Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2025 “Canoni di bellezza” di Valeria Neri

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2025

La luce del bagno sfarfallò. Era qualche mese ormai che lo faceva, ma Sally si dimenticava sempre di cambiarla. Non che le importasse particolarmente, anzi, la tremula luce che rifletteva sullo specchio perfettamente lucidato le dava un senso di tranquillità che solo le sue mura domestiche potevano donarle. Inoltre, cambiarla non era una necessità impellente per la ragazza. Non era la sola luce del bagno. Attorno allo specchio ovale aveva fatto installare una serie di faretti a ventosa che illuminavano più della sola lampadina appesa al soffitto. 

Le piaceva moltissimo il suo bagno, esattamente così com’era. Tuttavia, quello stesso tremolio le ricordava costantemente le aspre critiche ricevute da parte delle amiche, riguardo le condizioni precarie della sua casa, del suo lavoro, e più in generale, della sua vita.

Sally sospirò, decidendo di dimenticarsi temporaneamente e per l’ennesima volta di quell’incombenza. Sicuramente, entro la fine della giornata se ne sarebbe ricordata e finalmente l’avrebbe cambiata, come si riprometteva ogni mattina. 

Si avvicinò al lavandino, e aprì il mobiletto sottostante. La patina di vernice superficiale si confuse con la polvere, nascondendosi tra le pieghe del tappeto bagnato. Tirò fuori una bilancia digitale, comprata qualche mese prima investendoci gran parte del suo stipendio, ma conforme ad ogni suo bisogno.

Era una di quelle bilance d’ultima generazione, che poteva calcolare sia la massa grassa che quella magra e che si collegava al proprio smartphone. In una parola: superaccessoriata.

La ragazza la posizionò sulle fredde assi del pavimento, sapendo che se l’avesse lasciata sul tappeto bagnato, il risultato non sarebbe stato esatto.

Col freddo del mattino, si spogliò. Lo stomaco vuoto protestò per quel maltrattamento, erano più di dieci ore che non vedeva traccia di cibo e sapeva che ancora per due non lo avrebbe visto. 

Protestò più forte. 

Sally si portò una mano sul ventre, poi salì. La bilancia segnò cinquantasette chili e dodici grammi. La ragazza guardò delusa il numero al neon che continuava a lampeggiare sul display. Scese e ripose il tutto nel posto d’origine. Si rivestì rabbrividendo, chiudendosi ben bene la camicia da notte, e accese le luci dello specchio, accecandosi momentaneamente. A tentoni cercò il telecomando e regolò l’intensità. Finalmente poté guardarsi.

Scosse i ricci biondi, volgendo il viso prima a destra, poi a sinistra, e di nuovo a destra. Portò le mani sui fianchi e si avvicinò di più alla sua immagine. Con occhio critico cominciò ad esaminare la morbidezza della pelle, la sua elasticità e quanto fosse liscia o meno. Trovò un punto nero nella parte alta della fronte. 

“Tu non dovresti stare lì” pensò rivolgendosi al suo sgradevole coinquilino. Per fortuna quel disgustoso essere non si trovava nella temuta zona T, e quindi poteva sbarazzarsi di lui. Lo spremette con forza e determinazione, finché un pus giallastro, simile a un piccolo vermicello, strisciò fuori.

Subito si lavò e cominciò la pulizia facciale. Afferrò il primo dei nove tubetti di crema, posti elegantemente in base all’ordine d’uso sul bordo del lavandino, e lo premette con decisione, dato che era quasi finito. Poi passò al secondo, fino all’ultimo rimasto. Girò stretti i pomelli del lavandino, senza riuscire ad impedire a quell’unica goccia di continuare a cadere nel suo incessante plic ploc contro la ceramica del mobile. 

Spense la luce del bagno.

La sveglia sul suo comodino segnava le sette e trenta. Avrebbe dovuto incontrare Tracy e Gina alle otto e venti. Sapeva già che sarebbe arrivata in ritardo, ma si disse che ormai, se proprio avesse dovuto far tardi, almeno avrebbe potuto prepararsi per bene. 

Impiegò circa quaranta minuti per decidere cosa indossare quella mattina. La sua prima scelta, un vestito leggero, lungo appena sopra la caviglia, acquistato in un negozio specializzato in revival anni ’90, era fuori gioco. L’aveva indossato due giorni prima e si era dimenticata di metterlo nella cesta del bucato, abbandonandolo invece sul cumolo di panni della sedia. 

Alzò gli occhi al cielo reclinando la testa indietro, e finalmente notò quella strana macchia sull’angolo del soffitto che sembrava aver cambiato velocemente forma e dimensione rispetto a qualche mese prima. 

“Che schifo.”

La decisione finale ricadde su un paio di jeans e un semplice top celeste. Si disse che se ci avesse abbinato l’accessorio giusto, come i suoi sandali con le zeppe presi ad Amsterdam due estati prima e il suo bucket hat lasciatole dalla sua ultima conquista, le sue amiche non le avrebbero fatto notare la semplicità e l’anonimato del suo abbigliamento. 

Guardò l’ora: otto e tredici. Doveva andare. 

Si disse che avrebbe fatto colazione alla tavola calda con le ragazze, se ne avesse avuto la possibilità. Decisione che il suo corpo non approvò affatto, come lo stomaco volle ricordarle, ma che, come sempre, non fu ascoltato. 

Si mise al volante, ma prima di partire gettò un occhio sul sedile posteriore. Il borsone rosso della palestra era lì. 

Poteva andare.

    La grande insegna al neon della tavola calda era accesa anche di giorno. Sally pensò di non averla mai vista spenta nei suoi ventitré anni di vita. Ormai la riteneva un marchio della sua città, un segno identificativo, come gli occhi viola di Liz Taylor o il neo della bellezza di Marylin Monroe. Quell’insegna verde lime l’aveva sempre accolta ogni qualvolta ne avesse avuto bisogno. Eppure poteva risultare un vero e proprio pugno nell’occhio, e Sally ne riconosceva questa particolare bellezza. Niente si armonizzava col verde lime, soprattutto il rosa confetto delle pareti della tavola calda. Non era questo, però, ciò che spingeva orde e orde di turisti a guidare anche più di novanta miglia pur di raggiungere quel luogo. Jo’s era rinomato soprattutto per i suoi enormi e gustosi frullati. Sally lo prendeva sempre yogurt e mirtilli, con aggiunta di panna extra e, se nessuno che la conosceva fosse stato lì, ci avrebbe fatto mettere anche le praline di cioccolato.

Al solo pensiero le venne l’acquolina in bocca. Era un po’ di tempo che non si concedeva quel tipo di piacere, anche se, come lei stessa ammetteva di tanto in tanto in confidenza col proprio spirito, non era estranea ai piaceri della carne e ciò non le dispiaceva affatto.

Mentre i suoi pensieri avevano preso il largo, si accorse che dall’ampia vetrata, due figure le facevano segno d’entrare. 

Tracy e Gina erano sedute entrambe allo stesso lato del tavolo. Ciò la innervosì un po’ e, ancor prima di varcare la soglia, un profondo senso di disagio le pervase il corpo. 

Ebbe un attimo di esitazione, poi entrò.

Sally si sedette al tavolo, salutandole. Tracy alzò debolmente la mano, senza distogliere lo sguardo dall’account Instagram dell’ex ragazza del nuovo tipo con cui aveva iniziato a sentirsi. Gina le sorrise, ma poco dopo una notifica sullo schermo le ricordò che era giunto il momento di far vedere a tutti i suoi amici cosa stesse facendo in quel preciso istante.

«Che cos’è?» domandò Sally, indicando il display dell’amica.

«Una nuova app. È l’ultima moda. Praticamente è come IG ma non come IG, non so se mi spiego» rispose Gina, aggiustandosi gli occhiali da sole alla Kurt Cobain.

«Non proprio.»

