Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Racconti di vite” di Sabrina Spadaro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

Ricordo perfettamente le tue parole, quando sono venuto al mondo.

“Sei fortunato di esser nato qui”, mi hai detto, “in questa terra così fertile di storia, vita, di bellezza disgraziata. Sei fortunato perché appartieni a una nobile stirpe e sei destinato a grandi momenti: battezzerai una storia d’amore, o celebrerai festeggiamenti – ’ché gli umani, ricorda, hanno sempre un buon motivo per festeggiare, o amare; sigillerai accordi diplomatici, o un segreto inconfessabile, o chissà accompagnerai un momento che proprio grazie a te diventerà perfetto.

E tutto questo sarà possibile”, hai continuato, “perché sarai un rosso, deciso, intenso; non un bianco frizzantino che si sollazza in frivoletti pranzi, no: tu appartieni alla sera, alla discendenza che ha consolato quel noto Petrarca nei suoi giorni soli e pensosi.

Non ti dimenticare mai chi sei”, hai concluso, “e rendici orgogliosi”.

Così sono cresciuto e sono diventato maturo, mi dicevi con più facilità rispetto agli umani, che loro hanno bisogno prima di sbagliare e cadere e capire e sbagliare ancora. “Sciocchezze”, dicevi, “se sapessero che basta solo un po’ di acqua e sole, il vento della sera, lo stare radicati al mondo”.

Mi hanno raccolto, diraspato e pigiato – sarà forse simile a questa, la parte del cadere, ’ché di male ha fatto male – e poi mi hanno fatto fermentare – e questa invece mi è piaciuta molto, ero molto su di giri. Mi hanno travasato e filtrato e dopo tanto strattonare sono finalmente entrato in una botte, a profumarmi di amarena e fior di viola. Sono maturato un altro po’, riposando, poi mi hanno di nuovo travasato e filtrato – che ci vuole un po’ per trovare il proprio posto – e alla fine eccomi in bottiglia, lindo e pinto per il nobile destino.

Mi hanno portato a Venezia, in un supermercato – non proprio il ristorante a cinque stelle che mi meritavo ma fuori era primavera, fine aprile, sentivo che in città c’era la Biennale d’Arte e mi sembrava una cosa grande e importante.

Ero pronto a seguire intellettuali, pensatori, grandi menti; sentirli discorrere su… bhe non so… su quello di cui discorrono le grandi menti umane. Oppure, oppure sarei finito tra le mani di un artista supportandolo, anzi diventando complice del suo processo creativo… si dice così? ‘processo creativo’, l’ho imparato quella mattina. Sì, sarei stato al centro di una festicciola fra intimi sodali o il dopocena di una coppia semplice, sincera, che si è conosciuta lì per caso nella città più romantica d’Italia, che dico d’Europa, che dico del Mondo!

Il mio viaggio dell’eroe, come nelle storie che mi raccontavi prima di dormire, era appena cominciato.

Più o meno verso l’ora di pranzo, una ragazza che odorava di tabacco e notti insonni si è avvicinata allo scaffale su cui ero stato collocato. Dopo poco l’ha raggiunta un’altra dall’odore di tabacco e disappunto. Sembravano amiche, non una coppia, ed era un gran peccato: le storie d’amore, lo sai, sono sempre state le mie preferite.

Sentivo il loro respiro mentre scorrevano lo scaffale – sceglietemi, sceglietemi, sceglietemi – poi mi hanno preso per il collo per guardarmi meglio e “Questo non è male”, hanno detto e certo che non sono male! sono il meglio del meglio! anche l’illustre, il sommo, l’incomparabile Francisci Petrarchae laureati poetae ha scelto noi, eh, e mica cazzi! … si dice così tra i ragazzi, no? ‘mica cazzi’. Perdona la parolaccia. “Dai ok, costa pure poco” – sfacciate ragazzine, come se il valore di qualcosa lo definisce davvero il prezzo.

