Premio Racconti nella Rete 2025 “Il paese dei mallevadori” di Giustino Verì
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025Sorgeva una volta, nel bel mezzo di campi arati e paesaggi rurali, un insieme di case i cui abitanti avevano dato vita a una piccola – ma molto unita – comunità.
La vita trascorreva lieta in quella collettività, tutti erano dediti attivamente al lavoro senza però tralasciare il fattivo contributo alla vita familiare.
I padri e le madri lavoravano, i figli crescevano sereni all’aria aperta.
Tutti erano ben consci del valore del lavoro e della vita, nonché della gioia dell’amicizia, della famiglia e del sincero amore.
Non v’era criminalità, il benessere era diffuso, non sorgevano odi né rancori, al punto che un osservatore estraneo avrebbe potuto qualificare le condizioni di vita come idilliache e il paese stesso come un’utopia.
La sensibilità degli abitanti, inoltre, era molto avvertita ed erano sempre tutti dediti a fare del bene l’uno verso l’altro.
Un brutto giorno, però, a uno degli abitanti capitò un evento sfavorevole.
La cosa scosse le coscienze di tutto il paese e risuonò come un’esplosione sgradita nelle valli vicine.
Per evitare che il triste evento si ripetesse in futuro, tutti gli abitanti vennero a consiglio e decisero che d’ora in poi simili cose non avrebbero più dovuto accadere nel paese, in quanto decisamente idonee a turbare la loro pace e tranquillità.
Decisero allora, sempre tutti insieme, di garantirsi l’un l’altro da spiacevoli eventi, impegnandosi tutti a garantire e manlevare quello tra loro cui, per disgrazia, fosse accaduto qualcosa di spiacevole, seppur minimo.
Il patto funzionò, e la pace e la tranquillità regnarono indisturbate per lungo tempo.
Molti anni dopo, però, accadde un secondo evento sfavorevole: anch’esso fu ben assorbito dalla comunità, così come poi avvenne in ciascuno degli anni a venire.
La cosa non lasciò conseguenze, le manleve vennero di volta in volta tempestivamente azionate e il ciclo della vita riprese sereno il suo corso.
Quel paese era stato così denominato “il paese dei mallevadori” e l’esempio dato dai suoi abitanti era stimato ed apprezzato, anche dalle comunità vicine.
Col tempo, però, eventi sfavorevoli iniziarono ad essere percepiti sempre più spesso, anzi quasi ogni evento, visto secondo chiavi di lettura diverse, iniziò a mostrare anche un non secondario aspetto di infelicità e sofferenza.
A tal punto, posta la moltiplicazione degli eventi infausti, i mallevadori non erano più sufficienti di numero a mallevarsi l’un l’altro, e tutti loro si chiedevano angosciati:
“Poveri noi, ed ora chi malleverà noi mallevadori?”
Tuttavia, proprio mentre il dubbio sembrava essere divenuto irrisolvibile, uno di loro trovò una soluzione ed esclamò: “Il Tempo!! Ecco chi ci malleverà! E questa sarà buona soluzione!!”
Il mallevadore convocò quindi in riunione gli altri mallevadori, e illustrò loro il suo piano.
“Qualsiasi evento sfavorevole, con il Tempo a favore, non rimane più tale.
Pensate voi, signori miei, se colti da un temibile morbo o incappati in un infortunio infausto, noi potessimo gestire il tempo a nostro piacimento: pensate, a esempio, a poterlo fare retrocedere, così da evitare in radice ogni possibilità del verificarsi di tale evento, o comunque gestirlo, correggere il corso delle cose, non integralmente beninteso, ma solo in quella parte in cui potrebbe comportare conseguenze pregiudizievoli a nostro carico.
E pensate, quindi, al beneficio enorme che ne avremmo, se solo si potesse convincere il Tempo a regolarsi come da nostre indicazioni. Quest’ultimo sarebbe in definitiva il Primo Mallevadore, il Grande Garante, e senza sforzo alcuno potrebbe mallevare da solo tutti noi!”
Dopo un’iniziale perplessità, tutti i mallevadori concordarono nel piano e, entusiasti, si recarono a far visita al Tempo, cui dettagliarono le loro richieste.
Il Tempo presa buona nota del piano accettò, senza condizioni, e si mise a disposizione di lor signori mallevadori.
Tutto così nel paese riprese a funzionare, anche meglio di come non fossero mai andate le cose in precedenza.
Di conseguenza, tornò quiete duratura nel paese dei mallevadori.
Il Tempo aveva un gran daffare, signori, questo è innegabile, ma tanto a lui non era d’intralcio perché sempre Tempo rimaneva; egli conservava fiero la sua natura, soltanto che ora scorreva a piacimento ovvero secondo richieste e non più secondo il vecchio corso lineare.
