Premio Racconti nella Rete 2025 “Il Regno Rubato” di Beatrice Vittoria Festa (sezione racconti per bambini)
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Chi l’avrebbe mai detto che mi sarei ridotto a scrivere ciò che mi è successo come passatempo. Sono Edran, Re di Maelcor, anzi, ex Re di Maelcor. Sono passati tanti anni da quando passeggiavo spensierato per i corridoi del mio castello, la mia casa, padrone di tutto ed erede al trono. Avevo venticinque anni quando iniziò l’invasione aliena; nessuno se lo aspettava, né tantomeno io, un giovane uomo che per compassione aprì le porte del suo regno a un gruppo di approfittatori provenienti da chissà
dove. Ma fatemi raccontare tutto dal principio.
Era un bel mattino di metà aprile, ero a caccia nella foresta di Reha con i miei servitori. Eravamo sulle tracce di una volpe quando all’improvviso gli alberi intorno difronte a me si interruppero in una linea netta, anzi più in un semicerchio, come se oltre ci fosse il nulla. Chiesi agli altri se fossero a conoscenza di quello che sembrava un canyon largo e profondo una decina di metri perché, personalmente, pur avendo frequentato quel bosco da quando ero soltanto un bambino, non mi ero mai reso conto della sua esistenza. Il primo a rispondere fu Blair, il mio maggiordomo personale da quando ero appena un poppante, neanche lui aveva mai visto quel cratere e mi redarguì di non avvicinarmici troppo perché dentro ci sarebbe potuto essere qualcosa di pericoloso. Stavo per desistere e tornare a cacciare la volpe ma qualcosa mi bloccò. Io e Blair ci guardammo con un misto di terrore e stupore negli occhi per un lungo momento: avevamo sentito un suono, più forte di un gemito ma meno rumoroso di un pianto. Senza pensarci più scesi da cavallo e mi avvicinai all’orlo del canyon per scrutare dentro, e quanto rimpiango di averlo fatto. Coperti da una nube di fumo bianco e denso c’erano una quindicina di esseri umanoidi accanto a dei rottami luminosi. Sembravano bambini di circa dieci anni, non di più, e stavano morendo. Chiamai i miei servitori a guardare con i loro occhi, ordinando loro di scendere dentro il cratere e portare fuori quelle creature. Ognuno ne caricò una sul proprio destriero, avvolsi la mia nel mantello, sembrava denutrita e tremava come una foglia, ma fu solo quando arrivammo al castello che ebbi modo di osservarla per bene. Era alta poco più di un metro e mezzo, aveva braccia decisamente troppo lunghe, che sfioravano le ginocchia. La pelle diafana risplendeva al sole come madreperla, il volto era leggermente allungato, con il mento a punta. Gli occhi erano grandi ed espressivi, il colore dell’Iride cangiante, a seconda di come veniva colpito dalla luce poteva apparire marrone come la terra appena arata, verde smeraldo come i prati dell’Inghilterra e dell’Irlanda, fino ad avere la tonalità del più profondo dei mari: erano come caleidoscopi. Subito feci arrivare dalle cucine una buona quantità di cibo e bevande. Cercai di agire con la massima discrezione e ordinai ai miei servitori di fare lo stesso, perché, se la cosa fosse giunta alle orecchie di mio padre, Re Brian XX, uno dei Re più potenti della storia di Maelcor, colui che aveva portato alla massima espansione il nostro regno fino a quasi farlo diventare un impero, anche se non nel più nel pieno delle sue forze, avrebbe agito e fatto condannare a morte quelle povere creature con l’accusa di esercitare qualche tipo di stregoneria. Fatto sta che quando ebbero terminato di rifocillarsi, andai incontro alla creatura che avevo portato sul mio cavallo. “Bizzarra creatura, riesci a comprendere ciò che dico?” gli chiesi, ed ella rispose con un gesto di assenso. Allora, gli posi le domande che mi si affollavano nella testa da quando li avevo visti dentro il cratere “Allora mi dica: chi siete? Da dove venite?”. Prima di iniziare a parlare la piccola creatura si guardò intorno scrutando l’ambiente circostante, poi si schiarì la voce con un suono rauco e finalmente disse: “Io sono Xylarth, futuro Re del popolo di Kryon , veniamo dal pianeta UIB-27. Stavamo facendo un’escursione su questo bizzarro pianeta quando la nostra navicella è andata in cortocircuito e si è schiantata provocando il cratere dal quale non siamo riusciti a uscire. A proposito, grazie per aver salvato me e i miei amici”. La voce aveva un suono particolare, come quello che il fabbro produce battendo il ferro. “Cosa è una navicella?” chiesi, preso dallo stupore e dalla curiosità di sapere di più, “È per caso una specie di carro, come quello che usano i mercanti per trasportare la merce? Sa, ultimamente qui se ne vedono di modernissimi, con le ruote in ferro anziché in legno, sono molto più resistenti e -”
