Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2023 “Solo Andata” di Simona Visciglia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Ti osservo da un po’: sei seduto di fronte a me, nel salottino del Frecciarossa Roma-Milano. Ci separano il tavolino, la custodia dei miei occhiali da vista, un libro dalla copertina stropicciata.

Siamo sul lato del corridoio, di fianco a me un uomo di mezza età in giacca e cravatta, di fianco a te un ragazzo sulla trentina, molto elegante anche lui.

Tu quanti anni avrai? Non più di ventidue o ventitré, potresti essere mio figlio. Ma io non ho figli, non ne ho mai voluti, mi è mancata l’occasione forse. E adesso, a cinquant’anni – sì, proprio oggi ne compio cinquanta – non ha neanche più senso chiedersi come sia andata.

Ti avevo già intravisto prima di salire sul treno, tu con il tuo zaino in spalla, l’aria distratta, gli auricolari piantati nelle orecchie, il cellulare in mano; io in attesa, ferma lì sul binario, a fumarmi una sigaretta senza tanta voglia, giusto per mettere a tacere l’astinenza che sopraggiungerà nelle prossime ore.

Ti vedo salire sulla mia stessa carrozza e mi ritrovo a desiderare di averti vicino. Ti seguo con lo sguardo, cercandoti tra gli altri viaggiatori. E sei là, al 6D, proprio di fronte al mio posto. Quando mi siedo, urto le tue ginocchia:

– Scusami! È che questi posti sono davvero stretti.

Accenni un sorriso, non so neanche se tu abbia sentito quello che ti ho detto, forse stai ascoltando della musica. Che musica ti piacerà?

– Ha ragione, signora – mi risponde l’uomo di mezza età – la prima classe è addirittura più scomoda della seconda! Meglio viaggiare in Intercity, ha presente quelle belle poltroncine larghe? Ecco, quelle sì che sono comodissime… Ma oramai l’offerta commerciale è monopolizzata dall’Alta Velocità e poco importa se stiamo tutti appiccicati come le sardine!

Questa volta sorrido io. Evidentemente ho beccato una di quelle persone che in treno non vedono l’ora di attaccare bottone e infatti questo incrocio tra un milanese rampante e un cabarettista napoletano inizia a intrattenerci, con la sua parlantina sciolta e un vago accento partenopeo. Viaggia per lavoro, come anche noialtri. Chissà tu invece perché sei qui? Una vacanza, un colloquio di lavoro, una fidanzata che vive in un’altra città, stai tornando a casa dai tuoi?

Ti togli gli auricolari solo quando arriva il capotreno per controllare i biglietti, urti di nuovo le mie gambe e mi fai un cenno con la mano come per chiedere scusa. Il nostro vicino logorroico ne approfitta per trascinarti nella conversazione e tu non puoi più tirarti indietro. Ti ritrovi coinvolto nelle chiacchiere di tre estranei, manipolate da un unico regista intraprendente.

Mentre il paesaggio sfila sui finestrini, le nostre parole si mescolano, si moltiplicano, si sovrappongono. Ed io ti guardo, continuo a guardarti anche quando non parli, anche se non ne avrei motivo.

Hai le unghie tutte rosicchiate e non fai niente per nasconderle. Esibisci la tua fragilità con disinvoltura, perché sei un essere fragile, ti immagino così, uno che lotta con fatica per tenersi a galla, come tutti i ragazzi che hanno davanti l’incognita del futuro. Ci pensi tu al futuro, vero? O magari hai già raggiunto tutti i tuoi obiettivi e quelle unghie sono una valvola di sfogo, forse hai già una vita piena di incombenze, soffri lo stress come un uomo navigato. Mi fanno tenerezza quelle dita sbucciate, a cui non vuoi rendere conto, perché ti dai un tono, hai l’aria di un ragazzo assennato, anche nella nostra conversazione frivola, non dici banalità. Sei un tipo intelligente e sei carino. Sei davvero molto carino, con i capelli spettinati ma pulitissimi – hanno anche un buon odore? Hai l’aspetto curato e allo stesso tempo trasandato, come molti tuoi coetanei, a metà strada tra fotomodelli strapagati e barboni che vivono sotto i ponti. Come ci riuscite? Come ci riesci tu?

Continuiamo a urtare le nostre ginocchia, oramai ci siamo accordati nel non chiederci più scusa.

