Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2026 “Del Cera” di Leonardo Pori

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2026

Quando le persone penseranno (con o senza fondamenta) di avere una certa possibilità di sfuggire alla morte, il desiderio di vivere si rifiuterà di continuare a tirare il traballante carro dell’arte, dell’ideologia, della religione, e lo spazzerà via come una valanga.  Y.N.H.

Ma adesso giù al disco bar

“Strattonami tutta, vecchio lozzone”!

La Lana Vulcan era di lingua obsoleta e di età segreta: qualcosa nell’aria l’aveva convinta a regredire ad una pseudo giovinezza improbabile quanto una quaterna sulla nazionale. Quale ruota avesse invertito il passo non era dato sapere, fatto sta che lei e le altre amiche, così si chiamavano da quando l’inflazione era salita alle stelle, sfoggiavano unghie variopinte intarsiate con arabeschi arcani, chiome vaporose biondo sembianti, (ma il total grigio stava tornando alla grande), labbra due atmosfere e ciglioni sbattenti. Ecco, lei aveva adeguato lo slang all’outfit e se ne usciva con ‘ste frasi grezze che riteneva appartenere al giovane universo della grande pianura.

Questo più o meno quello che pensava Ignazio M. ogni volta che gli venivano violate le orbite e i padiglioni. Marito della Lana per molti anni, fino a quando si era incrinato il, si era incrinato il senso del sacro. A dirlo si vergognava come un bambino che fa ancora pipì a letto. Però la Lana l’aveva sposata con la formula e tutto. “Franata la realtà, la seduzione ci incanta, ma non è sincera, è finalizzata.

Come faccio a stare senza di te”.

 Del Cera quella volta sprizzava sudore dalla fronte come stesse facendo braccio di ferro col forzuto. Era il don che aveva,

-che aveva suonato il rock,

-aveva cantato al festival,

-aveva,

-che aveva sposato la Lana e Ignazio M. sì, unito in, unito in matrimonio. Sprizzava perché pregava forte, perché gli dispiaceva. Perché c’era un che di incrinato.

“Dai versami un daiquiri, bro”! Proprio obsoleta ‘sta lingua. Abbagliata dai neon del disco bar, la Lana si sentiva un po’ strana: “lingua che dice o non dice, bro che suona vuoto o bro che c’è un fratello”.  Distratta, metteva a fuoco l’intarsio dello smalto sull’unghia di tigre del pollice stretto intorno al cristallo del bicchiere già vuoto: “guarda là, sembra un volto che soffre, e, ora che la muovo, rifrange e diventa una bimba”.

Finito di sprizzare l’ultima stilla.

“Senta, mi scusi uno spritz”, fece Ignazio M. dall’altra parte della luce che cadeva sul bancone del bar. Stasera aveva voglia di distrarsi.

Lei lo aveva inquadrato attraverso il vetrone e si stava avvicinando quatta: “Strattonami tutta, vecchio lozzone”. Qualche ruota aveva invertito il passo e Ignazio M. volava nello spazio; atterrava e le piazzava un bacino in fronte. La pianura collassava con tutto il giovane universo in un centro cavo che la inghiottiva e la faceva tornare piccola.

La mattina dopo stavano stretti abbracciati a letto, di là venivano voci dalla tv rimasta accesa: “l’inflazione sale alle stelle. Torna il total grigio”.

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