«Oh jeez» sospirò l’amica. «Tracy diglielo tu.» 

Stavolta Tracy alzò solo l’indice, tanto bastava per far recepire il messaggio. Gina storse il naso.

«Va bene, faccio io. Praticamente quando ti arriva la notifica hai, tipo, due minuti per fare una foto e far vedere ai tuoi followers cosa stai facendo, ma ecco… non la puoi modificare come su IG. È reale. In più non ci sono le emoji, ma puoi rispondere con un’altra foto facendo vedere la tua reazione. Cioè è tutto autentico.» Gina si alzò, sedendosi al lato di Sally. «Guarda» cominciò «Per esempio, Laurie sta facendo questo, che dovrebbe essere super divertente, anche se non lo è…» rise «…ed io posso rispondergli con una reazione a foto, o come si chiama, di me che rido.» Si scattò una foto mimando una risata. «Visto? Niente filtri, è tutto vero!» 

Sally guardò Gina che si risedette accanto a Tracy. Tentò di non farle notare quanto tutto ciò che avesse appena fatto fosse l’esatto opposto di autentico, ma non riuscì a trattenersi.

«Ma se non era neanche divertente per te. Non è affatto reale

«Vedi? Tu proprio non le capisci ‘ste cose. Non puoi modificare le foto, quindi sono reali. R e a l i.»

«Va bene, come vuoi» rispose rassegnata. «Ordiniamo?» aggiunse già pregustando la sua tanto agognata colazione.

Tracy posò svogliatamente il cellulare. «Sì certo, come no» commentò sarcastica alla proposta dell’amica. 

L’animo di Sally, o meglio il suo stomaco, cominciò a scivolare verso lo sconforto. «Perché?»

«Ma hai idea?»

«Di cosa?»

«Di quante calorie posso assumere in una giornata. Solo a respirare quest’aria avrò guadagnato almeno tre chili. Mi chiedo, infatti, perché ci costringi ad incontrarci qui ogni volta. Soprattutto adesso che hanno aperto quel locale vegan e gluten free a due isolati da qua.»

Sally alzò le braccia, voltandosi a destra e sinistra, come Vincent Vega in Pulp Fiction. «Ma qui fanno i frullati più buoni dello Stato, e ci siamo sempre venute a mangiare.»

«E infatti si vede» commentò Tracy squadrando Sally. «Non per fare body shaming, ma quel top l’hai rubato alla cuginetta più piccola? No perché tra un po’ esplode, eh.»

Sally abbassò lo sguardo verso l’oggetto incriminato. Le tirava leggermente sul seno, ma le cadeva perfettamente lungo il resto del corpo. Lo osservò delusa, consapevole che non avrebbe più potuto indossarlo con le sue amiche, o forse, del tutto. 

Gina ridacchiò.

«A proposito, sapete che ho perso due taglie?» Tracy si alzò, portandosi le mani sul girovita. Sally alzò appena lo sguardo. Il volto era ancora inclinato verso il top. Sorrise congratulandosi con l’amica.

«Una sciocchezza» disse Tracy, sedendosi soddisfatta. 

«Senza dover neanche faticare in palestra. Volete sapere come?» 

Sally si aspettava di sentire l’ennesima dieta miracolosa new age, che Tracy cambiava con ogni luna nuova. 

Si sfregò la fronte già spazientita. Aveva speso circa quattrocento dollari di abbonamento in palestra, andandoci quasi ogni giorno nell’ultimo anno, ma non era riuscita a perdere neppure un grammo, anzi, le sembrava che piuttosto che perderli, quei chili, li guadagnava. 

Si era anche rivolta a svariati nutrizionisti, seguendo le diete più strane e assurde. Niente però le garantì il risultato sperato.

«Come?» chiese Gina, accendendo la sua Iqos. Sally tossì. Odiava l’odore che quella sigaretta emetteva. Le procurava sempre una forte emicrania e Gina lo sapeva benissimo, ma la cosa sembrava non interessarle, anzi… Ogni volta che Sally le faceva presente come quella macchinetta infernale le procurasse la nausea, Gina assumeva il ruolo della falsa svampita, dicendo che se n’era scordata. Però, una volta accesa, non la spengeva mai, ma, alzando le spalle, dichiarava: «Ormai.»

«Ecco, qualche giorno fa ho visto un video su Instagram di una creator che sponsorizzava questo nuovo prodotto. Una crema fatta con una qualche alga di un paese di cui neppure mi ricordo, ma fatto sta che diceva che ti faceva perdere anche fino a sei taglie in due settimane!»

«E funziona?»

«Be’, ancora non lo so, cioè lo sto usando da soli cinque giorni, però ho perso già due taglie, quindi direi di sì.» 

Sally alzò la testa. «Dove l’hai presa?»

«Nel negozio di fronte alla macelleria. Ti consiglio di andarci. Sai, potresti averne bisogno se decidi di continuare a mangiare in questo posto.» Tracy e Gina risero. Sally abbozzò un mezzo sorriso.

La cameriera si avvicinò al tavolo. Si chiamava Mindy e viveva nella stessa via di Sally. Non si erano mai parlate molto, ma tutti nel vicinato sapevano come Mindy avesse appena vinto un concorso di bellezza e che presto avrebbe lasciato quel posto anonimo, per iniziare la sua carriera di indossatrice. E forse, un giorno, Sally l’avrebbe riconosciuta sulla copertina di qualche rivista che di solito svogliava dalla parrucchiera. 

Sally non la riteneva una grande bellezza. Aveva il naso aquilino e un mento troppo pronunciato che non rendevano grazia al suo viso minuto. Ma il suo punto di forza, probabilmente l’unico che le permise di vincere quel concorso, erano le gambe. Snelle, toniche, che non finivano più. Sally avrebbe ucciso per avere anche lei quelle gambe.

Mindy sbloccò il tablet. «Volete ordinare?» chiese alle tre ragazze. 

Sally gettò un’ultima occhiata ai favolosi frullati che venivano creati dietro al bancone. Sospirò amareggiata, osservando da oltre l’ampia vetrata il borsone rosso che la aspettava in macchina. «No, grazie” disse “Devo proprio andare.»

Il traffico, quel giorno, era insolitamente lento. Nessuno sembrava sapere dove volesse andare, e Sally era tra questi. La macchina si guidava da sola, tante erano le volte in cui la ragazza aveva percorso le lunghe strade della sua piccola città. Ricordava perfettamente ogni svolta, ogni semaforo ed ogni rotonda senza doverle neppure guardare.

Il terzo semaforo, quello all’incrocio tra Maple Street ed Evergreen Leaves Avenue, era rosso. Non se ne accorse e per poco non rischiò di tamponare il veicolo davanti. Inchiodò, e le gomme stridettero sull’asfalto. 

Per un breve istante si riprese dal suo torpore, ma subito dopo vi ricadde più intensamente di prima. 

La luce rossa del faro le regalava un’ombra tetra, marcandole più intensamente le occhiaie del suo volto. Sally guardò la strada davanti a sé. Avrebbe dovuto svoltare a sinistra. Quello era il percorso che conduceva alla palestra verso cui si stava recando con ben poca voglia. 

Fece cadere la testa sulla spalla destra, volgendo lo sguardo verso la carreggiata opposta alla sua. La macelleria, McPhillis&Sons, si trovava da quella parte, e con lei anche il curioso negozio che vendeva la crema miracolosa.

Guardò l’infinita serie di negozi che percorreva quella via. Le foglie autunnali si erano appena posate lungo i bordi del marciapiede e il primo freddo vento le faceva lievemente danzare a qualche centimetro da terra. 

La luce del semaforo si fece verde. Le macchine dietro Sally cominciarono a suonare impazienti per raggiungere la solitudine dei loro uffici. La ragazza mise la freccia a destra e svoltò, causando un breve trambusto che fu immediatamente riportato alla sua attenzione grazie allo schiamazzo dei clacson e da una serie di vezzeggiativi poco lusinghieri verso di lei e tutte le donne al volante.