Fatto sta che mi hanno scelto – che gioia! che l’impresa abbia inizio! – e mi hanno piazzato in un carrellino accanto alla pasta e un barattolo di pesto e ok, mi avevi detto che mi abbinavo bene a formaggi e carni rosse, tutt’al più a un risotto… di certo non al pesto, senz’aglio per giunta! ma non importa, ci adattiamo… com’è che dicono gli umani? ‘chi si accontenta gode’, anche se a me sembra una grande fesseria.

Arrivati in appartamento, le ragazze poggiano i bagagli – sono viaggiatrici dunque, donne di mondo, chissà quanti racconti ascolterò! – prendono una sigaretta e mettono su l’acqua per la pasta. Si siedono a tavola, mi prendono e… e…. e non c’era il cavatappi in casa. Disonore! Lesa maestà! Pensavo a una burla, un rito di iniziazione fatto ai novellini, invece no, era tutto vero, dolorosamente vero. Le ragazze iniziano ad accanirsi su di me in ogni modo e a un tratto mi sono ritrovato con una chiave infilzata nel sughero, una tirava da un lato, l’altra dall’altro: avevi ragione che possono accadere davvero dei pasticci con il tappo.

Alla fine, la ragazza notti insonni mi ha afferrato nuovamente per il collo e siamo usciti a cercare una soluzione. Abbiamo camminato un po’ a casaccio tra i canti e le calli – che meraviglia! e quanti suoni! sentivo l’odore dell’acqua bagnata al sole – e siamo entrati in un ristorante. Sì, siamo entrati in un ristorante: senza dover mangiare, senza dover consumare, con una bottiglia già comprata dal tappo maltrattato, e la ragazza ha chiesto al cameriere di aprirla, per favore. È strana forte, lei, ma mi piace. Eureka! il tappo è fuori! che la festa abbia inizio! siamo tornati a casa, il piatto era già in tavola: le ragazze mi versano, fanno risuonare i calici, musica per le mie orecchie, era il momento di scoprire il mio grande e nobile destino e… e la ragazza notti insonni ha iniziato a piangere.

Uff… ok… mi avevi detto che spesso succede anche questo e che poi, grazie a noi, sarebbero passati in fretta dal pianto al riso; ma devo dire che non ero pronto neanche a questo, perché gli umani quando piangono fanno strani rumori bui, ancestrali. Insomma, la storia è che la ragazza aveva un ragazzo, diciamo. Aveva un ragazzo ma non bisognava dire che era il suo ragazzo, credo… non ci stavo capendo molto: a quanto pare ci sono tanti e complicati modi di stare con qualcuno. Questo ragazzo fa il comico, anche se a me pare che a lei non è che la facesse proprio ridere: si erano visti prima della partenza per Venezia, l’aveva guardata, si era messo a piangere anche lui – davvero un gran bel comico – e le aveva detto “Non ce la faccio”. Non ce la faccio.

Pare che molti dicano così, forse è un’altra delle loro formule obbligate tipo “In attesa di un cortese riscontro porgo cordiali saluti”, tipo “E vissero per sempre felici e contenti”, tipo “Il bagno è in fondo a destra”, tipo “Faccio tutto io in questa casa”. Non ce la faccio.

Non mi era ben chiaro cosa il ragazzo non ce la facesse a fare, ma credo che non fosse ben chiaro nemmeno alla ragazza: a suo avviso, se uno lascia, non lascia mica piangendo perché se piange significa che non vuole farlo. Il che come ragionamento fila ma qualcosa mi dice che gli umani non usano ragionamenti che filano. Si sono salutati, con un abbraccio lungo, e lui le ha detto “Sei molto bella anche adesso”, il che conferma la tua tesi secondo cui il dono della parola non dovrebbe spettare proprio a tutti. Lei, infatti, gli ha risposto “Me lo dite sempre, quando andate via”, che io ti giuro avrei voluto diventare un uomo per un attimo, solo per quell’attimo come nelle favole, per prenderla e abbracciarla, forte.

