Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2026 “Lo sguardo” di Antonio Fiore

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2026

La musica, una marcia solenne, iniziò a suonare all’improvviso. 
Tutti fecero silenzio.
Le luci si abbassarono, tranne quelle che illuminavano la scena principale.
Simili a fauci di bestie infernali, ai lati opposti dell’anfiteatro si spalancarono due enormi tendoni rossi, che mascheravano le vie d’accesso al palcoscenico della finale.
Da entrambi i varchi, alcune persone in fila indiana fecero il loro ingresso nella sala e si vennero incontro lentamente, lungo una passerella di moquette rossa che costeggiava la pedana sopraelevata.
Davanti a tutti procedevano due ragazze in maglia variopinta che trasportavano le armi, seguite da quelle con in mano le maschere.
Distanziati di qualche metro venivano loro, i due schermitori vestiti di bianco, inquadrati dai fasci luminosi dei proiettori.
I due gruppi si incontrarono al centro della sala, dove li aspettava il presidente di giuria, vestito con una sgargiante giacca di colore amaranto.
Un colpo di gong interruppe la magia della colonna sonora e, all’improvviso, nell’immenso luogo di gara si instaurò un silenzio pieno di tensione, dovuto all’attesa spasmodica di ciò che stava per avere luogo.
Gli spettatori, infatti, sapevano bene che mai nel passato, in tutta la storia dei Giochi, un assalto di fioretto valido per l’oro olimpico aveva rappresentato un evento così speciale e unico, trattandosi dello scontro tra due fuoriclasse assoluti.
Lo speaker iniziò la presentazione dei contendenti.
Alessandro era alto, slanciato, con un viso dai lineamenti regolari e una chioma bionda che lo faceva somigliare a un Dio greco.
Mentre la voce elencava le sue vittorie precedenti, sorrideva con un’espressione rilassata e soddisfatta, come se trovarsi su quel palcoscenico fosse per lui qualcosa di naturale, di scontato.
Chi lo conosceva bene, poi, sapeva quanto amasse sentirsi ammirato.
Marco, invece, di sicuro non suscitava le stesse reazioni nel pubblico, ma sembrava ben poco interessato ad apparire piacevole.
Era piuttosto basso di statura, non aveva un aspetto particolarmente gradevole e ostentava un’espressione torva. Ben pochi, insomma, avrebbero potuto immaginare che si trattasse di un atleta così dotato e vincente.
L’unico elemento speciale in lui erano gli occhi, che sotto le luci dei riflettori apparivano come due fessure strettissime: due segnacci neri che sembravano tracciati da un disegnatore poco preciso, con un pennarello a punta grossa.
Da quegli occhi fuori dal comune, non traspariva alcuna emozione
Qualcuno li aveva paragonati a due buchi neri da cui si veniva attratti inesorabilmente, fino al punto di perdersi in loro. Per questa ragione, gli avversari di Marco evitavano di incrociare con lui lo sguardo
Già da bambino, nelle sue prime gare, aveva manifestato una grinta e un’aggressività uniche, che esprimevano un desiderio di annullare chiunque si trovasse davanti a lui in pedana.
Pareva disposto a tutto, pur di vincere, al punto che qualcuno aveva interpretato la sua cattiveria agonistica come l’espressione di una personalità brutale.
Una volta un giornalista, un po’ esagerando, l’aveva addirittura definita come una vera e propria “voglia di uccidere” e, in effetti, spesso sembrava che Marco volesse letteralmente fare fuori chiunque gli si parasse davanti su una pedana di scherma. Talora dava addirittura l’impressione che, se avesse potuto continuare a infilzare l’avversario anche a gara finita, lo avrebbe fatto volentieri, un po’ come quegli squali che cadono in preda a una frenesia di sangue incontrollabile.
Sembrava, insomma, che Marco odiasse il mondo e che il mondo lo ricambiasse con la stessa moneta.
Soltanto chi gli era molto vicino poteva sapere che aveva un unico punto debole: Laura.
Lei aveva qualche anno più di lui, era molto bella e non era certo il tipo di ragazza che potesse dargli tranquillità e stabilità.
Faceva la fotografa, era sempre in giro per il mondo, le piaceva la vita mondana e quella con Marco si poteva considerare solo l’ultima di una serie fin troppo lunga di storie. Per di più, non amava particolarmente né lo sport né, soprattutto, la scherma.
Agli inizi della loro relazione, un paio d’anni prima, lui pareva non essersi reso conto delle caratteristiche della sua compagna. Eppure, nonostante gli innumerevoli litigi, in qualche modo ci si era abituato, al punto che la condizione di squilibrio emotivo che gli provocava Laura e che avrebbe distrutto chiunque, viceversa in lui aveva prodotto un effetto singolare, per lo meno in chiave sportiva: invece di inibirlo, infatti, la rabbia per i frequenti conflitti con la fidanzata l’aveva reso ancora più micidiale in pedana.
Perciò, anche nel corso di quella relazione abbastanza tossica, Marco aveva continuato a vincere gare a ripetizione e solo la classe di Alessandro era stata in grado di contenerne la furia agonistica e di limitarne i risultati.
Nelle ultime stagioni, insomma, i due schermitori si erano praticamente alternati nelle vittorie e tutti gli esperti avevano previsto che la resa dei conti sarebbe avvenuta in occasione della finale olimpica.
E quel giorno era finalmente arrivato.
La sfida di quella sera, però, sarebbe stata ben più di un semplice incontro di scherma: sarebbe stato il duello risolutivo tra due individui che non avevano nulla in comune, che non si sopportavano e che, forse, si odiavano.
Fin dal mattino Alessandro aveva dimostrato di essere in gran forma, perché aveva ridicolizzato gli avversari, lasciando loro solo pochissime stoccate: il suo percorso verso la finale, insomma, era stato incredibilmente scorrevole.
Marco, invece, già dai primi turni era sembrato molto affaticato e aveva spesso mostrato un’espressione di sofferenza sul volto, come se ogni incontro gli richiedesse un grande dispendio di energie fisiche e mentali.
Comunque, nonostante le evidenti difficoltà, era riuscito a centrare anche lui l’obiettivo di disputare l’assalto per l’oro.

