremare le fiammelle dei ceri davanti all’immagine di San Gaetano.
“Restauro meridiane! Don Vito mi ha chiamato per restaurare quella della chiesa”.
“Chiedo scusa, non parlo ancora la lingua, vengo dallo Sri Lanka”. Il giovane appariva ancora disorientato. “Siete venuto da Napoli? Posso offrire un caffè?”
“Sì, con l’aliscafo. Una passeggiata sull’isola si fa sempre volentieri! Niente caffè, procediamo con il sopralluogo”.
“Il problema è che il parroco non c’è e non mi ha detto niente” si giustificò il sagrestano. “Io non sapevo che c’era una meridiana in questa chiesa; a dire la verità, non so nemmeno com’è fatta!”
“Lo so. I giovani stanno perdendo memoria di queste piccole meraviglie dell’ingegno; dunque, le meridiane, o orologi solari, erano gli orologi quando non c’erano gli orologi” continuò il professore. “Come spiegarti? C’è un’asticella, lo gnomone; la sua ombra si allunga su dei numeri segnati in una data posizione, che rappresentano l’ora del giorno, o a volte le stagioni”.
“Ah, ho capito, venga con me”. Nuresh accompagnò Lauro all’esterno della chiesa, nella piazzetta. “Quella?” Indicò un punto in altro sulla facciata laterale, sotto la cupola. I numeri erano sbiaditi e una crepa nel muro alla base dell’asticella faceva sì ch’essa pendesse obliqua. “Ci vorrà un’impalcatura; c’è un operaio qui in paese?”
*
“Professore, dite la verità, la ricciola… ne avete mai mangiata una più buona?”
“Mai, signora Marina, dico sul serio. Era tutto ottimo, preparato con cura”.
Lauro si ripulì gli angoli della bocca col tovagliolo; prese il calice davanti a sé e fece oscillare il vino bianco.
“La luce, che cosa potente!” Butto giù l’ultimo sorso e guardò di nuovo Marina.
“Non le dispiace mai?”
“Che cosa professò?”
“Faticare, darsi tanto da fare… e poi vedere scomparire tutto in pochissimo tempo sotto il palato di quelli come me, che si saziano, salutano e se ne vanno!”
“E vabbè” sorrise lei. “Ma poi, però, quando vi diranno Marina del porto, voi vi ricorderete di questo sapore, anche tra 20 anni”.
“E chi ce li ha vent’anni? Cosa sono vent’anni?”
Marina non seppe cosa dire; non aveva mai pensato al tempo in questi termini. Anche la memoria scompare. Di lei non sarebbe rimasto nulla, come la ricciola, come le alici, come il limoncello dell’anno precedente.
“Pranzerò qui ancora domani, poi credo che avrò finito il mio lavoro”.
“Per stasera gradite carne?”
“Grazie, mangio una sola volta al giorno; farò una passeggiata al tramonto sulla spiaggia e andrò a dormire”.
Marina sparecchiò, lanciando uno sguardo al mare; da quanto tempo non passeggiava al tramonto?
*
“Sei un esperto di impalcature?”
Dalla terrazza in basso, il professore dava le istruzioni: più in alto, più a destra, ora a sinistra.
Mauro sembrava destreggiarsi bene tra assi di legno e tubi d’acciaio.
“Sono figlio di operaio, vado con mio padre da quando avevo 15 anni”.
“E pure tu fai l’operaio?”
“Quando capita”.
“E nel resto del tempo che fai?”
“Niente, mangio il gelato, guardo le ragazze, vado amare…”
Mauro martellava, saldava, trapanava.
Infine, diede la calce per otturare la crepa.
“È stato facile, no?” Gli chiese Lauro.
“Sembra facile professò, ma non per forze è”. rispose Mauro allegramente. “Per esempio, a voi vi pare facile stare tutto il giorno senza fare niente? E invece perdere tempo è un’arte! A volte non ti passa mai, ci vuole pazienza, bisogna aspettare il momento giusto ma poi, così, bellebbuono, arriva nà risata, nà battuta che non te l’aspettavi, lo sguardo di una bella ragazza… Le cose migliori succedono senza preavviso, e così come sono venute se ne vanno…”
Lauro pareva divertito. “E allora a che serve sapere che ore sono?”
“A niente! Il tempo lo hanno inventato le persone tristi!”
“Il tempo non ha importanza quando sei giovane. Ma quando soffri sì. Il dolore si misura in ore; ti domandi quando finirà, ti dici che è durato abbastanza…”
Lauro sembrò incupirsi, ma Mauro, che ora scendeva dall’impalcatura, sembrò non farci caso.
“Allora io sono stato fortunato! Sono stato una meridiana pure io senza saperlo!”
*
Nuresh accompagnò al porto il professore.
“Grazie per avermi spiegato tutte quelle cose sul tempo; sa, nella cultura Tamil, che è molto vicina all’induismo, le cose non hanno un inizio e una fine ma si ripetono all’infinito, così anche la vita si ripete dopo la morte, e il tempo ricomincia ogni volta”.
“Non sei un prete cattolico?”
“Sì, ma una parte del mio cuore crede che rinasceremo molte volte prima di andare in paradiso”.
“La verità è che alla fine il tempo è un’illusione! Lo puoi misurare, calcolare, ingabbiare… l’unica certezza è che abbiamo una scadenza e siamo destinati a sparire senza lasciare traccia”.
“Professore, ultima domanda. Se l’ora del giorno si poteva capire solo dalla posizione del sole, come facevano di notte o quando era nuvoloso?”
“Si arrangiavano!” rispose Lauro, sollevando le braccia e avviandosi sulla banchina.
*
Dopo poco, dalla prua dell’aliscafo, Lauro vide due sagome che si sbracciavano per salutarlo.
Li riconobbe. Due ombre che si allungavano all’infinito dai loro corpi, sotto gli ultimi raggi del sole al tramonto.
“Aggiustare le ore” – a proposito, che bel titolo! – è un racconto ricco di spunti: sfiora la filosofia, insegna un paio di cose, tocca con garbo temi come la sensualità o la cultura gastronomica, disegna in pochi tratti, con abilità e sfumature interessanti, i suoi personaggi. L’ho trovato molto piacevole e scorrevole alla lettura, con un bel montaggio e uno stile che passa con disinvoltura dal narrato al dialogato, reso ancora più vivace da alcuni innesti coloriti. Molto bello e poetico il finale che fa delle persone degli gnomomi, chiudendo idealmente il cerchio. Complimenti
Grazie! finalmente un commento!! Mi fa piacere che si capisca il finale, che peraltro vorrebbe aprire uno spiraglio su una possibile storia tra i due…
È un piacere, gentile Manuela, approfitto dell’occasione per scusarmi per il refuso presente verso la conclusione del commento
Ciao Manuela, complimenti per questo tuo racconto. Il tempo mi ha sempre affascinata: ha velocità diverse in base all’età, anche la sua importanza e il suo significato cambiano con la crescita. Bello come riesci a toccare le varie età: il tempo illimitato della giovinezza al quale non si dà importanza, il tempo limitato dell’età adulta e, infine, il tempo universale che si ripete uguale a sè stesso e che altro non è se non l’assenza del tempo stesso.
Mi hai fatto davvero riflettere! Complimenti ancora.