Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2024 “Viva i bus low coast” di Lucia Macchiarini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2024

Finalmente sono riuscita a convincere Emanuele, detto “braccino”, a portarmi in gita a Bologna. Ovviamente dalla mattina alla sera, altrimenti costa troppo.

         Infatti una nuova compagnia di bus offre viaggi da Firenze a Bologna a solo un euro. Ci mette quattro ore, ma il prezzo tutto sommato ne vale la pena, anche solo per ricattare Emanuele la prossima volta che si vanterà di non andare mai in vacanza “per risparmiare”.

         Partiamo all’alba, tutti assonnati come dovessimo andare ad Aosta e alle dieci arriviamo a Bologna. Passiamo davvero una bella giornata di sole ed è una fortuna perché siamo costretti a mangiare sulle panchine: ovviamente un pranzo al ristorante costa troppo.

         Io ed Emanuele visitiamo i monumenti più importanti, le gelaterie più famose solo per guardare gli altri che mangiano il gelato, i negozi di panini più sordidi per risparmiare sul pranzo e alle sette di sera siamo di nuovo alla stazione dei pullman, banchina numero dieci, ad attendere il nostro. Arriveremo a Firenze alle ventitre in punto. Ancora non mi è chiaro come si possano impiegare quattro ore da Bologna a Firenze, quando il percorso con una Panda scassata del novanta si copre in un’ora e un quarto, ma non indago, costerebbe troppo.

         Si avvicina al gruppetto di persone della banchina dieci una simpaticissima piccola autista di forma sferica.

         “Falla essere anche antipatica” si dice a Firenze di persona fisicamente poco avvenente.

         “Buonasera, è lei l’autista della Urcabus per Firenze?” chiedo.

         “Sì, sono io”, cinguetta garrula da un orifizio sul viso la piccola sfera, “sto aspettando la vettura con il collega che viene da Napoli”.

         Sorrido rinfrancata: sono in piedi dall’alba e me ne sto accorgendo. Ho anche fame perché Emanuele ha insistito per stare leggeri all’ora di pranzo, “per non spendere troppo”, dico io, “per salire più agilmente sulla torre degli asinelli” ha avuto il coraggio di dire lui.

         Alle sette e trentacinque la vettura da Napoli non si è vista e la simpatica autista sferica perde un po’ del suo smalto.

         Le altre venti persone che aspettano il bus delle sette per tornare a Firenze cominciano ad essere un po’ seccate.

         La piccola sfera, che risulta chiamarsi Rosalba, chiama la sede centrale.

         Dalla sede centrale avvertono che il bus sta arrivando, pare sia nel traffico.

         Rosalba ci rincuora:

“Sta arrivando”, dice sorridendo con calore, “è in viale Europa”.  Nessuno sa dove accidenti sia viale Europa, ma da come l’ha detto deve essere vicino.

         Alle otto del bus non c’è ancora traccia.

         “Rosalba sia gentile”, le dice un simpatico padre di famiglia con due ragazzini imbizzarriti al seguito, “richiami la sede centrale”.

         “Certamente” dice Rosalba e torna in un cantuccio a parlare al telefono con tono ormai concitato.

         Subito dopo ci si avvicina con aria preoccupata:

“Dicono che non sanno dove sia il bus”. Ha la voce leggermente incrinata, il che non fa una bella impressione a nessuno.

         “In che senso scusi?” ribatte Emanuele freddamente.

         “Nel senso che l’autista non risponde alla radio, ma penso che stia arrivando”.

         “Lo pensa lei” aggiunge tetro il padre di famiglia, quando magicamente, dal fondo della strada, intravediamo arrivare una vettura blu dell’Urcabus.

         Un urrà si alza in coro dal gruppetto sulla banchina dieci.

         Il mega Urcabus si ferma davanti a noi e ne scende un autista sorridente.

Rosalba, la nostra ipotetica salvatrice va a parlare con lui.

         Subito l’uomo si rabbuia e scuote la testa. Da lontano vediamo Rosalba sbracciarsi in gesti poco ortodossi e tornare verso di noi molto più sferica di prima.

         “E’ polacco, non parla una parola di Italiano, ma a gesti dice che quello è il bus che va a Milano e quindi non ce lo vuole dare”.

         “Rosalba?” ringhia il padre di famiglia ormai divorato dai figli al posto della cena.

         “Ho capito”, dice Rosalba a testa bassa, “chiamo la sede centrale”.

         La sede centrale ribadisce che il bus è quello che va a Firenze e che l’autista polacco ce lo deve consegnare.

         Ma l’autista polacco non ne ha alcuna intenzione, perciò rimonta sul bus davanti ad una platea esterrefatta e se ne va. Lui vuole andare a Milano e nessuno glielo deve impedire. Rosalba sta per piangere e la sede centrale è sgomenta: non ha un interprete che parla polacco.

