Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2023 “Ce la posso fare” di Beatrice Zedda

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

La porta della camera sbatté fragorosamente. Sara non riusciva a sopportarla, quella sensazione che la divorava, che la consumava ormai da mesi, e intanto sapeva già che stava per succedere di nuovo.

“Tesoro, tutto bene?” si sentì la voce della mamma provenire dal corridoio, preoccupata per il ritorno agitato della figlia da scuola. Certo che andava tutto bene, infondo cos’altro avrebbe potuto risponderle la sua bimba perfetta, la dolce Sara che non farebbe mai del male a nessuno, figurarsi a sé stessa. “Nulla mamma, scusa ma non mi sento tanto bene, dev’essere qualcosa che ho mangiato”, era infatti la risposta mite della ragazza.

Dopo essersi accertata che tutto fosse apposto la mamma tornò in soggiorno lamentandosi di come lo Stato avrebbe potuto investire più fondi nelle mense scolastiche, invece di far mangiare ai ragazzi cibo di scarsa qualità.

Sara intanto chiusa in camera iniziava a piangere in silenzio; la madre, troppo presa a guardare la televisione, non poteva sentirla, né tantomeno immaginare quello che passava per la sua mente. I minuti scorrevano, si trasformavano in ore, o forse era solo la sua percezione; forse era passato molto meno ma il groppo nella gola di Sara non dava segno di voler diminuire e i pensieri continuavano a correre come bestie selvagge nella sua mente; c’era solo un modo per farli smettere.

Sgusciò silenziosamente fuori dalla camera per infilarsi nel bagno angusto. A quel punto erano solo loro due, lei e il water, che la fissava dal basso con cipiglio di sfida. L’odore dell’acqua stagnante aumentava la sua nausea; si inginocchiò e raccolse i capelli in una coda morbida; ormai era facile per lei, a furia di ripeterlo era diventato un gesto naturale. Dopo aver svuotato lo stomaco dal pranzo si sentì appagata, i sensi di colpa iniziarono a diminuire.

Il tempo di lavarsi i denti e Sara tornò in camera sfinita; saltare la cena più tardi non sarebbe stato un problema, bastava dire alla mamma che il dolore allo stomaco non voleva proprio passare.

E infatti la mamma non protestò, la lasciò distesa sul letto, sola con il suo dolore. Sapeva che non avrebbe dovuto mangiare ma col passare delle ore la fame aumentava procurandole un dolore lancinante allo stomaco. Ah, se solo Bianca si fosse risparmiata i suoi stupidi commenti forse sarebbe riuscita a mangiare qualcosa pur di bloccare i forti crampi, ma la ferita era ancora aperta, troppo recente, e sapeva che se avesse mangiato avrebbe vomitato di nuovo e proprio non ne aveva le forze.

Era successo tutto quella stessa mattina quando lei e le sue amiche, emozionate per la festa organizzata quel sabato sera, stavano mostrando ognuna il nuovo tubino comprato per l’occasione. Bianca, una ragazza meravigliosa dai capelli folti e curati, magra e atletica, le aveva fatto notare quanto il tubino che lei aveva scelto, che lasciava intravedere una fascia di pancia scoperta, avrebbe messo in evidenza le sue numerose imperfezioni; inoltre era decisamente troppo corto perché potesse indossare qualcosa sotto che impedisse alle sue cosce grosse di sfregare tra loro. Lei sapeva che Bianca era quel tipo di persona che diceva cattiverie senza nemmeno rendersene conto e che la sua opinione era da tenere in scarsa considerazione, ma l’aveva comunque ferita enormemente. Probabilmente ormai a quella festa non sarebbe più andata: meglio disperarsi a casa da sola che umiliarsi in pubblico.

Era già la seconda volta che succedeva nel giro di una settimana: infatti due giorni prima Claudia, la sua compagna di banco, mentre facevano shopping per l’estate, le aveva consigliato di optare per un costume intero visto che quest’anno aveva iniziato la dieta con tre settimane di ritardo e forse avrebbe dovuto cercare di prediligere i ghiaccioli ai gelati, se proprio non poteva fare a meno di qualcosa di fresco.

Ormai questi commenti la esasperavano, non riusciva a passare davanti ad uno specchio o ad una vetrata senza criticare il suo aspetto; un gemito soffocato si levò dalla sua bocca e, affondato il viso nel morbido cuscino, pianse fino a cadere esausta nelle braccia del sonno.