Il maggiolino fu parcheggiato davanti la macelleria. Sally scese lasciando il borsone in macchina. Il vento dell’est le scarruffò i ricci biondi. Un brivido gelido le percorse la schiena e per un attimo la fece desistere dall’entrare. 

Restò interdetta. Poi varcò la soglia.

Il negozio non era molto grande. Conteneva solo tre corsie e tutto era immerso in una surreale luce biancastra. “Sembra un ospedale” si disse, mentre cercava di capire dove potesse trovarsi la crema miracolosa. 

Il cartonato di una ragazza alta e snella che mostrava orgogliosa la crema, elencandone accanto gli svariati benefici, la informava che era esposto nella terza corsia. La sicurezza del suo sorriso rassicurò Sally che vi si diresse decisa.

La percorse tutta, svariate volte. Da cima a fondo, e nuovamente dal fondo alla cima. Della crema miracolosa nessuna traccia. 

Pensò di aver letto male e tornò a guardare il cartonato della ragazza. “Corsia n°3”. Non si era sbagliata.

Mentre vagliava con lo sguardo ogni singolo millimetro delle scaffalature, un ragazzo che lavorava lì le si avvicinò. Sally si voltò sorpresa. Credeva di conoscere ogni persona in quello sperduto angolo di mondo, eppure quel ragazzo esageratamente alto e magro, dai capelli stranamente brizzolati per la sua età, o almeno per quella che dimostrava, ma allo stesso tempo dallo sguardo sicuro e rassicurante, non lo aveva mai visto prima. 

Lesse il nome sulla scintillante targhetta dorata apportata al petto: Larry.

Il ragazzo le rivolse un gran sorriso. Sally si meravigliò di quei denti tanto candidi da sembrare innaturali, ma sorrise a sua volta.

«Buongiorno signorina, sta cercando qualcosa?» chiese lo sconosciuto con voce melliflua.

«Ehm…» Sally, affascinata dalla melodia del suo accento, probabilmente di qualche regione europea, non riuscì a spiccicare parola.

«Ah, credo di sapere cosa stesse cercando, mi permetta di aiutarla» si avvicinò, ma lei arretrò istintivamente. Non si era mai fidata particolarmente del prossimo, soprattutto di affascinanti sconosciuti, dato che in passato l’avevano più volte ingannata.

Il ragazzo non si scompose per il gesto. Anzi, si fermò, portandosi una mano sul petto con eleganza, e disse: «Scommetto che stava cercando la nuova crema snellente.» 

Sally annuì.

«Mi dispiace signorina, ma l’abbiamo terminata questa mattina» rispose un po’ contrito. 

La delusione si dipinse sulle pallide guance della ragazza. «Ah… be’, ecco… la ringrazio» farfugliò, avviandosi verso l’uscita.

«Mi permetta» aggiunse precipitosamente il ragazzo, frapponendosi aggraziatamente tra lei e la porta scorrevole. «Sembra particolarmente amareggiata da tale notizia, dico bene?»

«Oh, non si preoccupi.»

«Oh no, insisto, anzi. Mi dispiacerebbe troppo che una bella ragazza come lei non riesca ad ottenere ciò che il suo cuore tanto brama. Lo ritengo un vero peccato, e mi creda, ho visto molti peccati nel corso della mia carriera.» Gli occhi neri come le piume di un corvo di Larry scintillarono magnetici. 

Sally non riuscì più a muoversi. Come se fosse stata sotto l’influsso di qualche incantesimo, la sua volontà fu congelata, dipendente solo dalle parole del suo interlocutore.

«Immagino, anzi, condivido la frustrazione del tuo cuore. Quasi la sento. La tua bellezza non rispecchia i canoni della società. Per quanti sforzi tu possa impiegare, magari attraverso diete ferree o costose iscrizioni in palestra, hai sempre qualche taglia in più rispetto a quella che vorresti. Non importa quanti post o video motivazionali contro il body shaming tu possa guardare, sai benissimo che le persone attorno a te continueranno a guardarti e a giudicarti. Come se fossi qualcosa che non si adatta a loro. Esattamente come quel top che indossi non si adatta al tuo corpo. Ho ragione?»

Sally annuì lentamente.

«Come immaginavo. E tu non vuoi che questo accada, non è vero?»

«No…»

«Be’, lascia che ti sveli un segreto.» La ragazza si avvicinò. «Quella crema non funziona affatto.» Larry ridacchiò. «Se vuoi posso indicarti io qualcosa che possa aiutarti coi tuoi problemi.»

«Cosa?» domandò ipnotizzata dalla prospettiva di essere finalmente bella agli occhi altrui.

«Poco fuori città, una vecchia signora del New Mexico ha aperto una… diciamo erboristeria. Prepara rimedi contro i più disparati problemi che affliggono da millenni il genere umano. Il suo nome è Selena. Non lasciarti intimidire dall’aspetto, lei è sempre ben disposta verso un’anima afflitta. La puoi trovare a questo indirizzo.» E così dicendo le porse un piccolo cartoncino bianco con sopra il nome di una via scritta con una bella calligrafia in corsivo. 

«Dì che ti mando io. Larry.»

Sally accettò con entusiasmo il bigliettino. Ringraziò gentilmente, come la sua educazione le aveva sempre imposto inconsciamente di fare, e s’affrettò fuori dal negozio.

“Addio chili di troppo” pensò, adocchiandosi il girovita.

Il profumo d’incenso la colpì violentemente appena entrò. Una serie di candele lasciava cadere la propria cera lungo il mogano dei mobili su cui si trova. 

    Sally si guardò attorno. La carta da parati in stile vittoriano era stata selvaggiamente attaccata dalla muffa, e in alcuni punti aveva ceduto lasciandosi vincere arrendevolmente. 

Due blatte saettarono ai piedi della ragazza. Sally balzò indietro. Le assi del pavimento scricchiolarono sotto il suo peso. La figura oltre il bancone si voltò.

Un’avvenente signora sulla quarantina la accolse. «Benvenuta, benvenuta! Mi chiamo Selena, come posso esserti d’aiuto, cara?» esordì, muovendo leggiadra le ampie maniche dell’abito boho. 

Il vento mosse i fumi dell’incenso che fecero tossire ripetutamente Sally. La ragazza dalla criniera leonina le porse il biglietto che le diede Larry, annunciando da chi le fosse stato consigliato quel negozio. Selena annuì sorridente e si sistemò i lunghi capelli corvini lisci come l’acqua. Sally pensò che le ricordava una versione della giovane Cher dell’epoca di Sonny e Cher Comedy Hour. In poche parole bellissima e seducente.

«E dimmi» cominciò con lo sguardo nascosto dal biglietto «cosa desideri veramente?» 

Sally le spiegò brevemente il suo problema, soffermandosi soprattutto sul canone di bellezza alla Linda Evangelista che desiderava raggiungere. Le confessò come si sentisse inadeguata in compagnia delle sue amiche, Tracy e Gina, e come invidiasse il fisico asciutto che stava cominciando ad affiorare sulla prima di queste.

Selena restò in ascolto, lasciando che la ragazza sfogasse le proprie frustrazioni e il risentimento verso coloro che avrebbero dovuto rassicurarla e invece, non facevano altro che essere una delle molteplici fonti del suo malessere. Teneva ancora il cartoncino in una mano, passandolo tra un dito e l’altro, e con l’altra picchiettava le lunghe unghie appuntite sul legno del tavolo.

In sottofondo un vecchio giradischi riproduceva Rhiannon dei Fletwood Mac, sospendendo l’aria attorno alle due donne in un etere lontano dallo spazio e dal tempo. 

L’odore dell’incenso si fece sempre più intenso, e i suoi fumi vibrarono a tempo con la musica.