Finita la presentazione, i due fiorettisti si apprestarono a iniziare l’incontro.
Dopo essersi collegati agli apparecchi di segnalazione delle stoccate, si avvicinarono all’arbitro e si accovacciarono leggermente, in modo da consentirgli la verifica della taratura della punta del fioretto. Poi, si toccarono reciprocamente con l’arma per testare l’accensione delle luci, arretrarono per sistemarsi alla distanza prevista e, con calma e accuratezza, si misero nella posizione di guardia.
Il presidente di giuria allargò le braccia e pronunciò lentamente il comando iniziale: «Pronti.»
I due, concentrati sui propri pensieri, ebbero un impercettibile movimento di assestamento e trattennero il fiato in attesa del segnale che desse il via all’incontro.
Proprio in quell’istante, Marco ebbe l’impulso di guardare Alessandro e lo vide sogghignare davanti a lui, sotto la maschera.
Di colpo, fu attraversato da un’ondata di pensieri negativi e nella sua mente si stagliò l’immagine di Laura.
Scosse la testa, nel tentativo di liberarsene, ma un flusso violento di emozioni lo travolse.
Non gli era ben chiaro quando Alessandro avesse cominciato a frequentarla, ma circa un anno prima aveva scoperto che lui le inviava dei messaggi e, da quel momento, poco alla volta aveva capito tutto.

Con un movimento delle braccia, il presidente di giuria esclamò «Alé!» e lo scontro ebbe inizio.
Quasi senza rendersene conto, Marco subì la prima stoccata e percepì le urla del pubblico che acclamava il suo rivale.
Rimettendosi in guardia, il ricordo di un episodio avvenuto poche settimane prima lo colpì con lo stesso effetto di una mazzata in testa e gli provocò una specie di stato di coscienza alterato.
«Esco con un’amica» gli aveva annunciato Laura quella sera, prendendo la borsa dal tavolino, nell’ingresso dell’appartamento in cui vivevano.
Lui, consapevole della verità, aveva risposto indicando il completo elegante che la sua compagna indossava: «Dove vai, a una festa?»
«Ho un aperitivo. Non farò tardi.»
Marco aveva aspettato quel momento da molto tempo.
Quella volta, infatti, l’aveva pedinata con lo scooter, finché l’aveva vista infilarsi nella macchina di Alessandro e aveva assistito, come lo spettatore di un film dell’orrore, alla scena dei due che si erano abbracciati e baciati a lungo.
Non aveva fatto o detto nulla, però, perfino quando Laura era tornata a casa.
Nonostante il dolore e l’umiliazione, nelle settimane successive il suo rendimento sportivo non era calato e, tra gare e medaglie, era arrivato alle Olimpiadi con la certezza di essere di gran lunga uno dei due più forti al mondo.