         Il padre di famiglia, Emanuele e due signore attempate e traballanti accerchiano Rosalba che sparisce sotto le domande:

         “Ma dove è scappato il polacco? Ma noi come torniamo a Firenze? E ora ci mandano un altro bus?”.

         “Signori calma”, intima Rosalba, “la sede centrale ha detto che il nostro  bus è quello e con quello solo possiamo tornare a casa, dovremo convincere l’autista a consegnarcelo”.

         Mentre ascoltiamo queste parole, pensando di essere finiti in un pessimo film americano, davanti a noi passa fischiettando l’autista polacco, saltellando quasi.

         Al grido di: “Fermatelo!” lo accerchiamo in dieci, reclamando il nostro bus.

         “Dacci il bus brutto bastardo!” gli intima una vecchietta insospettabile.

         “Tanto no comprendo”, ripete ridendo lo sciagurato, “io vado Milano with mio bus”.

         Proviamo con l’inglese, il tedesco, il francese, il greco e il turco finché una ragazza dice: “Io sono polacca” e gli si rivolge nella sua lingua madre.

         L’autista risponde qualcosa ridacchiando.

         “Non capisco un’acca”, dice la ragazza, “questo parla un dialetto che non conosco e ad ogni modo non ci vuole consegnare il bus”.

         Riprova anche Rosalba esibendo tesserino Urcabus e orario, ma la risposta è sempre la stessa:

“Tanto no comprendo, io vado Milano with mio bus”.

All’improvviso un grido di Emanuele, che si era allontanato per investigare, risuona sulla banchina:

         “Ragazzi, ho trovato il nostro bus! E’ dietro l’angolo, correte!”.

La corte dei miracoli della banchina dieci comincia a correre trascinandosi dietro pargoli, nonni a rotelle e zie impellicciate. Raggiungeremo il bus e lo conquisteremo!

         Rosalba si porta subito in pole position, ma la sua stazza la rallenta e l’autista polacco la supera in velocità.

         Evidentemente è molto più allenato di noi, perché arriva prima al bus, sale in cabina con un balzo felino e ci si chiude dentro.

         Bussiamo, preghiamo, imploriamo, ma lui, seduto davanti al volante, guarda avanti impassibile e non cede.

         “Tanto no comprendo, io vado Milano with mio bus” sillaba muto, guardandoci negli occhi attraverso il vetro con aria di sfida.

         Mi accascio sul marciapiede, mentre Rosalba contatta di nuovo la sede centrale ed Emanuele tenta una mediazione con il polacco per far aprire la porta davanti del bus.

         Nel frattempo la sede centrale ha trovato in extremis un interprete di serbo croato, che tenta di entrare in comunicazione con l’autista polacco.

         L’autista scuote la testa “No, no”, dice alla radio, “ io vado Milano”, ma alla fine si decide ad aprire la porta e a farci salire sulla vettura.

         “Scusi Rosalba, il bastardo non ci porterà mica a Milano vero?” si informa la candida vecchietta di prima.

         “Stia tranquilla signora”, dice Rosalba, “ora vi riporto a casa io”.

         Dopo altri trenta minuti di trattativa telefonica, l’autista polacco lascia a malincuore la sua postazione e se ne va tristemente nella notte emiliana.

Tutti si chiedono quale misteriosa frase in serbo croato l’abbia convinto.

         “Gli avranno detto che se non ci lasciava partire gli rompevano le gambe… al bastardo” annuncia serafica la vecchietta.

         Rosalba trionfante prende finalmente posto e annuncia:

         “Signori, si parte! Tutti sul bus!”.

         Tutti si congratulano con lei, qualcuno la bacia timidamente sulle guanciotte,      ormai per noi è come una sorella, ha combattuto per riportarci a casa.

         Sono le ventuno e trenta e mi siedo stanca dietro di lei insieme ad Emanuele.

         Arriveremo a casa alle due di notte, se tutto va bene.

         Mi appisolo leggermente e nel sonno mi sembra di sentire un sussurro: Rosalba sta usando la radio di bordo.

         “Sergio, sono Rosalba, Sergio rispondi…”

         “Sono Sergio, dimmi Rosalba, che succede? Il polacco l’ha mollato sto’ bus?”

         “Sì Sergio, però ho un dubbio…”

         “Dimmi…”

         “Come si guida questo affare? E’ la prima volta che ci monto sopra…”.

         Mi metto a piangere ed Emanuele mi abbraccia comprensivo:

         “Amore, che succede? Capisco che il ritorno è un po’ movimentato, ma abbiamo passato una bella giornata no? E poi… anche se non abbiamo cenato …non mi avevi detto di voler smaltire un po’ di quella ciccia che ti ritrovi in più?”.

         Sei mesi dopo l’Urcabus falliva, esattamente come la mia relazione con Emanuele.

        

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2 commenti »

  1. Ho riso dall’inizio alla fine, la vecchietta è meravigliosa. Brava

  2. Grazie Francesco!

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