Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2023 “Drag Queen” di Clelia Tonini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

La vista si oscura di un liquido rosso e caldo.

Sono al mio funerale e di certo avrei voluto campare meglio.

Vi vedo tutti. La famiglia, i colleghi, loro e lui. Sguardi silenziosi e vuoti. Sguardi fissi per terra, sguardi di sfida, sguardi di paura. Sguardi.
Mia madre piange nella sua compostezza di sempre. La stessa compostezza con cui mi è stata accanto. In ogni attimo, anche oggi.

Nella sua abituale eleganza è vestita di nero in un tailleur di Pierre Cardin. Nel suo ostinato coraggio il foulard arcobaleno è al collo annodato con classe.

Mio padre, anche lui solo, è in fondo, ha gli occhi umidi e non riesce a piangere. Adesso, forse, è troppo tardi.

I miei colleghi ossequiosi, voi affranti e lui gelido.

Ho creduto di dover esistere e basta. Invece ho scoperto che non è sufficiente, che ho dovuto riscoprirmi, conoscermi meglio, reinventarmi.

Fin da piccolo mi piaceva travestirmi. Mi piacevano i vestiti di mia sorella e le sue scarpe con i tacchi alti. Mi piacevano le collane della mamma e i suoi anelli che mettevo ai pollici, perché troppo grandi. Mi piaceva mettermi il rossetto e lo smalto alle unghie. Smalto che non andava più via e i compagni di classe che mi prendevano in giro. Non so come mai non ci rimanevo male, anzi ne ero orgoglioso. L’orgoglio che indica la strada per andare avanti.

Da adolescente sono stato affascinato da un film, non mi ricordo neanche più il titolo, singolare esempio di una coppia felice di gay, al contrario dei miei genitori.

L’arte pulsava dentro. Sono andato avanti tra l’università di informatica e il mondo del teatro. In solitudine tra due universi distanti.

Osservo i colleghi, stretti nei completi giacca e pantaloni, impiccati nelle cravatte.

Per loro sono stato credibile come uomo, il responsabile dei servizi informativi dell’azienda.

Sono stato all’altezza di ogni situazione, di ogni problema e dei loro problemi. Non mi sono mai scomposto. Ho avuto la mia vita in borghese, che mi ha tenuto ancorato al suolo e alla normalità.

Guardano incuriositi il mio mondo nascosto. Voi. La mia vita vera che mi ha dato la possibilità di celebrare la donna in me, senza compromessi e senza ipocrisie. Per voi sono stata credibile come donna, con i miei pregi e con i miei difetti di questa fragile verità.

Avrei voluto trovare l’uomo della mia vita che mi amasse per quello che sono.

Invece è arrivato lui.

Ci siamo conosciuti, per caso, in una riunione di lavoro. Ti presentasti come direttore commerciale di una software house di prodotti gestionali per buste paghe. I nostri occhi si sono capiti subito.

Dalla riunione, allo Spritz al pub vicino, al mio appartamento e infine al mio letto. È stato un attimo veloce, senza paracadute. In bilico tra passione e curiosità. Non ci è voluto molto che la tua curiosità lasciasse il posto all’incomprensione più feroce.

Avevi percepito che c’era un turbamento fra noi. Uno scoglio da cui tuffarsi per comprendere la mia naturale profondità. Finché non apristi la porta, quella porta difficile da richiudere.

Vestiti di paillettes. Boa di piume di struzzo colorate. Scarpe con i tacchi alti di pelle lucida. Sandali di raso di tutti i colori con strass. Calze di rete. Collane. Collari neri con borchie dorate. Catene. Moschettoni. Ciglia finte. Unghie finte. Rossetti. Smalti. Ciprie. Mascara. E un ventaglio rosso.

“Che cazzo è ‘sta roba? Dove vai con ‘sta roba, Antonio?” Il tuo urlo incredulo.

Avevi cominciato a sfasciare tutto con un’aggressività irriconoscibile.

“Che cazzo stai facendo? Vattene, vattene subito.”

Il tuo schiaffo violento e inaspettato. La tua rabbia. La tua vergogna.

“Ragazzi, voi vi state ancora divertendo?” aveva chiesto Cobain agli atri Nirvana la sera prima di spararsi.

La guancia scotta, è dolorante. Mi alzo dal divano con fatica. La testa mi scoppia, ho i brividi freddi. Guardo il delirio lasciato da lui e il ventaglio rosso in tanti pezzi.

La mia verità e la mia certezza. Stasera sono la Drag Queen Marion sul palco del Bombon Bijoux e mi sento me stessa.

La musica a tutto volume, la mia preferita, Paris 1985. Luci psichedeliche che si riflettono sui volti truccati e convinti. È ritmo nella pelle, è movimento di corpi colorati e sensuali, è atmosfera calda di effusioni, è forza travolgente. E io lì che gioisco con tutti. Sono la loro star, sono la mia star.

Esco dal locale con un cliente e sorseggiamo un Gin Tonic tra una parola e una risata. 

Un gruppo di ragazzi e di ragazze cominciano a insultarmi, a sputarmi addosso.

“Ehi frocio di merda, che ci fai con uno schifo così?” Il cliente spaventato fugge via di corsa.

Mi strappano i capelli, la parrucca cade per terra. Ridono e ridono e ridono. Le loro voci cattive, la mia voce indifesa.

Mi tirano per la collana e cado in ginocchio. Sento calci da tutte le parti. Stramazzo al suolo. Dolore allo stomaco, alle costole, alla testa, in mezzo alle gambe.

Ti vedo in un angolo con la sigaretta alla bocca. Lo sguardo disumano. La tua risata crudele. Te ne vai con il tuo imbarazzo.

Il mio funerale è reale adesso.

Non tornerò più al mondo.

Ho imparato qualcosa.

Antonio e Marion hanno ballato assieme, da sempre

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1 commento »

  1. Analisi amara, scritta davvero bene. Complimenti!

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