La ragazza, comunque, lo sapeva bene che sarebbe finita, dice, e lo sapeva bene anche la sua amica, e lo sapeva pure il comico; ma esiste una roba chiamata speranza che fa credere che le cose possano magicamente essere diverse da quello che realmente sono – sì, è come dici tu: a questi qui piace proprio complicarsi le giornate.

Quantomeno il pianto era presto finito e addirittura la sentivo ridere, o si sforzava di farlo – ottimo, sono stato bravo, magari il mio grande destino poteva ancora compiersi. Le ragazze hanno ripulito i piatti e sono corse a prepararsi per uscire – come non detto, mi stanno abbandonando – ma, colpo di scena, mi hanno preso e travasato in una borraccia e ok, anche questo non l’avevo previsto, ma tanto non avevo previsto niente di quello che mi stava succedendo quindi meglio stare al passo anzi seguire il flusso anzi ‘seguire il flow’.

Siamo andati in un museo e ricordo che mi avevi parlato di questi momenti… com’è che si chiamano… vernissage! in cui la gente beve camminando tra le opere con l’aria di chi ha capito tutto pur non capendo niente; certo non mi avevi detto che ci si portasse da bere in una borraccia per l’acqua… o forse lo fanno solo queste due, è assai probabile. 

Siamo entrati e le ragazze hanno preso a camminare con fare dubbioso, sentivo solo il loro respiro profondo e alcolico e riflessivo. Si sono fermate, dopo un po’: accanto a loro c’erano due ragazzi, nessun sentore d’alcol in borraccia, dalla voce sembravano giovani, molto giovani, probabilmente in gita – che ho capito essere un viaggio di scuola in cui si cerca di strappare il primo bacio ai pigiama party – che ho capito sono quelle notti in cui al posto di dormire si fa a lotta di cuscini.

Anche i ragazzini sembravano dubbiosi, sentivo chiedersi tra loro, ridacchiando, il senso di tutta quella vernice sparsa a caso su una tela; la ragazza è rimasta in silenzio a continuare ad osservare, poi, come se avesse risolto un mistero “È che quando forme e parole non bastano più”, ha detto loro, “resta solo il colore”, ed è andata via. Io non ho capito nulla, ma credo che lei avesse capito davvero qualcosa di importante.

All’uscita del museo, ancora in silenzio, le ragazze si sono fermate a penzoloni sul molo e mi hanno finito, quasi: rimaneva giusto giusto qualche sorsetto a tenermi in vita, sia nella borraccia che nella bottiglia in casa, ma avevo capito che con me avevano chiuso.

Mi hanno portato con loro in un bacaro per continuare a bere – ’ché ce ne vogliono di bicchieri per dimenticare il male – ma la ragazza iniziava anche ad aver fame, parecchia fame, così tanta da fermare un ragazzo che le stava passando accanto col suo aperitivo appena ritirato per chiedergli cosa avesse preso: “I tuoi cicchetti sembrano buonissimi”, gli ha detto trattenendo la saliva – pensavo quasi gliene chiedesse uno.

Il ragazzo – voce straniera, odore di mare e schiuma da barba – le ha risposto un po’ perplesso – del resto non accade tutti i giorni che una ragazza ti fermi solo per sapere che hai nel piatto… se sapesse che siamo entrati in un ristorante solo per farci aprire una bottiglia!… se sapesse che mi ha portato in un museo dentro una borraccia! – poi però l’imbarazzo si è smorzato e i due hanno iniziato a parlare. Evviva! Sapevo che sarebbe giunta la parte del principe azzurro in questa storia! E si metta agli atti che le ho dato io il coraggio di dimenticare l’ex e seguire il flow, soltanto io!

Arrivata ora di cena, il ragazzo invita le due amiche al ristorante, offre lui, sceglie un tavolo affacciato proprio sul canale, e ordina per tutti. La serata è trascorsa a meraviglia – nonostante la ragazza abbia rubato un bicchiere e tu mi hai detto che le fanno i ladri queste cose – così a meraviglia da voler scattare un’istantanea per ricordare il bel momento.