Mentre stai raccontando di un viaggio in Madagascar – che sei andato a fare fin laggiù? – riuscendo a silenziare il nostro mattatore, decido di farmi un regalo. Per i miei cinquant’anni, voglio regalarmi un’avventura. Perché no? O almeno provarci, a regalarmene una. Se c’è una cosa per cui vale la pena arrivare alla mia età forse è questa noncuranza delle proprie azioni. Il non avere più paura delle conseguenze. Lasciarsi scivolare addosso le ansie e trasformale in occasioni.

Azzardo un movimento diverso delle mie gambe: provo a premerle contro le tue, con insistenza, e ti guardo fisso negli occhi, senza indietreggiare quando te ne accorgi. Fai il vago, perché hai notato che il mio sguardo adesso è diverso, te lo senti addosso, con tutto il peso di pensieri diversi, i miei pensieri su di te. Ti schiarisci la voce. Ti ho imbarazzato? Continui a raccontare, il trentenne di fianco a te ti subissa di domande, stava giusto pensando di organizzare un viaggio alternativo e il tuo lo ha incuriosito parecchio. Io resto in silenzio, non ho più voglia di partecipare, ti studio, cerco di capire come fare per portarti dove voglio che tu arrivi. Devi aver capito, ma hai ancora qualche dubbio. Ed io non voglio più farti dubitare. Allungo le mani sul tavolino, come per riporre i miei occhiali nella custodia e riesco a sfiorarti la mano – quelle dita corrose dall’ansia di vivere. Un tocco quasi impercettibile, velocissimo. Adesso sei tu che mi guardi. Sei curioso, te lo leggo negli occhi. Che colore hanno i tuoi occhi? Un castano indeciso, che vorrebbe sconfinare nel verde. Smetti per un momento di parlare, l’uomo di fianco a me si apre un varco nella conversazione per riprendere le redini che gli avevi strappato. A te non interessa più finire quello che stavi dicendo, adesso ci sono io al centro dei tuoi pensieri. Ti stai chiedendo cosa devi fare? Se puoi tirarti indietro, se devi tirarti indietro? Forse un po’ mi diverte tenerti sulle spine, lasciarti il dubbio che una come me – posso ammetterlo senza falsa modestia, sono una donna niente male, ho sempre avuto cura del mio aspetto – possa provarci con uno come te, perché in fondo sei un ragazzino come se ne vedono tanti, eccetto che per quell’aria sprovveduta e un po’ sognante che mi è piaciuta dall’inizio.

– Come direbbe la protagonista di un vecchio film: signori, vado ad incipriarmi il naso.

Mi alzo, per dirigermi alla toilette, e lo faccio chinandomi leggermente in avanti per sfilarmi dalla poltroncina e dal tavolino. Gli altri due viaggiatori stanno guardando qualcosa sui cellulari e non fanno caso a noi.

I miei capelli sfiorano il tuo viso, siamo vicinissimi. Lo senti il mio profumo? Le due gocce di una raffinata fragranza francese che ho nebulizzato dietro le orecchie, alla base del collo. E tu sai di fresco, sai di pulito, sai di frutti di bosco, sai di ogni cosa dolcissima che mi passa per la testa in quel momento.

So che hai capito. So che tra un po’ ti alzerai, forse dirai che vai a prenderti un caffè nel vagone ristorante o che hai bisogno di sgranchirti le gambe o che devi fare una telefonata. So che ti inventerai qualcosa per seguirmi.

E ci sei, mi segui, mi hai seguita. Ti sto aspettando tra la nostra carrozza e quella successiva, tra le due porte automatiche. Arrivi con la stessa camminata dinoccolata che mi aveva colpito sul binario, quell’aria distratta, come di passaggio su questa Terra.

Ci guardiamo, tu metti le mani in tasca, i tuoi vent’anni ti si vedono tutti in questo gesto quasi maldestro.

– Vieni – ti dico, aprendo la porta della toilette.

E furtivi scivoliamo in questo piccolissimo bagno in cui ci stiamo appena in due. Con una manovra impercettibile, ti faccio scivolare con le spalle alla parete e ci stiamo già baciando.

Da quanto tempo non baciavo così qualcuno? Solo per il gusto di farlo, con tutto il desiderio di farlo e di sentire che sapore ha l’altro. Che sapore hai tu. Tu che sei incontenibile, è scomparso tutto il tuo imbarazzo? Ho le tue mani ovunque e mi ritrovo ad essere io con le spalle alla parete fredda, anzi sulla porta, perché non ci stiamo, perché è tutto troppo piccolo per contenere la nostra passione, senza freni, senza limiti.