«Sei fortunata, bambina. Conosco il rimedio adatto a te, e si dà il caso che lo tenga qui in negozio. Se vuoi, puoi averlo anche adesso.» Selena indicò il retrobottega nascosto da una tenda di perline d’ambra, che si muovevano sinuose come le spire di una serpe. Inconsciamente Sally imitò il loro movimento.

«Qual è il prezzo?» domandò la ragazza portando la mano alla borsa.

«Ecco… diciamo che oggi mi sento generosa. Per te, è gratis. O meglio, niente denaro, ma ha un piccolo prezzo se sei disposta ad accettare.» 

Sally annuì.

«D’accordo. Ti venderò uno speciale unguento. Diciamo che le sue proprietà possono essere paragonate addirittura a dei veri e propri miracoli. Con questo ti darò anche un ago molto particolare e un filo altrettanto straordinario.» I capelli della donna scintillarono, quando questa se li spostò oltre la spalla dalla splendida carnagione olivastra. «Vedi Sally, hai mai desiderato avere le stesse labbra, o gli stessi capelli, o le stesse gambe di una bella ragazza che conosci, e pensare: Se solo fossi anch’io così… ti è mai capitato di sentirti in questo modo?»

«Molto spesso…» ammise Sally con un pizzico di vergogna.

«Pagheresti per diventare così? Anzi, uccideresti per avere quelle gambe?» Selena si avvicinò alla ragazza. «Non mentirmi. Lo saprei.» Un brivido le percorse la schiena, mentre la donna le sussurrava: «Lo faresti, allora? Uccideresti per raggiungere la perfezione?» 

Il profumo d’incenso si fece più forte.

«Sì» rispose, confessando ciò che neppure a sé stessa si sarebbe mai sognata d’ammettere. 

Selena rise sommessamente. Si allontanò lenta, tornando dietro il bancone e tirò fuori un piccolo contenitore con dentro quella che sembrava una poltiglia maleodorante. Chiuse il barattolo e appoggiò sul coperchio un rocchetto di filo con un ago argentato infilato al suo interno.

«Tutto quello che devi fare è prendertele. Quelle gambe sono già tue, devi solo afferrarle» concluse l’affascinante commerciante, facendo scorrere la merce sulle assi del tavolo.

Sally prese il tutto senza guardarla negli occhi.

«Le istruzioni sono sul retro. Grazie per aver acquistato da noi.» 

Il giradischi si fermò. L’incenso smise di bruciare. Sally, stordita, lanciò un ultimo sguardo al bancone, ma lo trovò vuoto.

“Dove diavolo…”

Sally si lasciò cadere sul futon della sua camera. Aveva la testa pesante, e si sentiva spaesata, come se si fosse appena risvegliata da uno di quegl’incubi febbrili, incerta su ciò che fosse accaduto. 

Tutto il viaggio in sé le sembrò surreale, dal misterioso ragazzo del negozio di cosmetici, all’affascinante commerciante del New Mexico. L’unica prova a conferma della sua avventura era il barattolino che stringeva ancora tra le mani e il rocchetto di filo caduto ai suoi piedi. 

Sospirò e ruotò il barattolo, decisa a leggere le istruzioni.

Rimuovere la parte del corpo interessata e sostituirla con quella recuperata previamente dalla vostra vittima. Cucirla dunque al posto della parte rimossa con ago e filo dati in dotazione entro tre ore dalla avvenuta rimozione. Spalmare uno strato di crema sul punto di giuntura delle due estremità e lasciare riposare per trenta minuti. Ricordate sempre di smaltire correttamente la vostra vittima. Non lasciate rifiuti indesiderati lungo la strada. Per qualsiasi reclamo, rivolgersi al vostro venditore.

Sally rabbrividì. Incredula lasciò cadere la pomata e la spinse lontana da sé. Il barattolo rotolò, nascondendosi sotto il mobile appoggiato alla parete opposta. 

    Non riusciva a credere a quanto letto. “Chi mai potrebbe farlo?” si disse, mentre fissava ancora il punto in cui la pomata era stata inghiottita dal buio.

Si sdraiò sul futon. La testa le pulsava terribilmente e quelle tremende parole lette le tornavano alla mente come un’insegna luminosa a intermittenza. 

Prese un’aspirina. Riempì un bicchiere con l’acqua del lavandino e la mandò giù. Si rimise a letto e presto si addormentò.

Il suo sonno fu tormentato. Immagini di corpi fatti a pezzi le balenavano davanti agli occhi. Specchi riflettevano la sua immagine ricoperta di sangue. Eppure, nonostante il macabro scenario, la sua forma rifletteva quella di una donna finalmente bellissima… 

Non riusciva a non notare la perfezione che era riuscita a raggiungere. Niente e nessuno avrebbe mai potuto eguagliare il suo fascino. Non aveva più bisogno di un modello da seguire, di un canone di bellezza, lei era quel canone. Improvvisamente, il fatto che fosse seduta su una pila di corpi smembrati non era più così importante. Il sangue sulla sua pelle non lo sentì più come orripilante, anzi, avrebbe potuto persino affermare che le avesse donato un certo splendore. 

In mano stringeva l’ago e la pomata le colava tra le dita. 

    Si svegliò urlando.

Guardò l’ora: mezzanotte e tre minuti. Aveva dormito per tutto il pomeriggio. “Merda.” 

Accese lo smartphone. Sullo schermo erano segnate venticinque notifiche da tre social diversi. 

“Uff.” Lo spense e decise di uscire a fumarsi una sigaretta.

Fuori l’atmosfera era gelida. Di notte, le temperature precipitavano improvvisamente rispetto al tiepido calore pomeridiano, e Sally non si era ancora decisa al fare il cambio di stagione. Aveva vestiti autunnali ed invernali sparsi per tutta la casa. 

Indossò una maglia lunga con sopra un top. Poi, si mise un piumino leggero, indossò il suo bucket hat e una sciarpa, e preparò il suo drum. 

Si era ripromessa di smettere di fumare, ma il sogno di quel pomeriggio l’aveva lasciata in uno stato d’animo tale che non riuscì a fermarsi. 

    Uscì in strada e si accese la sigaretta. Il tabacco prese subito fuoco, sfrigolando mentre veniva aspirato. 

    Ispirò a pieni polmoni. Si sentiva già meglio.

Mentre la sigaretta veniva consumata lentamente, una volante della polizia passò a sirene spiegate. Si stava dirigendo a nord, verso Hill Street. 

Sally la osservò sfrecciare via, fino a sparire oltre la curva a sinistra. Da quella strada sbucò una persona.

Si dirigeva verso di lei. Visibilmente infreddolita, stringeva le braccia al petto, sfregandosi occasionalmente i palmi delle mani l’uno contro l’altro. Camminava veloce. La testa bassa, affrontava il freddo della notte.

La figura si avvicinò di più. Finalmente Sally la riconobbe. “Mindy” è il nome che le balenò nella mente. 

Inspirò profondamente. La testa della sigaretta si accese di un rosso intenso. Sentì uno strano istinto nascere dalle sue viscere. Le immagini del suo sogno tornarono a farle visita più vivide che mai. 

La sua salivazione aumentò. La ragazza si faceva sempre più vicina e quella frenesia che le pervadeva il corpo aumentò, fino a farsi fuoco nelle vene. Mindy stava passando davanti a lei.

«Ei Mindy!» chiamò la ragazza dai biondi ricci, senza rendersi conto neppure d’averlo fatto. 

La cameriera si voltò. La riconobbe e ricambiò il saluto con un timido sorriso.

«Hai finito ora il turno?» incalzò Sally, spaventata dalla prospettiva di perdere quell’occasione più unica che rara. Fuori non c’era anima viva, eccetto le due ragazze. Le luci delle dimore erano tutte spente. Solo un pipistrello annunciava la propria presenza con un agghiacciante stridio. 

Mindy attraversò la strada verso la ragazza con la sigaretta in mano. «Sì, sto tornando a casa. Non vedo l’ora di farmi una doccia calda» rispose. 