“Sara!” si sentì chiamare da una voce. “Sara forza svegliati, dobbiamo andare al mare!” diceva la mamma.  Sara non capiva: se lei era distesa a letto a piangere in preda ai crampi fino a pochi minuti prima, allora perché aveva davanti a sé una bambina che assomigliava molto a lei da piccola svegliata dolcemente da sua madre? “Sara” sentì ripetere di nuovo, questa volta da una voce più esile della prima, la voce di un’anziana. “Sara”, la ragazza si girò e vide nonna Lisa. Ma non era possibile, nonna Lisa era morta tre anni addietro lasciandola sola in un mondo di difficoltà e delusioni. Doveva essere tutto un sogno, non era possibile…

“Sara, nipote cara, come stai? Ti vedo sconvolta, non avrai mica visto un fantasma, eh?” disse ridendo furbescamente facendole l’occhiolino, l’atteggiamento tipico di quando faceva una battuta di cui andava particolarmente fiera. “Ma nonna come è possibile? Sto sognando? Tu non dovresti essere qui, sei…sei…te ne sei andata tre anni fa, io…devo stare impazzando” sospirò Sara con un misto di eccitazione e spavento. “Non ti posso dire che questo è reale, Sara, forse sta accadendo tutto nella tua mente…ma che male c’è ad essere un po’ folli ogni tanto? Tuo nonno mi ripeteva costantemente che era la mia follia ad averlo fatto innamorare. Ma parliamo di te… non mi dai l’impressione di essere in salute, che sta succedendo cara? Non la vedi quella bambina come è felice? Oggi deve fare il suo primo bagnetto dell’estate” “Si la vedo” rispondeva Sara, e intanto la scena attorno a lei e alla nonna era cambiata: si trovava in una spiaggia dal mare calmo e limpido; insieme alla sabbia il suolo era ricoperto da minuscoli frammenti di conchiglie. “Ma nonna questa non è una spiaggia qualunque… questa spiaggia…è quella della casa al mare! Quella donna sembra mia madre, perché è mia madre e quella bambina ha un’aria così familiare perché sono io!” disse Sara rivolgendo il suo sguardo al dolce ricordo di lei e della mamma che giocavano a schizzarsi sul bagnasciuga. “Bene vedo che finalmente ci sei arrivata” fu la risposta ironica della nonna. “Volevo solo farti ricordare quanto ti piaceva andare al mare un tempo, perché ora mi sembra che non provi più lo stesso.”. “Nonna… sono successe delle cose ultimamente, ma sto bene, tranquilla” Sara cercava così di negare l’evidenza. “Sara ti prego parlami so che non sei tu, non è da te essere così apatica e spossata; sta succedendo qualcosa ed ho bisogno che tu me ne parli.” E per la prima volta da molte settimane la ragazza trovò la forza di sfogarsi tra le braccia della nonna “Ormai non lo posso più controllare, mi viene spontaneo, è l’unico modo per calmare le voci nella mia testa. È da qualche mese che va avanti: alcune delle mie amiche hanno iniziato a fare commenti negativi sul mio fisico, cose normali dette quasi per scherzo, ma io ho iniziato a prendere tutto sul personale, a vedere ogni cosa come un’offesa, cercare i significati nascosti dietro ad ogni sguardo, ad ogni affermazione sottile, e pian piano ne sono diventata ossessionata. Ma mangiare mi è sempre piaciuto troppo per smettere; al contrario ogni volta in cui penso di dover smettere inizio ad abbuffarmi in maniera incontrollata. Conosco solo un modo per far passare i sensi di colpa e a furia di provarci sono riuscita a vomitare intenzionalmente: è l’unico modo in cui riesco ad essere appagata e sollevata dopo aver mangiato ma mi sento ogni giorno più stanca, spossata e debole. So che dovrei smettere ma non posso, è l’unico modo che ho per provare ad essere come le altre ragazze! Tu non puoi capire: i loro fisici perfetti, le loro cosce magre, le loro pance piatte… mi viene la nausea anche solo a vedere il mio riflesso.” Sara cadde a terra piangendo, le sue parole ormai incomprensibili coperte da singhiozzi e lamenti. “Piccola” disse la nonna “io capisco perfettamente il tuo dolore: lo proviamo tutti ad un certo punto della nostra vita, ma alcuni semplicemente ne subiscono le conseguenze più di altri. Devi però capire che continuando con questo comportamento stai entrando in un circolo vizioso da cui non riuscirai più ad uscire. Guardati allo specchio”. Sara sentì come un mancamento, una perdita di equilibrio ed improvvisamente la scena era cambiata di nuovo: si trovavano in una stanza monocromatica, almeno le sembrava una stanza visto che non riusciva a definire il confine delle pareti, e al centro, come sospeso, si trovava uno specchio. “Si, è vero, forse hai preso qualche chilo dall’anno scorso, e forse le tue cosce sono un po’ più grosse di quelle delle tue amiche, ma guarda che bel sorriso.” E in quel momento, come se non le appartenesse più, il riflesso della ragazza prese vita propria ed iniziò a sorriderle, a trasformarsi e Sara si rivide in ogni singolo attimo della sua esistenza. Come era arrivata ad odiare così tanto quella bambina che saliva sulla sedia a fare il karaoke durante i pranzi di famiglia? Come era arrivata ad odiare così tanto quella bambina paffutella che si faceva belle con le cugine usando i trucchi giocattoli di Barbie? La testa iniziò a girare velocemente, le immagini stavano diventando sfocate: “Sara, tesoro svegliati… svegliati!”