Il ragazzo e la ragazza si sono messi in posa, “Aspettate, fermi, aspettate”, e inaspettatamente ho sentito il suono di uno schiocco… era un bacio! sì, sicuro, era proprio un bacio! L’ha baciata! Vittoria! Mi stavo pregustando il meritato lieto fine ma quando il ragazzo, dopo cena, le ha chiesto di passare la notte insieme – non è troppo cresciuto per i pigiama party? – lei ha riso leggermente e “Mi dispiace ma no”, gli ha risposto, “per rispetto mio, tuo e delle persone che non dimenticheremo in questo modo”. Che dico io: in tutta la giornata non c’è stata una scelta, una, fatta con criterio, persino con la pasta al pesto son finito, e proprio adesso, adesso che era il momento di sbagliare e cadere e capire, questa qui doveva prendere la sua prima decisione giusta?

Lui ha sospirato, le ha dato un bacio, stavolta sulla guancia, e “Noi viviamo per nuove emozioni”, le ha detto, con lo stesso tono con cui la ragazza aveva svelato il mistero al museo, “Noi viviamo per nuove emozioni: tutto il resto è una forma d’attesa”. Io non ci ho di nuovo capito molto, perché l’attesa, come la speranza, è un altro dei bizzarri sentimenti che solo gli umani si ostinano a provare. Chissà cos’ha capito, invece, lei.

Era notte fonda, le ragazze stavano tornando verso l’appartamento, la giornata sembrava finita ma ecco un altro ragazzo – straniero anche lui, odore di inchiostro e bergamotto – avvicinarsi a loro: i tre iniziano a chiacchierare e decidono di spostarsi a un bar – è così comune tra gli umani uscire con gli estranei? La ragazza gli offre da bere e lui per ringraziarla le regala un suo bracciale: prima, però, si mette a recitare una cantilena, nella sua vera lingua – che fosse un incantesimo? ti prego ti prego facci comparire un principe! anzi ti prego ti prego fammi diventare un principe!

Ma nulla di fatto anche stavolta: alle tre di notte la brigata decide di separarsi, il ragazzo saluta la ragazza con un bacio, sulle labbra, breve, e quando era già di spalle “Tu che titolo daresti alla tua vita?”, le ha chiesto. Lei non ha risposto, ma so che ci stava pensando.

E così siamo tornati a casa dopo quell’incredibile giornata. Il giorno dopo, la borraccia è stata sciacquata per metterci davvero l’acqua e così di me è rimasto soltanto il fondo nella bottiglia: sentivo ormai parlare le ragazze solo una volta rientrate dalla giornata ed ero così invidioso di non poter prendere più parte alle loro avventure. Dopo due giorni sono andate via, ma la ragazza ha voluto portarmi con sé per ricordo, insieme alle foto, al bicchiere e a un quadretto, rubato pure quello – ormai avevo smesso di pormi ogni domanda: qui dicono che ‘le donne sono fatte per essere amate e non per essere capite’, e una volta tanto sono d’accordo.

Sono arrivato nella sua camera, a Roma – roba da non crederci, ero nella città eterna! – e il giorno dopo era il suo compleanno: l’ho sentita piangere appena sveglia e l’ho sentita piangere ancora quando quell’ex fanfarone le ha fatto gli auguri – stupido umano; poi la giornata è andata meglio. Ho sentito la festa, e poi un’altra; ho sentito tante altre cene e colazioni e pranzi, con tanta e tanta bella gente – non grandi menti, ma sì grandi cuori.

Ho sentito che un mattino ha comprato una pianta, ha comprato una pianta perché aveva baciato un ragazzo – tanto per cambiare – e l’ex pallone gonfiato, sapendolo, non l’aveva presa affatto bene e arrivati a questo punto ho bisogno di chiarimenti per seguire il filo di ’sta storia: un ex è un non-più-fidanzato o ho capito male io? c’è un tempo da rispettare tra il lasciarsi e il lasciare andare? e soprattutto cosa c’entra una pianta in tutto questo?

