Premio Racconti nella Rete 2026 “La scelta sincera” di Daniele Orla
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2026Quella soluzione proprio non gli andava giù. Fare l’impiegato di banca, avere la sicurezza preconfezionata per il resto della vita avrebbe allettato tanti altri, ma non lui. A lui faceva orrore. “No – continuava a ripetere a se stesso – è inutile che tenti di autoconvincermi: io non sono fatto per questa vita”. Ma come uscirne? Mai come ora che l’aggancio con la normalità era vicino lui capiva che questo aggancio doveva mancarlo di proposito, altrimenti se ne sarebbe poi pentito amaramente: stava per andare incontro ad un destino di alienazione.
Mentre camminava verso casa a un certo punto abbozzò una smorfia di sorriso: “Bah, sembra veramente un’offerta commerciale ben studiata. Il mio futuro suocero, da buon vicedirettore di banca, ha realizzato un piano ineccepibile. “Io ti do mia figlia in moglie e il posto in banca sicuro e tu in cambio dai a mia figlia la rispettabilità di signora e magari un giorno pure una bella discendenza di perfetti bancari. Una specie di “prendi 3 paghi 2” che non gli piaceva.
Ripensava con nostalgia agli anni più belli della sua vita: dopo la laurea in lingua portoghese il posto d’insegnante trovato del tutto inaspettatamente alle isole di Sao Tomé e Principe, il meraviglioso periodo passato laggiù in un susseguirsi di esperienze umane, avventure, emozioni, poi il ritorno per la fine del suo contratto e il precario posto d’insegnante trovato in quella scuola privata. E adesso questa proposta, che da un punto di vista borghese era senz’altro migliore della sua attuale posizione di miserando professorino licenziabile da un momento all’altro. Aveva conosciuto quella brava ragazza e aveva cercato di convincersi che lui non era diverso dagli altri e poteva fare una vita normale e comune come tutti gli altri. Ma ora più che mai si rendeva conto di essersi atrocemente auto ingannato, ma capiva che, se non voleva ulteriormente sbagliare, doveva una buona volta dire la verità e interrompere questo circolo vizioso nel quale si stava sempre più pericolosamente addentrando.
Mentre meccanicamente e quasi senza rendersene conto infilava la chiave nella toppa della porta di casa, gli venne una sorta di folgorazione, una di quelle idee che nell’istante medesimo in cui vengono conferiscono una grande forza e una grande convinzione. “io devo tornare a Sao Tomé! Perché no? Posso sempre scrivere, interessarmi; ho mantenuto buoni rapporti con tanta gente laggiù. Potrebbero aiutarmi a trovare di nuovo qualcosa da fare. Potrei tornare là dove sono stato veramente felice”. Si sedette alla scrivania della sua stanza e freneticamente scorse l’agenda alla ricerca dell’indirizzo del caro Antonio Pedral, il collega insegnante con cui aveva stretto amicizia.
Scrisse un accorato fax e si ripropose di spedirglielo l’indomani prima di andare a scuola. Dopodiché avrebbe dovuto raccontare dapprima ai suoi e poi alla sua (mancata) futura moglie ed al suo (mancato) futuro suocero che non intendeva contrarre quel matrimonio così normale con quella donna che per lui avrebbe rappresentato l’”arrivo” sociale, ma che in fondo non amava.
“Vieni? Dài, sbrigati”, gli urlò sua madre, con tono spazientito. “Un giorno magari anche mia moglie mi tratterebbe così”, pensò mentre si sedeva a tavola. Incominciarono a mangiare. Nessuno parlava. Fu il padre che a un certo punto, con il suo modo di fare accondiscendente e comprensivo, quasi timidamente gli domandò: “Allora, hai parlato con tuo suocero?”. “Perché lo chiamano già suocero?” – pensò lui – “quando sto per dire che quell’uomo non sarà mio suocero e sua figlia non sarà mia moglie?”. Prese il coraggio e rispose: “per meglio dire è lui che ha parlato con me” e mentre rispondeva acquistava sempre maggior coraggio. “Eh, e allora cosa ti ha detto?”, intervenne la madre, con un tono fra lo spazientito e il curioso. “Beh, lo sapete già: matrimonio e posto in banca”. “E tu cos’hai risposto?”, replicò il padre, con un tono che dimostrava il massimo della comprensione e del rispetto per una risposta che forse immaginava già. “Ancora nulla, ma credo proprio che non accetterò. Non mi interessa fare l’impiegato di banca; io non sono un ragioniere. Voglio tornare a Sao Tomé e Principe, dove sono stato così bene. Domani scrivo al mio amico Antonio Pedral e gli chiedo di cercare qualcos’altro per me laggiù. E se me lo trova io riparto. Disse tutte queste cose di getto, d’un fiato, finché aveva il coraggio di dirle, per paura che mentre le diceva il coraggio gli venisse a mancare sul più bello. Suo padre alzò le mani a mezz’aria, quasi in segno di resa ed emise un “Ah”, come volesse dire: “Noi non ti abbiamo mai imposto nulla, sei tu che hai scelto di frequentare questa ragazza, ma se non sei più convinto lascia perdere”. La madre fu più fredda e insinuante, ma si trovò lo stesso alquanto spiazzata da quella confessione così sincera. “Fai tu” – disse con un tono comunque seccato – “guarda però, se posso dirtelo” (il “se posso dirtelo” fu sottolineato con marcata, pesante e fastidiosa ironia) che con questi chiari di luna un posto in banca, sicuro e ben pagato, non è da buttar via”. Il discorso stava scivolando proprio verso dove lui non voleva. “Cosa credi, che in quella scuolina dove sei adesso ti terranno ancora tanto? Sei pagato poco per insegnare magari a zucche dure che non hanno voglia di imparare nulla; non sarebbe meglio una carriera un po’ prestigiosa? Dopo che hai studiato anni e anni, finire così. E poi una brava ragazza come la figlia del ragionier Filippo Bomboloni dove la trovi? Sarebbe una perfetta casalinga-moglie-madre. Pensaci attentamente prima di prendere una decisione”.