Ma dove ce l’avevi tutta questa carnalità? Le hai già dimenticate le tue unghie rosicchiate dall’insicurezza? Ora fai tutto tu: le tue dita senza spigoli scivolano morbide sulla mia pelle, sotto i miei vestiti. Dentro di me.

Frutti di bosco e profumo francese che si mescolano.

Qualcuno da fuori batte un colpo alla porta.

Rispondo, prendendo fiato:

– Un attimo, è occupato!

Mi tiro giù la camicetta, mi ricompongo, ti blocco le mani, respingo il tuo viso, le tue labbra. Hai la pelle tutta arrossata, gli occhi sgranati, sei ancora più spettinato di quando ti ho visto poche ore prima sul binario. E anche io ho i capelli in disordine, il rossetto sbavato, il cuore in gola. Sei la cosa più bella che mi sia capitata oggi. La cosa più dolce. Il regalo perfetto, ma non te lo dico.

– Usciamo, dai – ti dico – lasciami sistemare un attimo e poi usciamo da qui.

Tu mi sistemi i capelli, con quelle mani dalle unghie rosicchiate. Sembri il mio amante da tempo, anche se non abbiamo finito ciò che avevamo incominciato. Ci sei rimasto un po’ male, ma capisci che forse qui non possiamo, che magari poi…  Chissà.

Torniamo ai nostri posti, avendo cura di farlo separatamente. Deve essere una cosa solo nostra, questo lo hai capito e non ti tradisci. Non tradisci il nostro patto silenzioso, perché non c’è stato bisogno di dircelo.

Non ci siamo detti niente in realtà. Siamo stati solo due corpi, avvinghiati l’uno all’altra, fatti semplicemente di desiderio e di pelle.

Ci resta ancora mezz’ora di viaggio. Il chiacchierone ha ripreso a intrattenerci, il trentenne parla al telefono con la moglie. Tu mi guardi in maniera insistente, non puoi più farne a meno e aspetti un mio cenno, un sorriso, un punto di incontro. Ti lascio credere, ti lascio aspettare, ti lascio nel dubbio, ti sorrido di tanto in tanto, solo se la conversazione lo giustifica.

Quando arriviamo a Milano, mi dai una mano a prendere il mio piccolo trolley dal portabagagli in alto.

– Che ragazzo educato che sei! – ti dice il nostro compagno di viaggio più anziano.

Tu sollevi il mento, ringrazi, sorridi. Sorridi a lui, sorridi a me:

– È stato un piacere viaggiare con lei, con tutti voi, eh! – gli dici.

Scendiamo, dapprima incolonnati nello stretto corridoio, sento che mi stai troppo vicino, cerco di distanziarmi da te.

Quando siamo fuori, salutando definitivamente gli altri, tu mi afferri la mano, sapendo che sto per andare via, per la mia strada, che ti lascerò lì.

Con lo sguardo di chi ha capito, mi chiedi:

– Dimmi almeno come ti chiami…

Non ti rispondo, ti guardo, accenno un sorriso quasi amaro e penso che hai rovinato tutto chiedendomi chi sono, che hai sciupato il mio bellissimo regalo.

Dovevamo essere semplicemente un uomo e una donna e tu, invece, sei solo un ragazzo che si mangia ancora le unghie.

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1 commento »

  1. Mi è piaciuto moltissimo questo racconto incentrato su una cinquantenne che proprio nel giorno del suo compleanno si imbatte in un ventenne …
    La descrizione del ragazzo, la situazione, i pensieri della protagonista non mi hanno condotto alla semplice ricerca dell’avventura sessuale nuda e cruda, no…
    piuttosto mi hanno spalancato le porte ad un incontro generazionale che travalica lo scorrere del tempo e crea un punto di incrocio tra il passato ed il presente della protagonista che vede allontanarsi la sua giovinezza.
    Il sesso è solo lo strumento attraverso il quale si avvera l’incontro tra generazioni diverse.
    E tutto deve rimanere sospeso in una sorta di bolla (l’alea del pensiero) tant’è che quando il ragazzo chiede alla donna come si chiama (una cosa terrena) lei non risponde, ha un sorriso amaro e pensa che lui abbia rovinato tutto.
    Racconto incantevole sullo scorrere del tempo e sui suoi… “fatti e misfatti” …
    Brava Simona!

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