“Svegliati”. Sara aprì gli occhi abbagliata dalla luce accecante “Mamma” disse, riconosciuta la figura seduta al bordo del suo letto. “Buongiorno amore è ora di andare a scuola. Te la senti o stai ancora male?” “No, no mamma me la sento ma posso farti una domanda? Mi vedi per caso ingrassata? O più brutta rispetto alle mie amiche?” “Tesoro ma cosa dici?” fu la risposta premurosa della mamma “Tu per me sarai sempre la più bella. E poi ingrassata dove? Sara il corpo cambia, cresce, non vuol dire che hai preso peso”. “Beh vedi mamma è che ultimamente, mi guardo allo specchio e non mi piaccio, la situazione sta peggiorando, credo di aver bisogno d’aiuto… non voglio entrare nel circolo vizioso come ha detto la nonna, voglio tornare la persona felice che ero da piccola” disse Sara di nuovo in preda ai singhiozzi. “Piccola sospettavo da tempo che tu stessi vivendo una situazione del genere; io sono pronta a darti tutto l’aiuto ed il sostegno di cui hai bisogno ma se mai sentissi la necessità di un altro supporto non esitare a chiederlo. Capisci? In alcuni casi non basta l’affetto di un familiare e…” “Io non sono malata” urlò Sara con tutti i buoni propositi portati dal sogno già spariti. “Non ho bisogno di un supporto, ho bisogno di essere bella come le altre! Vattene, cosa vuoi capirne tu! Esci!”. La mamma abbandonò la stanza con le lacrime agli occhi.

Una settimana dopo

La ragazza camminava mano nella mano con la mamma. Si sentiva molto agitata ma sapeva che era la scelta migliore da fare. Ieri non aveva vomitato; l’altro ieri nemmeno; era decisa ad uscirne. “Ho paura mamma. Sei sicura che sia gentile e buona come dici?” “Certo Sara, te l’ho detto, mi ero espressa nel modo sbagliato all’inizio ma ora che hai capito che è solo una chiacchierata la devi vivere con completa tranquillità. È per il tuo bene”. “Già” rispose Sara rincuorata “in fondo che male può fare?” E così varcò la soglia che l’avrebbe condotta, con tanta fatica e duro lavoro, a ritrovare sé stessa. E intanto pensava “Ce la posso fare!”

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3 commenti »

  1. Buona esposizione , ben costruito, tema toccante e tristemente attuale. L’epilogo è’ una iniezione di autostima per tutte le anime fragili.

  2. il tema non è nuovo ma penso sia necessario parlarne, nella speranza che arrivi ai tanti giovani che ancora si scontrano con difficoltà legate al cibo e all’accettazione di sé.

  3. Come nel mio racconto,anche tu tratti di un’adolescente in difficoltà e anche la tua si chiama Sara!A parte questa bella coincidenza,che ancora di più mi fa amare il tuo personaggio,ti faccio i complimenti per aver raccontato questo disagio interiore.

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