La luce del lampione sfarfallò.

«Giornata stancante?» continuò Sally.

«Molto. Non vedo l’ora di andarmene da questa città senza futuro.» 

Sally annuì come se sapesse esattamente di cosa stesse parlando – e forse lo sapeva. 

La cenere della sigaretta cadde sull’asfalto bagnato. Lei diede un’altra intensa boccata.

«Ti scoccia se faccio un tiro?» domandò Mindy. 

Scosse la testa e gliela porse. «Ne vuoi una?»

«Sto cercando di smettere.»

«Anch’io, ma oggi è stata una giornata pesante anche per me. Ho deciso di concedermi un piccolo piacere.» Sally si riprese la sigaretta. Il fumo si disperse attorno a Mindy. Questa esitò un po’, ma alla fine cedette.

«Se me ne puoi fare una, te ne sarei grata. Io ho buttato tutto il tabacco.»

«Certo, ma ho la roba dentro» rispose, indicando l’appartamento. «Se vuoi puoi entrare mentre aspetti, così non ti congeli qua fuori» aggiunse. Mindy accettò.

    Sally infilò la chiave nella toppa. La porta si aprì stridendo contro il pavimento. La pomata la stava aspettando sul comodino accanto al futon. 

Sally non ricordava di averla ripresa da sotto il mobile, ma non vi prestò molta attenzione. Posò le chiavi sul piano bar che divideva la cucina dal salotto. La busta di tabacco era lì.

«Fai da sola o te lo faccio io?» chiese, mostrando le cartine alla ragazza.

«Non preoccuparti, faccio da sola» rispose quella. Sally le passò tutto l’occorrente e sparì in cucina.

«Vuoi qualcosa?» domandò dall’altra stanza. «Caffè, acqua, gin?»

«No, no. Vado di fretta, mi faccio il drum e scappo.»

«Va bene.» 

La proprietaria dell’appartamento mise il catenaccio alla porta e accese la radio della sua sveglia. Stavano trasmettendo i Fletwood Mac. 

Mindy leccò la cartina, chiudendo la sigaretta. 

Sally le sorrise.

Non si udirono rumori quella notte. Mindy non si accorse di nulla fino all’ultimo secondo. La lama le recise la carotide con un movimento fluido, impedendole anche solo di gridare.

Sally prese la sigaretta dalle mani della ragazza prima che si impregnasse di sangue. La appoggiò accanto alla pomata. Quindi, recuperò la sega dal cassetto degli attrezzi che le aveva regalato Tim per Natale. “Quel ragazzo non li sapeva proprio fare i regali” ripensò.

Con calma, cominciò a segare le gambe di Mindy. Sally riusciva a sentire la carne lacerarsi sotto la lama seghettata. Impiegò più tempo per recidere l’osso, troppo duro per il suo mezzo. Sospirò a lavoro finito. 

Si sedette esausta accanto al busto di Mindy, asciugandosi il sudore dalla fronte e macchiandosi di sangue il viso. Sapeva che la parte peggiore sarebbe stata la prossima, quindi decise di scolarsi metà bottiglia di gin così che l’alcol la intorpidisse abbastanza da diminuirle il dolore. 

Passò quasi un’ora a tagliarsi le parti interessate, ma alla fine sorrise soddisfatta. Con pazienza iniziò a cucirsi le gambe. Il filo che Selena le aveva dato era estremamente sottile e impercettibile alla vista. Svitò poi il barattolo della pomata, passandosela lungo le cuciture e attese mezz’ora. 

Erano le tre del mattino quando Sally poté ammirare il risultato di tanti sforzi. Le cuciture sulle gambe erano svanite e la ragazza aveva acquistato almeno dodici centimetri d’altezza. Riusciva a muoversi come se avesse ancora avuto le proprie gambe. Si ammirò a lungo allo specchio, accarezzandosi le cosce toniche. 

Si sentiva bellissima, anzi era bellissima. La crema funzionava, e Sally era al settimo cielo.

Pulì l’appartamento con la candeggina. L’odore era insopportabile, ma non poteva vivere in quel caos. Il sangue sparso sul pavimento era troppo e il corpo di Mindy occupava molto spazio. Lo mise in un sacco della spazzatura e con esso le sue vecchie gambe. Se ne sarebbe sbarazzata il mattino dopo. Dopodiché si concesse una lunga doccia calda. 

La luce del bagno sfarfallò.

Sally parcheggiò la macchina davanti all’entrata del Jo’s. Quel giorno aveva deciso di indossare un vestito corto appena sopra il ginocchio, nero, con sotto una maglia a maniche lunghe semi trasparente, anch’essa nera. Ai piedi portava dei nuovissimi stivali di pelle. Entrò decisa nella tavola calda. Tracy e Gina erano sedute al solito tavolo.

«Ciao Tracy! Ciao Gina!» 

«Ciao Sally» risposero all’unisono. 

Tracy lasciò cadere il cellulare sul tavolo. «Oh. Mio. Dio» fece adocchiandola dalla testa ai piedi. «…ma sei più, ehm, alta?»

«Cosa?» domandò Sally meravigliata. «Devono essere i miei stivali nuovi, ma io sono sempre stata così.»

Tracy e Gina la squadrarono per qualche istante. «Mmh, no non credo» commentò la prima. «Non hai mai avuto gambe così toniche, devi aver fatto qualcosa… Hai usato la crema che ti ho consigliato?»

Sally prese la palla al balzo e annuì. «Sì! È davvero miracolosa.»

«Ecco infatti. Dovresti proprio ringraziarmi. Se adesso hai le gambe così è merito mio, senza i miei consigli avresti ancora quelle flaccide cosce che ti trascinavi dietro da anni.»

Tracy riprese in mano lo smartphone. La novità della trasformazione improvvisa di Sally cadde velocemente in secondo piano. Come argomento del giorno, Gina aveva condiviso l’imperdibile notizia della nuova ragazza che si era iscritta in palestra, una certa Lisa. 

A quanto pare Lisa era riuscita in un solo giorno a lasciare un ricordo indelebile, soprattutto tra la fauna di sesso maschile. Rientrava nella categoria delle maggiorate, esattamente l’opposto di Sally che, invece, era stata bollata come tavola da surf.

La ragazza dai biondi capelli ribelli non si era mai preoccupata particolarmente della misura del suo petto. Aveva sempre pensato che il suo cavallo di battaglia fosse il lato B, e, per quanto esitasse ad ammetterlo per paura di passare come un’antifemminista che appoggiava il patriarcato, sorrideva quando un giovane e avvenente coetaneo si voltava mentre gli passava accanto. Invece, rabbrividiva quando colui che mostrava il proprio apprezzamento si rivelava essere un ultracinquantenne bavoso, che probabilmente aveva lo stesso anno di nascita del padre.

Tuttavia, ultimamente Sally non riscuoteva più lo stesso successo a cui era abituata. Il suo ultimo flirt aveva deciso di porre fine alla relazione prima ancora che iniziasse, proprio a causa delle sue scarse forme.

Sally si accarezzò le gambe.

«Hai una foto?» chiese all’amica che quel giorno aveva deciso di rendere omaggio ai film western, indossando un eccessivo cappello da cowgirl.

«Ovviamente.» Gina pose lo smartphone al centro del tavolo, iniziando a scorrere il feed della ragazza.

«Quanto la invidio» commentò Tracy. «Io invece sono completamente piatta, guardate» continuò mostrando a tutti i presenti al tavolo quanto la sua terza coppa D fosse invisibile ad occhio umano. Sally non riusciva a raggiungere nemmeno una seconda coppa B.

«Cosa? Ma sei perfetta!»

«Mmh lo pensi davvero, Gina?»

«Ma certo! Sei così bella, Tracy. Chi non vorrebbe essere te?»