Egli era in fondo un’invenzione dell’uomo, una misura dell’esistenza e ai bisogni dell’uomo aveva iniziato a adeguarsi senza particolare sacrificio, anzi massimizzando l’utilità di tutti.
Tuttavia, a una seconda riflessione, i mallevadori convennero che non effettivamente a favore di tutti il Tempo era gestito, ma esclusivamente di lor mallevadori.
Fuori degli angusti confini del paese, invero, la Vita e il Tempo continuavano il loro regolare corso, infliggendo morte e sofferenza e nessuno interveniva a mallevare alcun altro.
Ma di questo i mallevadori non si erano preoccupati in precedenza, né se ne preoccuparono una volta realizzato il loro privilegio.
A lungo andare, tuttavia, i mallevadori riflessero su tale spunto: “Come potrà essere la nostra esistenza lieta se tutto d’intorno, quali foglie su un ramo, noi siamo circondati di parassiti invidiosi? Non sarà mica che dovremo preoccuparci di tutto tale astio, nel senso che esso possa prima o poi turbare la nostra quiete ed imperturbabilità?”
Allora, essi si riproposero di dividere con il mondo circostante le loro gioie, senza però dividerne i privilegi.
Fondarono così la Compagnia del Sollievo, una sorta di ambasciata mobile, composta da giovani apprendisti mallevadori mandati a predicare la dottrina della serenità garantita nei villaggi vicini. Essi portavano con sé libretti illustrati, piccole clessidre d’argento e storie edificanti su come, affidandosi al Tempo e a reciproche garanzie, ogni dispiacere potesse essere levigato fino a diventare solo un ricordo sfocato.
L’iniziativa riscosse dapprima curiosità, poi scetticismo e infine, nei casi più gravi, aperta ostilità.
Alcuni villaggi accolsero i missionari con torte e fiori, altri con ortaggi marci.
Un paese, noto per la sua ironia involontaria, affisse un cartello:
“Qui si soffre da sé. Non si accettano garanzie.”
Intanto, nel paese dei mallevadori, qualcosa cominciava a incrinarsi.
La gestione del Tempo, inizialmente fluida e perfetta, si fece improvvisamente incostante. Alcuni ricevevano indietro le ore perse, altri no.
Qualcuno vedeva saltare giornate intere, come se il Tempo avesse preso il vizio di fare scherzi.
Un giorno, il fornaio invecchiò di sette anni in una notte sola. Un altro giorno, la figlia del mugnaio tornò neonata.
Si scoprì allora che il Tempo, lungi dall’essere un servo docile, era diventato permaloso.
E poiché nessuno mai gli aveva chiesto se fosse felice, aveva deciso di ribellarsi.
Non per malvagità, ma per gioco.
“Volevate giocar con me?”, scrisse sul quadrante della torre dell’orologio, “E allora giochiamo.”
Il paese dei mallevadori divenne così un paese del caso, a giudizio di alcuni attenti osservatori esterni.
Ogni giorno un caso diverso, ogni giorno un diverso tipo di tempo.
Tuttavia, i mallevadori — abituati com’erano ad adattarsi, garantire e garantendosi sopravvivere — continuarono imperterriti, nonostante tutto.
E fu così che il paese, pur traballante e a tratti assurdo, mantenne la sua singolare armonia: un equilibrio instabile, ma tutto sommato funzionale, dove le regole cambiavano con le stagioni e le certezze erano solo provvisorie, come le piogge di primavera.
I mallevadori, ormai filosofi per forza, cominciarono a scrivere proverbi sui muri delle case.
Il più citato diceva: “Chi malleva campa due volte, ma nessuna per davvero.”
E il Tempo, ora vezzoso e istrionico, si aggirava tra le strade del paese con un bastone nodoso e un cappello a larghe falde, fingendosi cieco ma occhieggiando sornione dalle fessure del tempo stesso.
A volte concedeva un’ora in più per riparare a un errore, altre volte sottraeva un mattino solo per vedere chi se ne accorgeva.
Il mondo fuori continuava col suo passo ordinario, tra lamenti e gloria, guerre e nascite, senza mallevatori né garanzie.
Ma ogni tanto, nei racconti dei vecchi viandanti, si sentiva sussurrare di quel posto improbabile dove il dolore si poteva assicurare e la felicità si stipulava con firma congiunta.
E anche se nessuno sapeva più dove fosse — o se fosse mai esistito davvero —
molti, tra una sventura e l’altra, continuavano a sperare che un giorno, voltato l’angolo, avrebbero scorto un cartello sbiadito di presentazione di una località amena, che semplicemente diceva:
“Benvenuti nel Paese dei Mallevadori — qui ogni pena è temporanea.”