Premio Racconti nella Rete 2026 “La casa dei fantasmi” di Giovanni Bergamini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2026“Erano gli anni nei quali il Papa diceva: “Rinuncio al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro.”
La casa nella bassa, la mia casa, quella dove sono appena venuto ad abitare è qui davanti a me. La guardo e sono soddisfatto del grande passo che ho compiuto trasferendomi nel mio paese natale. È la mia prima notte da proprietario e da nuovo cittadino di Pavignane. La sera è perfetta; tutto è bello, le stelle sono grandi e benevole, la luna rischiara fino all’orizzonte, l’aria è lieve e profumata.
Entro in casa.
Il silenzio ronza piacevolmente, interrotto da qualche scricchiolio e dal verso dei rapaci che viene dalla campagna. Nulla di inquietante. Mi accomodo in poltrona e, per celebrare questa mia prima notte, apro una bottiglia di vino; brindo fra me e bevo con calma fino alla fine. Mi addormento ancor prima di finire il pensiero che sto facendo: ma che notte splendida è la mia prima notte.
Mi sveglia la luce dell’alba che entra dalle finestre lasciate aperte; col sole entrano anche una brezza profumata e i suoni della campagna. Mi faccio un caffè e fantastico di andare in paese per comprare semi e attrezzi per iniziare l’orto. Sono dell’umore giusto per iniziare la mia nuova giornata, riposato e allegro.
Inaspettata una voce da fuori mi chiama… strano, non aspetto nessuno, anzi non ho conoscenti in paese che si possano permettere venire a casa mia di mattino presto senza avvertire. Chi può chiamarmi ancor prima che metta in funzione il citofono? Per scoprirlo non posso far altro che andare sul terrazzino del primo piano; ancor prima di affacciarmi chiedo: chi è?
La voce risponde: Sono papà, apri.
Rinculo e finisco seduto sul divano.
Bofonchio, senza più respiro, e balbetto: papà… papà… papà?
Prendo coraggio e urlo: Ma sei morto, ti abbiamo sepolto quattro anni fa.
Con tono secco ed imperioso mi risponde: Non fare storie, apri.
Mi trascino sul terrazzino… allungo il collo…. mi sporgo: è lui; aspetta impaziente davanti alla porta.
E, mentre lo guardo rimanere in attesa davanti alla porta ad osservare questa vecchia casa come se fosse roba sua, provo nuovamente l’affetto col quale l’ho salutato in ospedale il suo ultimo giorno.
Però… no! non scenderò ad aprire… lui è morto!
Dove è finito tutto il mio affetto? Non posso mica rifiutarmi… come posso negare a mio padre e al suo spirito l’ultima occasione di parlarmi? Provo vergogna di me: mi sento un pezzente, un traditore. E, non importa che sia un’allucinazione, gli affetti sono veri e lui è sempre mio padre!
Sto tremando di paura.
Svengo, cado sul pavimento.
Poi una forza invisibile mi solleva da terra e mi tiene orizzontale a levitare nel centro della stanza. Galleggio semisvenuto in un limbo. Non riesco a muovermi e allora urlo: perché sei venuto da me? Risponde: Perché tu ti ricordi di me. Replico: Certo, perché ne dubiti… è per questo che ti sei mosso dal tuo riposo eterno? Risponde: Sei stato via a lungo, hai vissuto in posti che non conosco, e improvvisamente sei tornato a vivere nel paese della nostra famiglia? Perché l’hai fatto? Rispondo: Rassicurati e sappi che anche se sono tornato a Pavignane, non sono cambiato. Insiste: fammi vedere il tuo volto.
La forza che mi fa galleggiare al centro della stanza mi depone a terra.
Mi affaccio dal terrazzino e grido: ora, se vuoi entrare per vedere il mio viso, lo puoi fare, io scenderò ad aprire la porta.
Sono commosso e pieno di paura; non riesco a credere che il mio ruolo di buon figlio mi faccia fare questa cosa orribile… scendere and incontrare un morto, morto da quattro anni. E non riesco a credere di non avere il coraggio di tenere a distanza il suo fantasma: dovevo rifiutare questa fantasia e l’allucinazione che potrebbe essere l’inizio di una malattia.
Al piano di sotto trovo la porta dell’ingresso aperta.
Oddio… sono terrorizzato… il fantasma è entrato. Chissà il fantasma di chi… chissà se benevolo o maligno… e prenderà possesso della casa….
Il coraggio se ne va e io mi inginocchio… stringo i pugni a sangue. Con lentezza mi costringo a risalire lentamente le scale…
Adesso lo sento, è dietro ad ogni svolta, mi sta alle spalle, mi anticipa sul pianerottolo, si nasconde nelle zone buie delle stanze. Ad ogni passo tremo, con la paura di vedermelo davanti.
Sono arrivato al tavolo dove appoggio lo svuotatasche, sto per prendere il portafoglio… le chiavi della macchina… i documenti… un albergo oltre il Po per due giorni… un affitto per un mese a Milano… poi all’estero… dove ci sia sempre luce.
Afferro terrorizzato le cose e mi aggrappo a queste fantasie di fuga, ma un’ombra mi ghiaccia… sono perso… eccolo… lo avverto, sento la sua presenza… è come una grossa bolla densa e più densa dell’aria che galleggiando si sposta lentamente per le stanze.
E lo sento… con l’animo, ma ora anche con le orecchie… fruscia, come una scopa. Mi copro il volto, in preda al panico! Non so che fare, se scappare gettandomi dal terrazzino, o chinarmi a terra. Posso chiedere perdono e sperare che passi. Se è una fantasia, un attacco di panico, prima o poi passerà.
E se fosse vero? Se fosse una situazione seria… vera, come se avessi davanti una persona vera?
Urlo: ho promesso che ricorderò… che ricorderò te e tutte le cose che ci sono appartenute… ti ricorderò nel paese dove sono nato… e trapianterò qui le nostre radici… sono tornato per me, e ora lo farò anche per te… è una promessa solenne! Ora hai visto il mio volto e sai cosa mi ha portato in paese. E sai che non mi son lasciato alle spalle dei peccati non confessati e non espiati.
Improvvisamente, non sento più paura.
Urlo: ti accompagno alla porta, i ricordi staranno dentro casa, ma il tuo posto non è qui.
Scendo le scale con lentezza, ricordando un episodio felice con mio padre.
Quando arrivo alla porta, la spalanco e la grande massa d’aria pesante mi attraversa, uscendo.
Appena uscita la porta si richiude da sola.
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