Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2025 “La casa” di Antonella Zanca

Categoria: Premio Racconti per Corti 2025

Cammino adagio lungo i corridoi della mia casa. Il pavimento di legno aiuta a scivolare, così non faccio fatica, anche grazie alle calzine colorate che porto sempre, in tutte le stagioni. Faccio ridere, ma tanto sono sola e almeno non ho freddo ai piedi che il freddo, con la vecchiaia, è una vera sofferenza.

Sono vestita come pare a me, ho imparato dalla televisione e riesco ancora a telefonare alla signora Lucia per farmi portare i vestiti che compra all’OVS. I fuseaux li voglio blu ma disegnati, che la tinta unita non mi piace. Poi una bella maglietta coi bottoni, Lucia l’ha trovata coi bottoncini che sembrano brillantini e con la luce degli specchi del corridoio ci sono sbrilluccichii dappertutto.

Sì, vivo in quattrocento metri quadri perché papà comprò questa casa con i primi guadagni del suo commercio. Era il 1900.

Unica erede, non so che farmene ma non riesco neppure a lasciarla. Tanto ho quasi cent’anni e prima o poi me ne andrò, lasciando tutto ad Emergency: mi piacciono, quelli lì; ho tappezzato casa dei loro manifesti, quando la gente lavora per gli altri io ne sono felice.

Solo Carlo non lavora, né per sé né per gli altri.

Dice che non trova nulla e piange miseria. Un po’ lo aiuto, un po’ no. Non è mio figlio, non siamo parenti, solo vicini di casa, lui abita un unico locale giù da basso, due porte dopo la mia, era la casa di sua nonna, almeno non deve pagare l’affitto ma quanto si lamenta delle spese. Vorrebbe essere IL vicino per eccellenza: Mi viene a trovare e continua a dirmi: “È contenta, vero, che le faccio compagnia…” mentre io faccio finta e sorrido. Un pensierino a irretire la vecchietta e guadagnarne l’eredità mi sa che l’ha fatto.

Cippirimerlo! direbbe la mia sorellina che è morta l’anno scorso. Lo lascio venire in casa, lo ascolto nelle sue lamentele, faccio finta di essere partecipe e intanto penso a quel ragazzino.

È comparso una settimana fa, nel vicolo che porta verso le mura. C’erano due cassette della frutta, in un angolo, e lui si è seduto lì, guardando la mia finestra, ma non credo mi vedesse, pensava ai fatti suoi. Io alla finestra ci sto delle ore, mi sembra di essere al cinema, riesco anche a mettere insieme la gente di oggi con gli attori del passato. Quel ragazzino sembrava Fred Astaire. Longilineo, si muoveva con eleganza, potrebbe farmi ballare, lo so, lo sento.

Invece resta lì e guarda il muro. Però i piedi li muove, come se non se ne accorgesse. E paiono passi di danza, una danza tutta sua. Ha delle scarpe bianche che un tempo si chiamavano da ginnastica.

Che bello che è il mio Fred degli anni 2000, non credo sia nato prima, anzi. Mentre Carlo di anni ne ha quaranta, nato nell’85, quando io ero appena andata in pensione.

Non ho nessun altro, intorno.

Carlo non mi aiuta, lui si lamenta e basta.

Ma la signora di Emergency quando la chiamo al telefono è gentile e mi chiede sempre se ho bisogno.

Le ho chiesto il nome di un avvocato, oggi viene, pare si chiami Italo Bentivoglio.

La voce della mia sorellina, in testa, mi dice di stare attenta, ma io di Emergency mi fido. E poi, anche se fosse un delinquente, o, come diceva papà, un filibustiere, che ci perdo? La vita? Pazienza, ho vissuto bene.

Ma Fred potrebbe aiutarmi. Sembra sveglio. In una settimana è venuto a sedersi lì tre volte. E sempre a muovere i piedi. Però non lo vedo da due giorni, da quando i piedi sembrava volessero imparare il tiptap.

O forse me lo invento, ma è così bello immaginare storie.

Quel giorno, Fred ha ricevuto una telefonata. Nel vicolo la sua suoneria era chiara e precisa e a me è balzato il cuore in gola: la stessa suoneria di mio marito, del mio amore di sempre che negli ultimi anni di vita ha voluto “El portava i scarp del tennis”, di Iannacci, su quel telefono che non amava (e io lo costringevo a portarselo in giro). Iannacci gli ricordava gli anni di gioventù quando lavorava a Milano.

Insomma, la mia storia doveva essere semplice, una finestra, un ragazzo a cui piace ballare e un altro a cui non piace lavorare.

Invece sto qui a raccontare storie di mia sorella, di mio marito, manca solo che racconti del figlio che non abbiamo mai avuto. Dove ho messo la bambola della mia bambina? Ah, eccola è nell’ultimo cassetto del comò. Belli, vero, i miei mobili? Papà, sempre papà, comprò tutto. E il mio amore ci si era affezionato come se li avesse comprati lui.

Ora saranno in Paradiso a giocare a carte. Paradiso sicuro, erano due buoni, non come me che faccio finta di ascoltare Carlo e intanto penso ai fatti miei.

Penso a Emergency. Perché Gino Strada io lo seguivo, quando lo intervistavano, e mi dispiaceva di non avere più l’età, e neppure le ginocchia, per andarli ad aiutare.

Facevo l’infermiera, deve esserci ancora il mio camice, da qualche parte, in un armadio. Avrei potuto fare di tutto, laggiù, chissà dove, certo dove avessero avuto bisogno.

Invece niente. E allora, prendetevi quello che ho, questa casa, metri di casa, soffitti alti, pavimenti in legno e in marmo, porte di legno laccate bianche che ormai bianche non sono più e bagni, due bagni padronali, uno con la vasca con i piedini dorati, non se ne vedono di certo così in televisione.

Ma dove sarà Fred?

Ecco il campanello.

“Arrivo, arrivo!”

“Sono il notaio Italo Bentivoglio e questo è mio figlio Federico.”

“Fred! Sei tu!”

“Sì, gli amici mi chiamano Fred, come lo sa? È perché non riesco a tenere fermi i piedi.”

(Lo sapevo, lo sapevo!)

“Venite, venite, questa è la casa, mi aiutate a regalarla ad Emergency?”

“Siamo qui per questo.”

“Un caffè?”

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2 commenti »

  1. Una bella e coinvolgente storia, caratterizzata da una vena malinconica, ma anche da spunti divertenti, dettati dalla signora ormai avanti con l’età.

  2. Che bel racconto Antonella, bello e commovente perché “vero”. Quando la vita sembra averci già detto tutto, l’ultimo guizzo è preoccuparci di ciò che resterà dopo di noi perché le “cose” possono avere una vita degna di senso, un “noi”. Complimenti

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