Ho sentito che un giorno è andata con amiche a provare abiti da sposa, per divertimento, fingendo un matrimonio – le donne vanno amate e non capite, le donne vanno amate e non capite – e l’ho sentita leggere, scrivere e guardare ogni sorta di film – romantici, s’intenda, come piacciono tanto a noi. Ho sentito una sera quell’ex-non ex suonare alla porta – avevi ragione sul fatto che a questi qui piace proprio cadere e rialzarsi e sbagliare e rialzarsi; hanno organizzato un pigiama party – che dopo una certa età a quanto pare si chiama ‘fare l’amore’ – e ti sono sincero, ecco… io in quel momento lì l’ho capito il senso di tutto quel cadere. Quanto è buono l’odore della pelle dopo aver fatto l’amore… sa di casa vissuta, di cose perdute.

Il giorno dopo l’ho sentita ballare musica elettronica africana – non proprio il gran concerto d’archi che avrei gradito ascoltare – e poi l’ho sentita cantare canzoni tristi; dopo qualche mese ha fatto ancora l’amore, con un altro uomo dalla voce seria, sono rimasti svegli fino all’alba ma senza essere in gita. Poi è andato via anche lui.

Ho sentito tanti racconti, tante storie, e il resoconto di tanti e tanti viaggi – credo che per due giorni sia anche andata a dormire in un convento; l’ho sentita una sera parlarsi allo specchio del bagno, dopo aver cercato di aggiustare lo scarico che perdeva, sorseggiando grappa – alquanto scadente a giudicare dall’odore. Sì, hai capito bene: era in un bagno, rotto, a bere grappa da sola mentre si faceva un discorsetto sul cercare di avere uno stile di vita più equilibrato… la coerenza, no, non è di certo il punto forte degli umani. L’ho sentita cambiare lavoro, poi cambiare un altro uomo, poi cambiare stanza, poi ritornare all’uomo dalla voce seria, poi è tornato pure il comico– è difficile star dietro a sta ragazza.

Poi ha deciso di cambiare città: mi ha portato con lei, mi ha messo in un cartone insieme ad altre bottiglie, le più importanti del suo periodo a Roma, e mi ha portato a Milano, nella sua nuova casa dove sono rimasto chiuso per due mesi prima che anche lei arrivasse. Mi è mancata terribilmente.

Quando ha aperto la scatola in cui ero, ha però buttato la maggior parte delle bottiglie perché, ho sentito, non voleva più ricordi di momenti tristi. Siamo rimasti io e un altro… mi sono sentito così speciale… Abbiamo scambiato quattro chiacchiere: lui era il ricordo di una serata nel suo bar preferito, con i suoi amici preferiti, in una delle sue serate preferite, quelle in cui si rideva e si cantava e si ballava e si parlava della vita che è difficile ma che bisogna comunque provare a vivere. In questa casa nuova si beve e si canta e si balla molto meno, e forse è per questo che la ragazza è spesso triste: forse gli umani diventano più tristi, quando sono più maturi.

Ho sentito noiose chiamate di lavoro, l’aspirapolvere passata come antistress, le chiacchierate con la sua nuova amica che odora di incenso e profumi maschili. Ho sentito nuovi film d’amore, nuove cene – un profumo decisamente migliore del pesto pronto – e le conversazioni settimanali con una donna che le ricorda quanto è inutile riempire un vuoto che non può essere riempito. Ho sentito che in casa c’è un nuovo amico e che la sera un po’ si è ritornati a bere e a cantare; ho sentito che un giorno l’ha chiamata quel tipo che aveva baciato dopo il comico, quello della pianta: l’ha chiamata per dirle che con lei ci si sarebbe messo. “Sì, lo dite sempre, col senno di poi”, gli ha risposto lei con finta accettazione, come se non le importasse. Magari un giorno mi trasformeranno in uomo e glielo dirò io, in tempo, così non piangerà più di nascosto.

Da qualche tempo ha un nuovo ragazzo – non è iniziata bene, chissà quanto durerà stavolta – che mi conosce perché discende anche lui dalla nostra terra, ha una casa proprio lì, accanto a dove sono nato, dove l’illustre Francesco è morto; ha promesso alla ragazza di portarla, fra qualche settimana, e io non vedo l’ora che lei veda il posto da cui provengo e senta le voci che mi hanno nutrito.