L’ennesima stoccata ricevuta lo riportò bruscamente alla realtà e gli fece emettere una specie di gemito.
Scrollò le spalle, come per scuotersi e risvegliarsi, ma continuò a sentirsi immerso in una specie di guscio ovattato, nel quale il boato del pubblico e perfino la voce preoccupata del suo maestro, gli arrivavano simili a suoni sfumati e lontani.

Ripensò ai giorni immediatamente precedenti la gara.
Forse era stato il caso, oppure la volontà un po’ maligna di qualcuno, a stabilire che lui e Alessandro fossero alloggiati nella stessa camera, al Villaggio Olimpico.
La sera prima, il suo compagno di stanza era uscito di nascosto e, Marco ne aveva la certezza, era andato a trovare Laura nell’albergo in cui lei stava soggiornando nel corso dei Giochi.
“Avranno fatto l’amore per ore” pensò con una smorfia di disgusto, incapace di muoversi sulla pedana e oramai in totale balia delle stoccate di Alessandro.

Sentendo la voce lontana dell’arbitro intimare di nuovo il “Pronti”, si rimise in guardia ma, di botto, nel suo cervello si materializzò la scena dei due che si contorcevano sul letto e, in primo piano, l’espressione di piacere sul volto della sua donna.
Quando, poche ore prima, tornando dalla fuga notturna, Alessandro si era sdraiato sulla branda a fianco alla sua, gli aveva chiesto: «Dove sei stato?»
La risposta era stata brutale: «Che ti frega. Sono cazzi miei.»
Marco era rimasto in silenzio e non aveva replicato, stringendo i pugni con tutta la forza, nel tentativo di resistere alla tentazione di uccidere l’amante della sua compagna.
Poi, aveva pensato alla gara che l’aspettava la mattina dopo e la sua bocca si era deformata in uno strano sorriso, dopodiché si era girato dall’altra parte.

La finale si stava rivelando molto meno combattuta del previsto e la prima manche si era conclusa con un cappotto: cinque a zero.
Alessandro, che sembrava molto sciolto e sicuro di sé, era riuscito ad andare in vantaggio rapidamente e, all’apparenza, con grande facilità.
I commentatori si erano sbilanciati in spiegazioni, la maggioranza delle quali sosteneva che il grande fiorettista biondo aveva con ogni evidenza studiato col suo maestro un tempo e una misura differenti, proprio per mettere in difficoltà Marco.
Il pubblico era abbastanza silenzioso: sembrava deluso, perché sulla carta doveva essere un incontro equilibrato mentre, viceversa, pareva la lezione di un professionista a un principiante.
Nel corso del primo intervallo Marco si sedette sul bordo della pedana, chino in avanti, con i gomiti sulle ginocchia e l’asciugamano sistemato sulla testa come una tendina.
Rimase così, completamente immobile, per tutto il minuto di pausa: il sudore che gli colava dalla faccia e cadeva per terra aveva formato una specie di pozza ai suoi piedi.
I pensieri negativi e i ricordi dolorosi lo stavano devastando e lo stavano distogliendo dalla gara.
Al termine del minuto, si decise a bere l’acqua dalla bottiglietta tutta di getto, aggrottò la fronte, strinse i pugni come a incoraggiarsi e risalì in pedana.
“Devo concentrarmi” si disse.

La seconda manche, almeno all’inizio, fu abbastanza simile alla prima.
Marco non riusciva ad avvicinarsi ad Alessandro, che sembrava quasi intuirne le intenzioni un istante prima.
Tuttavia, riuscì a mettere la sua prima stoccata, in un’azione convulsa che durò diversi secondi.
I due, infatti, si erano inseguiti sulla pedana almeno tre volte, prima che Marco riuscisse a concludere con una botta dritta sulla pancia: un classico affondo che suscitò, per una volta anche nei suoi confronti, l’applauso del pubblico.
Per di più, provò una specie di piacere perverso nel sentire lo sbuffo di fastidio di Alessandro e quella sensazione gli moltiplicò le forze.
“Vaffanculo” pensò. “Ora tocca a me.”
In quel momento, capì come doveva interpretare il match: doveva costringere il suo rivale a muoversi molto in pedana, perché era chiaro che andava a corto di fiato nelle azioni lunghe.
Doveva cercare anche lo scontro fisico con lui, inoltre, perché quest’approccio aggressivo lo faceva innervosire e gli faceva perdere il controllo.