“Ma no!”, mi interruppe con la sua voce gracchiante “le navicelle sono senza ruote, hanno dei motori molto potenti a propulsione che le fanno volare e sono costruite in super titanio che è… beh, in teoria doveva essere indistruttibile, ma visto come è ridotta la nostra navicella non penso lo sia così tanto” e finì la frase con una mezza risata amara. Magari avrei dovuto consolare la creatura, Xylarth, ma ero troppo sconvolto da quella valanga di informazioni tutte insieme che a malapena riuscivo a capire che cosa stesse succedendo, volevo sapere sempre di più ma allo stesso tempo avevo timore, il timore reverenziale che si prova quando si è di fronte a qualcosa di più grande di sé stessi, di fronte a qualcosa di straordinario e incredibile. Continuammo a parlare e scoprii che la sua età era molto più vicina alla mia di quanto avessi pensato all’inizio, difatti ne aveva 24, un anno in meno di me. Il tempo passò, le condizioni di mio padre peggiorarono e nascondere gli abitanti di UIB-27 diventò sempre più facile. Trovai in Xylarth l’amico che, avendo sempre vissuto isolato nel castello e non avendo avuto molta possibilità di socializzare, non avevo mai avuto. Dopotutto eravamo entrambi eredi al trono di due regni diversi, beh molto diversi, avevamo circa la stessa età e… ecco, mi tocca dirlo: era il mio migliore amico, la mia spalla, la persona di cui mi fidavo di più, per questo tutto ciò che accadde dopo fu più doloroso. Mio padre morì e diventai Re, ero ben preparato a sostenere quel ruolo, i miei insegnanti mi avevano educato bene, facendomi capire qual era il giusto modo di comunicare con i sudditi e tutte le altre cose che un Re deve saper fare. Nonostante ciò, la mia prima mossa da nuovo sovrano fu piuttosto azzardata e, secondo alcuni, controversa: presentai a tutti i sudditi del mio regno il popolo dei Kryon. Devo dire che tutto andò per il meglio e solo pochissime persone furono scandalizzate dagli alieni. Pensai che fosse l’ora che i miei amici diventassero parte integrante della società, senza doversi più nascondere, e così successe. Per i primi anni il mio regno fu ricco e potente quanto quello di mio padre, il popolo mi amava e tutto sembrava andare per il meglio.
Un giorno andai a fare una passeggiata a cavallo: era una settimana che discutevo continuamente con Xylarth, lui insisteva che doveva avere un ruolo più importante nel governo ma io non volevo, non potevo cambiare la tradizione governativa di Omnes per un alieno, mio amico, ma pur sempre un alieno, e pensai che un po’ di aria fresca mi avrebbe aiutato riflettere meglio e magari una volta tornato al palazzo sarei riuscito a fare pace con Xylarth. Al ritorno lo scenario che mi ritrovai difronte fu molto diverso da quanto mi aspettassi: difronte alle mura del castello c’era un esercito di Kryoniani armati. Dovevano essere arrivati da poco sulla Terra, un messaggero mi venne incontro “Lei, Re Edran è stato ufficialmente deposto, da oggi il Re di Maelcor sarà Xylarth. Lunga vita a Re Xylarth!” disse, mentre si innalzava un coro inneggiante il mio migliore amico. Sul momento ero troppo sconvolto per capire che cosa stesse succedendo e inoltre sentii un fortissimo dolore alla schiena e una sensazione di bruciore, iniziai a vedere mille colori tutti insieme, un turbine che mi risucchiava sempre più in fondo, fino al buio, che fu l’unica cosa a occupare la mia mente. Non so quanto tempo dopo mi risvegliai nella stanza da cui scrivo ora, se stanza si può chiamare. Avevo