Spero che mi porti con lei – che buffo, in questi anni ho iniziato a sperare anche io – spero che mi porti con lei per incontrarti di nuovo, mamma, e dirti tutto quello che adesso sto raccontando tra me e me, come la ragazza fa quando è allo specchio.

Vorrei dirti che non ho avuto il grande e nobile destino che volevi per me, che ci sono tante cose che avrei voluto fare e non ho fatto, che il mio viaggio dell’eroe è disseminato di molte cadute e non ha ancora un titolo, ma che sto vivendo comunque, in una maniera che non avrei mai immaginato, in una storia così diversa da quelle che mi hai raccontato ma decisamente più bella, più vera, più mia.

Com’è che dicono spesso qui? Ah sì, credo sia così: ‘La vita’, mamma, ‘è ciò che ti succede mentre sei impegnato a fare altri progetti’.

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13 commenti »

  1. Bellissimo racconto, ben scritto in modo ironico, intelligente, commovente e coinvolgente. Per il tramite di una “bottiglia” si analizzano le dinamiche dei rapporti sociali, i pregiudizi, le consuetudini, gli stati d’animo delle persone, con le loro speranze, paure, contraddizioni, e desideri. Molto brava.

  2. Racconto scorrevole e gradevole…geniale l’abbinamento della bottiglia di vino con la vita della protagonista…
    apre a tanti punti di riflessione. Si legge molto piacevolmente.

  3. Ho sempre pensato che una storia ben scritta è quando riesce a farti provare emozioni o farti immergere in situazioni che non hai mai provato: direi che questo racconto ci è riuscito in pieno, bellissimo.

  4. Spesso la grandezza di una storia non è data dalla misura dell’impresa che si compie, ma da come la si compie e dalle emozioni che si vivono. Questo racconto è esattamente questo: dare valore alla semplicità e alla profondità delle emozioni, qualsiasi esse siano! Bellissimo racconto e bellissimo messaggio!

  5. Complimenti, un racconto originale! Empatizzare con gli oggetti che ci circondano, vedere il mondo dalla loro prospettiva, condividere il loro stato d’animo, è stato un lavoro estremamente interessante. Storia ricca di emozioni e di spunti di riflessione. Brava!

  6. Toccante e originale. Questo racconto è perfetto per diventare un fumetto

  7. Molto bello e fantasioso il racconto. Particolare nel descrivere il percorso di una bottiglia di vino con le vicissitudini della protagonista. Bellomo Enza

  8. Toccante e originale. Questo racconto è perfetto per diventare un fumetto. Catinella Valentina

  9. Un sapiente espediente letterario : un vino rosso che diventa un osservatore partecipe alle emozioni della gente e un punta di vista nuovo e inusitato. E’ proprio vero che ” In vino veritas!

  10. Che idea originale e poetica! Raccontare la vita attraverso gli occhi di una bottiglia di vino è una scelta narrativa davvero affascinante. La voce ironica ma delicata della protagonista inanimata riesce a trasmettere emozioni autentiche e a far riflettere sul valore dei momenti semplici. Un racconto che si legge con piacere e lascia un retrogusto dolceamaro… proprio come un buon vino. Complimenti!

  11. Che bello questo racconto. Alla fine, anche se parla di persone che si amano, si perdono, sbagliano… il vero viaggio è quello della bottiglia. Silenziosa, passa di mano in mano, assorbe storie, emozioni e silenzi. Anche lei, a modo suo, cerca di capire chi è e perché esiste. Mi ha colpito tanto!

  12. Tanto ritmo, divertente, riflessivo e commovente. Bellissimo !! Complimenti.

  13. Grazie davvero per le splendide parole che ognuno di voi ha speso per il mio racconto e per aver percorso anche voi una parte del vostro viaggio in compagnia della bottiglia! Grazie, ancora grazie.

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