«Già. Chi non vorrebbe…» aggiunse sarcastica Sally. Tracy la fulminò con lo sguardo. Gina non si accorse di niente.

«Ho una fame… ma non c’è nessuno qui a cui possa ordinare?» Gina si guardò attorno. Quel giorno c’era solo Tony a servire ai tavoli.

«Già, ma dov’è finita quella ragazza… Milly?»

«Mindy» corresse Sally, pentendosi immediatamente di averlo fatto. «Almeno mi pare di averla sentita chiamare così.»

Jo, il titolare del locale, passò in quel momento vicino alle ragazze. «Non si è presentata questa mattina» fece corrugando le sopracciglia. «Non si può proprio contare su nessuno al giorno d’oggi. I giovani non hanno voglia di lavorare. Bah, peggio per lei. Perderà il posto se non si presenta domani.» 

I quattro si scambiarono un veloce sguardo.

«Oh be’, volete ordinare?»

La palestra era quasi al completo quel pomeriggio. Il parcheggio incustodito aveva ogni posto occupato e molte auto erano posteggiate lungo la strada. 

    Era quasi il tramonto, ed erano appena le cinque e mezzo. Sally non sopportava il repentino calo delle tenebre. Fin da bambina aveva sempre preferito l’estate. Crescendo, però, l’amore per la stagione del sole aveva iniziato a tramutare in un odio silenzioso. La ragazza tentava di convincersi che il suo disprezzo verso il caldo, l’umidità e le orde infernali di zanzare non si applicasse all’estate in toto. Eppure, dall’ultima dovette ricredersi. Aspettava a gloria l’autunno e il sole che si faceva sempre più timido, nascondendosi dietro le colline nel momento in cui gli aperitivi vengono serviti. Ciononostante detestava la notte pomeridiana.

Guardò il cielo farsi oscuro. Sbuffò strattonando il borsone da palestra che si era impigliato con la cintura. Questo cadde a terra alzando la polvere.

La ragazza di cui parlavano Tracy e Gina non era difficile da notare, bastava seguire il vespaio di uomini che si spostava da un lato all’altro della sala. Al centro, l’ape regina si muoveva inconsapevole della folla attirata.

Sally la osservò a lungo. Le ricordava vagamente Lindsey di Total Drama. La cosa la fece sorridere ed eccitare allo stesso tempo. Già poteva sentire la consistenza del sangue tra le dita.

Pensò a come potesse attirarla nella sua casa per tutta la durata dell’allenamento, ma anche quando mise in moto la macchina sotto la pioggia scrosciante della sera, nessun brillante piano nacque figlio della sua mente.

I fari dell’auto s’accesero. La figura di Lisa si illuminò. Stava disperatamente cercando di coprirsi la testa con una camicetta più fradicia di lei. 

Sally appoggiò la fronte sul palmo della mano. “Che tonta.” Mise in moto e si avvicinò. Il finestrino cigolò mentre scorreva.

«Scusami!» Lisa si voltò nella sua direzione. «Sei Lisa giusto?»

«Sìì» rispose prolungando il suono della vocale. «Come sai il mio nome?»

«Andiamo nella stessa palestra. L’ho… sentito lì.»

«Oooh giusto. Mi piace la palestra.»

«Non ne dubito» Sally sforzò un sorriso. «Senti, ma non hai un ombrello?»

«Oh no. Io non uso quei cosi, ho troppa paura che il vento mi porti via con uno di quelli aperto.»

Sally non sapeva che risponderle. Non aveva mai incontrato nessuno tanto sciocco come quella ragazza. Neppure la sua amica Gina era tanto stupida.

Il rumore della pioggia picchiava sempre più forte sul tettuccio dell’auto. Lisa stava ancora in piedi con la camicetta zuppa, seguendo il movimento dei tergicristalli che stridevano sul parabrezza.

«Giusto…» riprese Sally. «Allora, vuoi un passaggio?»

«Certo! Sai non vorrei proprio bagnarmi i sandali nuovi.» Sally si sporse oltre il finestrino. Aveva davvero i sandali, per giunta aperti sia davanti che dietro.

«Okay… allora monta.» La portiera si chiuse e la macchina ripartì.

Sally si fermò davanti al suo appartamento. La luce del lampione sfarfallava ancora. 

«Ei, ma io non abito qui.»

«Lo so, Lisa. Qui ci abito io. Devo solo prendere una cosa, ci metto un minuto, ma se non ti senti sicura a rimanere da sola in macchina, puoi salire.»

Lisa si guardò attorno. Il lampione fece qualche scintilla che la fece sul sedile dallo spavento. Subito scese.

Dentro, Sally fece accomodare la sua ospite sul futon, le portò un bicchiere d’aranciata come da richiesta, chiuse la serratura della porta principale e si diresse verso il giradischi lasciatole in eredità dal nonno. Soffiò via la polvere e alzò la puntina. 

Da una vecchia scatola del latte tirò fuori un trentatré giri che appoggiò sul giradischi. La custodia cadde sul pavimento, rivelandone il titolo. Si trattava dei Jefferson Airplane. 1967. Surrealistic Pillow. La puntina cominciò a graffiare il disco, liberando il suono nella stanza.

Sally si tolse le scarpe. Amava ballare a piedi scalzi sulla traccia di White Rabbit.

Prese la sigaretta lasciata da Mindy. Era rimasta sul comodino accanto all’ago e al filo. La accese. Il tabacco prese fuoco. La cenere cadde sul pavimento.

«Che bella questa canzone» commentò Lisa sistemandosi le trecce.

«Li conosci?» domandò Sally piacevolmente sorpresa.

«Certo! Sono le Blackpink!»

Sally smise di ballare. Ispirò profondamente la sigaretta emettendo una vaporosa nuvola di fumo. Lisa era seduta davanti a lei sorridente. Lei forzò un sorriso a labbra strette.

Si diresse verso l’armadio e scostò alcuni abiti rimasti appesi al suo interno. Alla fine trovò quello che cercava. 

Afferrò la mazza da baseball – eredità dei tempi in cui faceva parte della squadra femminile della città.

«Mi potresti ripete il nome del gruppo?»

«Blackpink. Sono f a n t a s t i c h e.»

Sally le si parò davanti. Stringeva la mazza con la mano destra e la sigaretta con la sinistra.

«Sai Lisa, è incredibile quanto tu possa essere stupida» mormorò, sorridendo. 

Il primo colpo le centrò la tempia. Lisa cadde a terra. Subito un altro colpo le spaccò la mascella. Sulla mazza un miscuglio di capelli e sangue era rimasto appiccicato. Sally sferrò un ultimo colpo che aprì il cranio della ragazza. Poi lasciò cadere l’arma. Spense la sigaretta nel sangue della vittima e si diresse verso i coltelli della cucina. 

Scelse quello che usava per tagliare il tacchino nel giorno del Ringraziamento e tornò per aprirle la maglietta. Questa non portava neppure il reggiseno, quasi a facilitarle il lavoro. Iniziò la prima incisione con la solita cura e dedizione. In poco meno di un’ora aveva esportato i quattro seni. Il sangue scendeva sinuoso lungo le curve del suo corpo. Prese quindi l’ago che si era appuntata sul petto e cominciò a cucire. 

Lo spillo danzava lungo la carne della ragazza e come l’ultima volta, non restò traccia della cucitura.

Soddisfatta della sua opera, andò ad ammirarsi allo specchio, guardando il meraviglioso profilo che i nuovi seni le donavano. Li tastò avida, osservandone il peso e facendoli propri. 

Col suo nuovo acquisto si sentì ancora più completa. Se in quel momento non si fosse vista bellissima, non avrebbe dovuto preoccuparsi. Avrebbe potuto raggiungere la perfezione. Avrebbe potuto essere la perfezione.

Quel pensiero la eccitò. Riportò indietro la puntina del giradischi. Si accese un’altra sigaretta.

