Premio Racconti nella Rete 2026 “Piedi” di Fabio Amadei
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2026I piedi
Io e mio fratello gemello, piede sinistro, non avremmo mai immaginato che a un quarantenne programmatore di software quasi obeso venisse in mente di mettersi in viaggio per il pellegrinaggio di Santiago de Compostela. E senza un minimo di allenamento. L’ultimo mese, sdraiato sul divano o davanti al monitor del computer, si era abbuffato come se non ci fosse un domani. Per venti giorni non mise il naso fuori dal suo monolocale. Forse era la lontananza da sua madre a farlo cadere in depressione. Ingrassava a vista d’occhio e i chili in più diventarono per noi piedi un carico insopportabile, tanto da rischiare lo schiacciamento di ossa e tendini. Sua madre gli consigliò di mettersi a dieta e fare passeggiate.
Poi all’alba del primo di agosto decise di partire per Santiago.
«Ho sentito come un richiamo», disse a sua madre. «Non preoccuparti mamma, farò il cammino inglese, quello più breve di soli 118 chilometri, il minimo richiesto per ottenere il certificato del pellegrinaggio» gridò al telefono per darsi un po’ di fiducia in più.
Il primo giorno percorremmo più di ventimila metri. A fine percorso noi piedi e le gambe accusammo crampi e indolenzimenti diffusi. Il dolore si amplificava grazie allo zaino pieno di tante cose inutili e pesanti come padelle, pentole e scatolame vario. Il caldo afoso ci fece sudare col risultato di macerare la pelle. Comparvero piaghe ed escoriazioni. Il secondo giorno il mio gemello sinistro si slogò la caviglia. Io ero intorpidito e annichilito. Il farmacista della città galiziana consigliò due giorni di riposo. Con una buona fasciatura ringraziammo Santa Giulia di Corsica, protettrice degli arti e dei piedi.
L’indomani il nostro caro programmatore informatico volle bruciare due tappe in un solo giorno. Arrivammo all’ostello all’imbrunire con vesciche gonfie di liquido che ci facevano impazzire dal dolore. Se avessimo avuto dita lunghe come le nostre colleghe mani lo avremmo già strozzato. Un tedesco allampanato e la sua compagna coreana si presero cura di noi.
Con ago e filo ci fecero uscire il siero dal calcagno. Io quasi svenni dal dolore ma il mio gemello, quello della slogatura, mi fece capire stiracchiandosi che il peggio era passato.
La donna spalmò sulle ferite una pomata antisettica e ci regalò cerotti assortiti e un paio di calze traspiranti.
Il giorno dopo la sofferenza raggiunse vette altissime per i continui saliscendi.
Stavolta camminavamo lenti come tartarughe. In ogni chiesa o cappella votiva, seduto o in ginocchio, il nostro padrone contemplava gli affreschi e i quadri di Madonne con bambino. A noi colpì la statua di San Sebastiano trafitto dalle frecce. Pure noi ci sentivamo trafitti come il santo. Le fitte e il dolore ci facevano vaneggiare e fantasticare. Nei sogni a occhi aperti eravamo dotati di grandi ali alle caviglie e ci libravamo in aria felici e leggeri, e subito dopo, con sandali alati come Mercurio, camminavamo spediti sulle acque di un lago.
A un chilometro dal traguardo del pellegrinaggio, e dopo l’ennesima salita, il nostro padrone crollò a terra. Ci siamo ritrovati in un ambulatorio medico bendati e incerottati. Un’infermiera disse che un pellegrino ci aveva trovati svenuti sul letto del fiume. Ha avuto “salva la vida”, aggiunse.
Forse la donna non disse quelle parole. Magari la scena ce la siamo immaginata. Però all’uscita dall’ambulatorio le sei parole che gli uscirono dalla bocca le udimmo molto bene: «Torno a stare da mia madre».
Caro piede sinistro, ricordi quando da piccolini lei, armata di una piuma, ci faceva il solletico sotto le piante? Adesso, da piedi adulti, con trepidazione, varcavamo di nuovo la soglia della casa materna. Ci parve di sognare quando ci sollevò con delicatezza e ci immerse in una bacinella colma d’acqua calda e sali profumati. Poi ci baciò e ci massaggiò, e noi quasi svenimmo dalla gioia.
Quando mamma chiamò l’estetista per un trattamento di pedicure e un pediluvio con oli essenziali eravamo già in paradiso. Ebbri di felicità, ci mancarono le forze. E lui crollò a terra come un sacco di patate, ma nostra madre fu pronta ad accoglierlo in un caldo abbraccio, e noi potemmo tirare un bel sospiro di sollievo.
![]()