Si coricò ma non riusciva a dormire; un nugolo turbinoso di pensieri gli ruotava in testa. Era come se si fosse ingaggiata in lui una furiosa battaglia tra le spinte verso la realizzazione borghese-bancaria e le sue sincere istanze di vita vera. In certi momenti sembrava che le prime prendessero il sopravvento sulle seconde ed egli quasi si convinceva dell’offerta del previsto suocero. Ma proprio nel momento in cui questa convinzione pareva averla vinta, ecco che essa veniva prontamente scalzata via dal pensiero di Sao Tomé, delle sue esperienze in quel periodo, delle sensazioni che ancora provava al ripensarvi, oramai dopo cinque anni. Certo che però rifiutare quella proposta, rompere il fidanzamento e mandare all’aria il progetto di vita familiare…, sarebbe stato un fallimento umano e sociale. “Se accettassi sarei un infelice. Perché devo essere infelice io per far felici gli altri? Non voglio vivere in omaggio al resto del mondo!”.
I giorni che seguirono furono pervasi e intrisi degli stessi pensieri. Anche perché si avvicinava il giorno in cui avrebbe incontrato la ragazza per dare la risposta ufficiale alla proposta combinata “matrimonio + posto in banca”. Notò con soddisfazione che man mano che si avvicinava il momento della verità diventava sempre più calmo. “Buon segno – si disse – significa che sono sulla strada giusta”.
L’appuntamento era fissato per quel mercoledì alle tre, ai giardini davanti al bel condominio dov’era ubicato l’appartamento del vicedirettore della banca. Lei arrivò puntuale, lo salutò amichevolmente ma senza indulgere in manifestazioni di troppa tenerezza, che forse giudicava superflue. Entrò subito in argomento tradendo una certa impazienza e fretta di concludere questo “affare”. “Allora: hai pensato alla proposta di mio padre?”. “Bene – pensò lui – questo modo di fare quasi commerciale mi facilita il compito. Non ci saranno pentimenti e rimpianti, o, se ci saranno, saranno ben pochi e di breve durata”. “Sì – rispose lui con calma e distacco – ci ho pensato”. “E cosa rispondi?”, continuò lei con lo stesso atteggiamento. E lui replicò mantenendo la sua calma ed il suo distacco: “non m’interessa, perché io non sono adatto a fare il bancario e non sono neanche adatto a fare una vita normale e comune come tutti gli altri”. Ora si sentiva estremamente forte ed era contento di aver finalmente trovato il coraggio di dire tutto quello che prima, nella fallace speranza di poter diventare normale, non aveva mai avuto il coraggio di dire. L’edificio borghese stava crollando fragorosamente e rovinosamente e lui non solo non faceva nulla per continuare a puntellarlo, ma al contrario finalmente aveva trovato la forza di distruggerlo. Si sentì libero. Lei ascoltò quasi senza batter ciglio, anzi con la stessa impazienza che aveva manifestato prima, come se stesse perdendo tempo. L’unica reazione fu un leggero sussulto del corpo nel momento in cui lui comunicò il suo rifiuto. Ma forse fu più che altro un’espressione di stupore, come se volesse dire: “Ma sei proprio matto a rifiutare un’occasione d’oro come questa. Davvero non me l’aspettavo. Ti credevo più furbo”. Lui capì. Nel momento stesso in cui le aveva detto di no, lui non esisteva più. E dato che l’affare non si poteva concludere, lei lo aveva escluso, scartato, cancellato, dimenticato e con tutta probabilità nella sua mente già ricercava qualche altro possibile soggetto con cui stipulare quel “contratto”. E senz’altro lo avrebbe trovato.
La cosa si era consumata nel giro di una manciata di secondi. Ora lui capiva che più presto avesse tolto l’incomodo meglio sarebbe stato. “Lo dici tu a tuo padre?”, le domandò. “Sì, sì, glielo dico io. Allora ciao”.
***
Mentre era assorto in questi pensieri, la voce dell’hostess annunciò: “Signore e signori, abbiamo iniziato la discesa verso Sao Tomé, dove prevediamo di atterrare fra venti minuti circa”.
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