Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2023 “Rashid” di Generoso di Biase

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2023

Aveva cinque anni, quando lo incontrai la prima volta. 

Sembrava diverso dagli altri. Lo stesso colorito da occidentale sempre abbronzato, pochi denti in bocca, data l’età, con un sorriso sempre pronto a mostrare la sua quasi inesistente dentatura. Un sorriso che sfoggiava ad ogni incontro. Se gli altri ragazzini, sebbene incuriositi, erano un po’ timorosi, lui ci corse incontro da subito. Il contingente Italiano di cui facevo parte, dopo un breve periodo a Kabul, fu destinato ad Herat. Diversa regione, diversa etnia, le stesse facce.

Lui, si chiamava Rashid (il giusto)

Tutti noi, i primi giorni eravamo un po’ diffidenti, i talebani, per gli attentati, avrebbero potuto servirsi dei bambini e delle donne. Non confidavamo molto sui loro scrupoli. Noi eravamo i nemici. Invece, lui aveva l’ardire di avvicinarsi con una naturalezza contagiosa; contagiosa come il suo sorriso. E noi, anziché metterci inguardia, gli andavamo incontro col nostro immancabile sorriso.  Rashid, non capii subito perché, conosceva un po’ di inglese. Poi, però, in pochi mesi, iniziò ad esprimersi in italiano. Anzi, imparò pure qualche parola dialettale. Veneto, napoletano. E ridevamo tutti, quando pronunciava frasi in dialetto con cui spesso noi ci rivolgevamo al commilitone. 

Rashid divenne presto la mascotte. Nelle ore di riposo, anziché sdraiarci sulle nostre brandine, andavamo a cercarlo. Sapevamo di trovarlo su un campo di calcio di fortuna, tra i sassi e la strada sterrata che percorrevamo con i nostri camion cingolati. Era un bravo calciatore. Uno di noi gli regalò la maglia della nazionale Italiana. Gli andava grande nei primi tempi. Il calcio lo avvicinò al nostro Paese. Mi diceva che lui voleva, anzi doveva diventare Italiano. Nei nostri incontri, gli dovevo raccontare dell’Italia. Chiedeva di tutto.

Da lui, venni a sapere che era orfano di padre e madre,entrambi uccisi dai talebani. Il padre, un insegnante di inglese, la madre non amava il velo. Viveva con la nonna, fortunatamente non molto anziana e sebbene la fame, l’arsura e il vento dell’Afghanistan trasformi in fretta i corpi, lei non mostrava affatto più dei suoi sessant’anni come le sessantenni occidentali

Finita la missione andavo via, ma facevo immediata richiesta di rientro. Nell’ultima missione, quando rientrai, si era laureato in lingua straniera, letteratura Italiana. Il solito sorriso ad aspettarmi. Una richiesta: “fammi venire in Italia”. Voleva perfezionare la lingua. 

Mi ricordo che quel suo sorriso era diventato contagioso anche per i suoi connazionali.

Passava il tempo, io rientrai in Italia, nel 2010, avrei fatto ritorno nel 2015. 

Ritrovai un altro vociare, altri rumori, addirittura, un po’ di musica occidentale veniva fuori dalle case dei Talebani. 

Le donne, ce n’erano tante in giro, non ne avevo mai viste tante negli anni passati. Non credevo nemmeno che ce ne fossero tante quante quelle che incontravo in strada.

Non vi nascondo, per scherzo, ma non tanto, lo presentavo come “Mio figlio”. Ne ero orgoglioso. Gli volevo bene come se ne vuole ad un figlio. Era diventato un uomo giusto. Il nome Rashid, appunto, giusto, era diventato il suo destino. La gente voleva che si candidasse a Sindaco della città. Lui rispondeva: “mio padre mi porta in Italia”. Suo padre ero io.

Venne in Italia, non riuscimmo a portare anche la nonna, ma lui, nel lasciarla, le promise che sarebbe rientrato per portarla in Italia. Pianti di dolore, quando partimmo, ma negli occhi la speranza di un mondo nuovo che lo affascinava. E poi, in Italia non era solo, aveva un padre. Il padre ero io.

Le cose stavano cambiando, lo pregai di non rientrare, lui disse che sarebbe tornato in Italia con la nonna.

L’ho visto partire, col suo sorriso. Col suo solito sorriso

L’ultima volta in cui ho visto quel sorriso 

Nei primi giorni, ci sentivamo e ci vedevamo quotidianamente via Skipe. Era un appuntamento fisso, cui non potevo mancare.

Poi, sono iniziate le prime difficoltà di collegamento. Lui mi aggiornava, nelle occasioni in cui funzionavainternet, di ciò che stava facendo per rientrare. Io, da qui, mi adoperavo con i colleghi, che erano ancora lì, chiedendo loro di tutelarlo. 

Poi, niente più.

Le notizie che avevo dal comando, qui in Italia, non erano delle più tranquille. Dal telegiornale, manco a dirlo.

Niente più, fino a quando, un commilitone, di stanza in Afghanistan, fino agli ultimi giorni, venne a bussare alla mia porta. Mi diede la notizia, Rashid era stato trucidatouna notte in casa con la nonna. Non ce l’ aveva fatta ad imbarcarsi con gli altri, per via della nonna che non riusciva a deambulare, il suo stato di salute si era aggravato ed aveva avuto difficoltà a farla inserire nell’elenco di quelli che dovevano partire. 

Mio figlio, Rashid, è morto. Un italiano tra le prime vittime dei nuovi Talebani. Ed un padre lo piange, qui, in Italia  

Passava il tempo, io rientrai in Italia, nel 2010, avrei fatto ritorno nel 2015.

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4 commenti »

  1. Storia inevitabilmente amara, come a volte è la vita!

  2. Grazie, Sergio, dell’attenzione al racconto. Concordo con te. Quest’umanità, poi, la rende fiele

  3. Bel racconto, scritto molto bene. Triste sì, ma ti lascia buoni sentimenti e il sorriso di Rashid.

  4. Caterina, grazie ?

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