Al momento del secondo stop, il punteggio era diventato otto a tre, ma Marco oramai sentiva che qualcosa era cambiato.
Durante la pausa, osservò Alessandro: aveva una faccia pallida, stanca.
“Ora sei mio” fu il suo pensiero, un istante prima che gli apparisse di nuovo nella mente, come in un flash privo di qualsiasi senso logico, il volto di Laura al culmine del piacere, con gli occhi semichiusi.
Scosse la testa più volte e, questa volta, riuscì a recuperare la lucidità, ma gli esplose dentro l’emozione che quell’immagine gli aveva scatenato: una rabbia feroce.
Risalì in pedana con quella voglia di uccidere che tante volte aveva sperimentato, nella sua carriera.
Finalmente, era tornato la belva letale che sapeva di essere.

La terza manche fu un calvario per Alessandro, che oramai accusava la fatica e si muoveva sempre meno in pedana.
Marco iniziò la rimonta: otto a cinque, nove a sette, undici a dieci, poi tredici a dodici.
Alla fine, come se si trattasse della parte conclusiva di un copione già scritto, i due contendenti arrivarono al quattordici pari.
L’orologio segnalava solo dieci secondi alla fine: quindi, si sarebbero giocati la vittoria nell’ultima azione.
Alessandro avanzò in pedana con il fioretto in terza, nel tentativo di mettere l’ennesima botta alla schiena o al fianco.
Per chiudergli la misura Marco gli andò incontro con un movimento esplosivo, ma scivolò e perse l’equilibrio, cadendo fuori dalla pedana, alta quasi un metro.
Nel precipitare, sbatté la testa per terra e mise male la caviglia, che gli cedette con un “crack.”
Rimase fermo qualche secondo, un po’ intontito, poi si tolse la maschera e si sdraiò sul pavimento a pancia in su, con gli occhi serrati ma senza emettere un lamento, nonostante avesse anche un taglio sulla fronte e la faccia sporca di sangue.
L’arbitro chiamò subito il medico di gara, che pulì la ferita con una garza ed esaminò l’articolazione, proponendo la sospensione del match per i cinque minuti regolamentari.
Marco, che non si era mai infortunato nella sua vita, rifiutò ogni trattamento e risalì sulla pedana zoppicando.
Il pubblico, che aveva percepito il suo coraggio nel decidere di continuare a lottare su una gamba sola, iniziò ad applaudirlo e a esortarlo.
Alessandro nel frattempo era rimasto immobile, perplesso, con la maschera ancora in testa, finché l’arbitro chiese ai due fiorettisti di rimettersi in guardia.
Nell’immensa sala calò di nuovo un silenzio assoluto, che fu rotto solo dalle parole di rito: «Pronti. A voi!»
Partirono.
Marco non poteva muoversi: il dolore era troppo intenso.
Alessandro fece un passo verso di lui ma si bloccò, nonostante sarebbe bastato un affondo semplicissimo per toccare il bersaglio immobile che aveva di fronte. 
In quel momento di indecisione, commise l’errore peggiore: cercò coi propri occhi quelli del proprio avversario, sperando di intuirne l’espressione attraverso la maglia metallica della maschera.
Si aspettava di vedere un viso sofferente, triste, sconfitto.       
Viceversa, il suo sguardo fu assorbito da due buchi neri, al di sotto dei quali la linea scura della bocca del suo rivale era deformata in un sorriso strano, impressionante.           
Quella vista provocò in Alessandro un attimo di vero e proprio panico che fu letale per lui, perché il suo affondo fu impreciso e, nello slancio, finì per farsi infilzare con una stoccata in pieno petto da Marco, che era rimasto fermo al centro della pedana, col braccio armato disteso.

Una sola luce si accese e Alessandro si lasciò cadere a terra, lentamente, in una specie di spaccata, rimanendo immobile ai piedi di Marco, il quale si inginocchiò sulla pedana, si tolse lentamente la maschera e rimase attonito per qualche secondo, col sangue che gli colava lungo il viso.
La luce nella sala si riaccese e il vincitore ruotò il busto per puntare lo sguardo tra gli spettatori seduti in prima fila, a pochi metri di distanza, finché non riconobbe il volto sorridente di Laura, che lo stava invitando con dei cenni ad andare da lei per condividere quel momento.

La fissò a lungo con uno strano sorriso triste, senza curarsi degli abbracci e senza far caso al fragore delle grida, degli applausi, della musica.
Come se il resto del mondo non esistesse.
Come se volesse allungare una propaggine della sua mente fino a lei.
Proprio in quell’istante, però, tutto gli fu chiaro e, per la prima volta nella sua vita, percepì una sensazione di straordinaria, appagante serenità.

Le girò le spalle.
Poi, iniziò a piangere a dirotto.

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