I piedi nudi spostarono le pozze di sangue a tempo di musica.

Tracy e Gina composero un’altra volta il numero di Sally. Gina aveva messo il vivavoce e appoggiato il cellulare davanti a loro. 

Squillò, ma nessuno rispose. Tracy riattaccò seccata. Sally non rispondeva alle loro chiamate da qualche giorno ormai, cosa che la stava facendo diventare sempre più irritabile.

«Ma perché non risponde?» chiese arrabbiata all’amica come se fosse l’oracolo di Delphi. Gina alzò le spalle accennando un mezzo sorriso.

La risposta a quella domanda giunse alle sei di quel pomeriggio. La campanella del locale suonò, mossa dallo spalancarsi della porta. Un’alta figura dai lunghi capelli corvini attraversò la soglia e si diresse verso il loro tavolo. Le due ragazze la squadrarono interrogative. Le labbra carnose e il seno prosperoso non davano loro alcun indizio su chi fosse la misteriosa figura. 

Tracy la osservò attentamente, sentendosi stranamente a disagio. Alla fine il suo sguardo si posò sul ridicolo bucket hat che indossava, e il suo volto s’illuminò.

«Sally!» esclamò stupefatta. Gina si abbassò leggermente gli occhiali da sole, continuando a masticare una Brooklyn alla menta. 

La ragazza dai capelli corvini avanzò con passo sicuro verso le amiche. Sorrise mostrando la sbiancatura dei denti appena fatta. 

Jo stava passando con un vassoio di omelette, che caddero rovinosamente a terra a causa dell’improvvisa perdita d’attenzione del proprietario.

Sally si sedette accavallando le gambe. Si tolse il cappello, sistemandosi la collana in modo da attrarre gli sguardi verso la sua vertiginosa scollatura.

«Ciao ragazze!» esordì con voce squillante. Le due dall’altra parte del tavolo si guardarono sconvolte.

«Sally, ma sei…»

«…sei bellissima! Praticamente irriconoscibile!» esclamò Tracy, mentre strane chiazze rosse si formarono lungo il suo collo donandole un fastidioso prurito.

«Grazie. Lo prenderò come un complimento» rispose Sally.

«Ma… come? Voglio dire…» Gina la indicò un paio di volte.

«Oh be’, qualche piccolo ritocco, palestra e ovviamente, creme miracolose.»

Tracy si grattò più furiosa. Le chiazze si espansero lungo la forma tonda del viso. «Creme miracolose? Ma non mi dire…» fece, ormai paonazza. Tentò un sorriso, ma ebbe scarso successo.

Sally arricciò il naso disgustata. «Sai Tracy, avevi ragione, dovrei proprio ringraziarti. Senza il tuo consiglio, non sarei mai riuscita ad ottenere così tanti risultati in così poco tempo.»

Gina, ancora sotto shock, continuava a fissarla intensamente. Il display del suo smartphone si illuminò informandola del fatto che fosse giunto il momento di essere reale. La ragazza lo ignorò, forse per la prima volta. 

Sally accennò un sorriso malizioso. «Infatti, vi volevo invitare entrambe stasera a casa mia per mostrarvi il processo di miglioramento che sono riuscita ad ottenere. Ed anche per un piccolo rinfresco. Offerto da me, ovviamente.»

«Certo! Ci saremo sicuramente, vero Gina?»

«S-sì, certo…»

«Grandioso» disse Sally battendo allegra le mani. «Ordiniamo? Ho una fame… Sai Tracy, credo proprio che ordinerò un frullato grande, magari al cioccolato e con panna extra. Ormai posso permettermelo con questo fisico. Non posso dire lo stesso di te, ma sono sicura che riuscirai a migliorarti… forse» concluse con una risata sommessa. 

Sally si gustò quel frullato come non aveva mai fatto. Davanti a lei, Tracy si grattava violentemente le braccia e il retro della testa, mentre la osservava raccogliere la panna con la punta dell’indice, portarsela soddisfatta alla bocca.

Alle sette e mezzo, il campanello dell’appartamento 6B in Willow Street avvertì la proprietaria che le sue ospiti erano arrivate. 

Sally aprì. Tracy e Gina erano alla soglia, quest’ultima con l’Iqos accesa.

«Benvenute ragazze, entrate pure… Aspetta. Gina? Spegni quella sigaretta infernale. Lo sai che non la sopporto, grazie.»

Gina fece stranamente come le era stato detto. Ed entrarono.

La casa profumava d’incenso. Candele bianche erano accese ai quattro angoli della casa. Al centro, un tavolo imbandito di coloratissimi drink aspettava le sue commensali. Il giradischi emetteva una dolce musica in sottofondo. 

Per quella speciale occasione, Sally, da attenta padrona di casa, aveva deciso di allietare gli spiriti turbati delle sue amiche con una delle sue cantanti preferite. Aveva, quindi, scelto un album di inizio secolo: A Day Without Rain dell’irlandese Enya.

Le due invitate si guardarono attorno. L’appartamento dell’amica non era mai stato così ordinato, né aveva mai avuto un così intenso odore d’incenso. Tracy pensò che Sally si fosse unita a una qualche strana specie di setta. 

Stava per dirigersi verso la porta principale, ma Sally la fece accomodare sul divano, servendole personalmente la prima bevanda.

«State bene, ragazze?» domandò premurosa. Tracy e Gina annuirono all’unisono. «Mi fa piacere. Prego, servitevi pure. Tutto questo l’ho preparato apposta per voi.»

«Non dovevi darti tanto disturbo. Davvero, non dovevi.»

Sally rise alla velata battuta dell’amica. Notò che il suo bicchiere era già vuoto, e subito si adoperò per rimediare.

«Sapete, ormai è tanto tempo che pensavo ad organizzare questo rinfresco, però volevo che fosse perfetto. Dovevo creare la giusta atmosfera. Molti non si rendono conto dell’importanza delle vibrazioni dell’ambiente circostante.»

«Vero! È quello che dico sempre alla mia estetista, ma quella proprio non mi ascolta.»

Sally guardò Gina come si guarda un cucciolo ferito. «Certo, Gina. Sono sicura che sia così, ma ti prego di non interrompermi mentre parlo.»

Gina si ammutolì completamente.

«Stavo dicendo…» riprese Sally «…non riuscivo proprio a scegliere le giuste vibrazioni, ma poi, ecco!» Aprì leggermente le braccia girandosi ad ammirare il suo capolavoro. «Perfetto.»

Tracy si guardò attorno per poi lasciarsi ricadere sul morbido divano.

Sally si alzò per prendere altre bevande. Il liquido rosso scivolò negli scintillanti bicchieri delle ospiti. «La musica di un giradischi è nettamente migliore rispetto quella in streaming. Il sound è completamente diverso, non credete?» domandò senza aspettarsi una vera risposta.

Si alzò delicata, volteggiando su sé stessa, mentre i lucenti capelli corvini la abbracciavano senza oscurarla. Tracy non riuscì a distogliere lo sguardo dalla bellezza dell’amica. Inconsciamente cominciò a ondeggiare sulla seduta. «Assolutamente» rispose dopo lunghi secondi. 

Cominciò a sentirsi improvvisamente stanca. Le palpebre pesanti la costrinsero a sorreggersi la testa col palmo delle mani, appoggiandosi sul bracciolo del divano. «Gina…» chiamò, ma l’amica stava già dormendo, raggomitolata su sé stessa dall’altro lato.

Sally era seduta davanti a lei, sorridente.

«Sally… sono molto stanca, ho bisogno di stendermi» le disse.

«Non preoccuparti, ti accompagno sul futon in camera.» 

Tracy si sdraiò e immediatamente cadde in un sonno profondo.

La sveglia accanto al letto segnava mezzanotte precisa. Tracy aprì lentamente gli occhi. La testa le girava vorticosamente. Tentò di muoversi, ma ogni movimento era troppo faticoso. 