visitato qualche volta le celle del palazzo dove erano rinchiusi ladri e truffatori del regno, erano buie sporche e squallide, ma niente a che fare con il posto nel quale mi trovo ora. L’ambiente che mi circonda è fatto interamente di legno: pareti, pavimento e soffitto e le travi che le costituiscono sono così consumate dai tarli che di giorno entrano fasci di luce e polvere grigia e di notte spifferi freddi come lame. L’unico altro elemento presente è un po’ di paglia disposta sullo spoglio pavimento, sulla quale riposo. Al centro della stanza c’è una sorta di buco, che sembra profondo come il pozzo dal quale il regno di Maelcor raccoglie l’acqua; dentro di esso ci deve essere un peso che è collegato tramite l catena alla cavigliera di ferro che indosso in modo tale che non possa muovermi più di tanto all’interno della stanza. C’è solo una minuscola finestrella sbarrata dalla quale riesco a intravedere una immensa e desolata distesa grigia e nient’altro. Penso fosse passato un giorno quando sentii la voce di Xylarth dirmi: “Non te lo aspettavi, eh?”. Mi girai e lo vidi vestito con gli abiti regali, all’inizio non ero neanche sicuro fosse lui. Dopo un lungo momento di silenzio carico di tensione continuò: “Vedi caro Edran, UIB-27, si, è proprio sul mio pianeta che ti trovi, ormai è destinato alla distruzione: sul terreno non cresce più niente, non esiste neanche più una singola molecola di acqua e l’atmosfera si va giorno dopo giorno rarefacendo…”. “E con questo?” lo interruppi bruscamente. Mi guardò con fare ironico e continuò: “Con questo, naturalmente al mio popolo serviva una nuova casa e tu ce l’hai offerta gentilmente, anzi, ad essere sincero pensavo ci sarebbe voluto di più per impadronircene, ma tu sei stato così gentile da quasi regalarcela, devo dire che è stata una vera fortuna averti incontrato”.
“Che ne sarà del mio popolo? E degli altri? Rovinerete anche il mio pianeta?” chiesi con un misto di rabbia e frustrazione.
“Sai, questo pianeta si è ridotto così perché non riusciva ad adattarsi a noi, e penso proprio che la tua Terra lo farà invece, in caso contrario ci sarà un altro pianeta con cui testare le nostre tecnologie.” continuò lui: “Beh, diciamo che il tuo popolo e in generale gli altri abitanti non è che siano un granché utili, ma troveremo un modo di sfruttarli nel nostro piano”. La rabbia mi offuscava la vista, le parole che mi venivano in mente sembravano tutte troppo deboli rispetto a quanto provavo, cercai di raggiungere Xylarth che stava davanti alla parete opposta della cella, ma la catena mi fece inciampare, il tutto mentre lui mi guardava con un mezzo sorriso che mi faceva voglia di strangolarlo. L’unica cosa che riuscii a dire, con una voce gracchiante e tremante fu: “Non puoi fare questo, non ne hai il diritto, sei tu che devi adattarti alla Terra, non è la Terra che si deve adattare a te!”. Lui di rimando mi guardò con un sorriso beffardo e scomparve nel nulla. Da quell’ultima interazione non so quanto tempo sia passato e non so quanto ne passerà, prima che Xylarth si rifaccia vivo, a patto che lo farà. Ho ritrovato nella tasca del mio mantello questa penna e un po’ di inchiostro con qualche pergamena stropicciata, saranno la mia unica compagnia in questo nulla assoluto. La cosa che mi fa arrabbiare più di tutte è il fatto di non essermi accorto prima dei piani malefici di Xylarth, di non averlo fermato e di non poterlo fermare neanche ora. Mi aveva parlato già di come il suo pianeta era in condizioni gravi e più volte gli avevo ripetuto che non si può obbligare la vita ad adattarsi a noi, o essa si distruggerà e di conseguenza distruggerà anche noi. Tremo al pensiero di ciò che ne sarà della mia stupenda Terra e del mio popolo, di quelli di tutti gli altri regni. Penso che dovrò morire qui, da solo, consumato dal senso di colpa e dall’impotenza, pregando che qualcuno trovi la forza di opporsi a Xylarth, come io non ho mai fatto. Se fai un torto alla natura lei ricambierà nel peggiore dei modi, spero che si vendicherà per me e per tutta la gente a cui Siron ha fatto del male, e lo farà.