Con fatica, riuscì, infine, a mettersi a sedere. Quindi provò ad alzarsi, ma cadde immediatamente a terra. Sally rise.

Tracy alzò lo sguardo e la vide a piedi nudi, davanti a lei. La luce delle candele proiettava la sua ombra che occupava quasi tutta la stanza. Fu allora che si accorse delle corde di canapa che le immobilizzavano i polsi e le caviglie. 

Istintivamente si dimenò per potersi liberare, ma tutto ciò che riuscì a fare fu provocare un eccesso d’ilarità in Sally. 

Nell’angolo della stanza, c’era un’altra figura legata e imbavagliata a una sedia che singhiozzava impercettibilmente. La riconobbe. Era Gina. 

Tracy cominciò a gridare. Sally sbuffò scocciata. Il tacco di un paio di Louboutin le fece perdere nuovamente i sensi. Quando si risvegliò, anche lei si trovò imbavagliata come l’amica.

«Ben svegliata» le sussurrò dolcemente Sally. «Sono contenta che tu sia riuscita a unirti alla festa finalmente. Adesso possiamo passare alla dimostrazione che vi avevo promesso.» 

Sally si accese una sigaretta. Fece ripartire il vinile che aveva smesso di suonare da ore. Only Time iniziò in sottofondo.

«Immagina, Tracy, se ci riesci, alla possibilità di cambiare qualsiasi parte del tuo corpo che non ti piace, senza dover più ricorrere a diete impossibili, o a esercizi estenuanti che non danno mai risultati. Se ti dicessi che potresti dire addio a quell’orrendo naso aquilino che ti occupa quasi tutta la faccia ed avere invece questo bellissimo nasino a punta della nostra Gina, ci crederesti?»

Tracy fulminò con lo sguardo la sua aguzzina.

«Sapevo che saresti stata scettica. Anche io lo ero, ma lascia che ti dimostri come funziona.» 

Sally afferrò la mannaia appoggiata sulla scrivania. Gina cominciò a piangere più forte. Tracy tentò di gridare inutilmente. 

La mannaia scintillò sotto la luce delle candele. 

Con un movimento fluido Sally recise la parte interessata dal corpo dell’amica. Gli strilli smorzati si fecero più acuti, ma non sufficientemente per essere uditi oltre le spesse pareti dell’appartamento 6B. Quindi si avvicinò a Tracy, stringendo tra il pollice e l’indice il delicato nasino dei Gina. 

Il sangue le colava lungo il palmo, formando un elegante rivolo lungo il candido avambraccio.

«Potresti tenerlo un secondo, per favore?» domandò, appoggiando il nasino sul grembo di Tracy. 

Con un altro colpo deciso, il naso corvino dell’amica cadde rimbalzando sul pavimento. Fu allora che Sally mostrò la crema miracolosa alle amiche, assieme all’ago e al rocchetto di filo.

«Non preoccuparti, Tracy. Sono diventata piuttosto brava. Non si vedrà neppure la cucitura» disse, accovacciandosi accanto alla sedia. «Però non devi piangere così. Renderai il lavoro molto più doloroso.»

Tracy cercò di trattenere i singhiozzi. Quando ci riuscì, nessun rumore si udiva fuorché la terribile musica scelta da Sally. 

Il sangue di Gina aveva raggiunto i piedi nudi dell’abile tessitrice. Tracy indugiò. Non voleva vedere, ma… doveva.

Spostò lo sguardo sull’amica. Questa aveva la testa penzoloni, rivolta verso di lei. Gli occhi ciechi la scrutavano immobili. Il sangue aveva colorato le sue pallide guance e adesso le si era seccato lungo il collo, donandole un macabro collare cremisi.

Tracy riprese a singhiozzare. Sally le spalmò l’ultimo strato di crema del barattolino sul viso.

L’ora sul display di Gina segnò le tre del mattino. Sally portò un piccolo specchio a Tracy. Glielo avvicinò. «Guardati. Adesso anche tu sei bella» cinguettò. 

Tracy si ammirò qualche secondo. Non piangeva più.

«Non pensi che ne sia valsa la pena? Dopotutto, come si dice? Chi bella vuole apparire…» ridacchiò. Tracy anche, o forse piangeva, chi poteva dirlo con certezza? 

«Purtroppo, Tracy, questa era solo una dimostrazione. Se io ti dessi la possibilità di perfezionarti ancora, arriverebbe il giorno in cui tornerei a marcire nella tua ombra…» Sally si alzò. Posò lo specchio accanto a Gina. Si accese un’altra sigaretta. «… E questo non accadrà mai, credimi» le sussurrò, come se fosse stato un segreto da custodire gelosamente. «Solo io posso essere bellissima» concluse. 

Aspirò profondamente. Una nuvola di fumo offuscò la vista di Tracy. La mannaia le si piantò al centro del cranio con un colpo secco.

Sally ansimò, ammirando la sua opera. Poi, lentamente si diresse in bagno. 

La luce del soffitto si era completamente fulminata. Accese quelle dello specchio e rimase qualche istante incantata, ad ammirarsi. 

Era bellissima, nonostante il sangue che le gocciolava dal corpo. 

Si voltò e aprì la doccia.

Come i piedi toccarono le limpide acque, queste si tinsero di rosso. La ragazza non ci fece neanche caso e si immerse completamente. Piccole bollicine risalirono la superficie. 

Uscì dalla vasca un’ora dopo, completamente purificata dall’acqua. 

I corpi delle sue amiche erano ancora nella stanza a fianco. 

Si asciugò, lasciando bagnati solo i lunghi capelli corvini. Piccole gocce come perle le scesero lungo la schiena longilinea. Dunque, accese una sigaretta, fissando estasiata il volto di Tracy. 

“Questo, potrebbe essere il mio lavoro migliore.”

Sorrise. 

La testa della sigaretta si tinse di rosso. La cenere cadde lenta, baciandole una coscia. L’invisibile filo che teneva insieme le due estremità si bruciò. 

La gamba si staccò dal resto del corpo.

Sally precipitò a terra, sporcandosi completamente del sangue dell’amica. Nel vedere una delle sue gambe staccata dal corpo, lanciò un grido disperato.

Subito si trascinò verso il barattolino di crema rimasto sulle gambe di Tracy. Lo afferrò tremante, e lo trovò 

vuoto. 

Aveva usato l’ultimo strato per su Tracy. 

Il terrore per ciò che stava per accadere si dipinse sul suo volto.

Scagliò lontano il contenitore di crema che si infranse, scontrandosi contro lo specchio lasciato sul tavolo. Le scaglie di vetro piovvero leggeri sulla gamba abbandonata. 

La luce delle candele tremolò.

Sally provò ad alzarsi, aggrappandosi con tutte le sue forze al comodino vicino al futon, ma non ci riuscì. La sua sveglia cadde attivando la radio. 

Stavano trasmettendo Rhiannon dei Fletwood Mac.

Sally si trascinò verso la porta di casa. Dietro di sé la coscia recisa lasciava una lunga scia di un rosso intenso. Riuscì a raggiungerla. Tirò con tutte le sue forze la maniglia, ma la porta non si aprì. Alzò lo sguardo e vide che il catenaccio era ancora inserito.

Provò a gridare, a chiamare aiuto, ma nessuno udì gli strazianti lamenti dell’appartamento 6B. Nessuno. Non un’anima. E forse, fu meglio così.

La sigaretta si spense.

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2 commenti »

  1. Un racconto che tratta sicuramente di un tema non facile e moderno. L’atmosfera horror e magica mi hanno ricordato a tratti Stephen King. Sicuramente un racconto che rimane.
    Complimenti

  2. Bel racconto, su un tema attuale e sui risvolti che le pressioni sociali possono innescare nelle persone. Mi ha piacevolmente colpito, perché inaspettato leggendo la parte iniziale del racconto, il passaggio verso uno scenario quasi splatter. Complimenti

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