Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “Il manoscritto segreto dalla Fossa del coccodrillo” di Tina Osser

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Odore di camorra. Per questo è noto Grumo Nevano, pochi chilometri da Casal di Principe, celebre capitale del crimine organizzato. Un tempo Grumo era famoso per i suoi profumati giardini vesuviani con le rare calendule e i narcisi cangianti, descritti da Plinio. Scomparsi. Distrutti dal cemento. Terra di fuochi, tra roghi di mondezza e prati avvelenati resta, sempre più minacciato dall’ennesima lottizzazione, un fazzoletto di giardino: poco più di un paio di aiuole. Con i miei alunni, abbiamo piantato erbe officinali e fiori: papavero, malva, cipollotti pompeiani, crescione, passiflora incarnata. Il nostro piccolo amato paradiso è proprio sotto la targa che ricorda Domenico Cirillo, unica gloria di Grumo.

Quel giardino, che curo con i ragazzini della V, serve anche ad onorare il famoso botanico che ha speso la vita a far rinascere dagli antichi semi le piante scomparse con l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Domenico Cirillo è leggenda a Grumo Nevano: università a sedici anni a Napoli, laurea in medicina a venti. Poi la passione per la botanica, anni passati a scavare tra le rovine di Pompei per ricreare un giardino ideale con le 300 piante cancellate dal vulcano. Un solo seme, diceva, è conoscenza del passato: l’umanità è iniziata e può ricominciare da un germoglio. I suoi trattati di botanica sono nelle biblioteche delle più celebri università del mondo. Scrisse l’ultimo, il più   prezioso, poco prima di essere impiccato a Napoli, in piazza Mercato, il 29 ottobre 1799. Moriva per aver sognato la rivoluzione, la libertà cercata allora dalla breve Repubblica Napoletana. Quando all’alba lo prelevarono dalla “fossa del coccodrillo”, la terribile prigione di Castel Nuovo a Napoli, riuscì a imbucare nel cappuccio di un frate il suo manoscritto. Conteneva anche le istruzioni per ritrovare il luogo segreto che nascondeva la sua preziosissima collezione di semi, la ricerca di una vita. Il manoscritto sparì. Ci sarò anch’io con i miei alunni il 29 ottobre, a commemorare Domenico Cirillo.

Con loro il giardino continuerà a vivere, ne sono sicura. Hanno già imparato a coltivare i fagioli mustaccielli nei bidoni di latta sui terrazzini di Grumo Nevano. Da parte mia non voglio più nascondere il manoscritto, che conosco a memoria. Da due secoli è nella biblioteca di famiglia, dono di un frate omertoso ai miei avi. Sto trattando la vendita in segreto e con mille cautele: i miei fratelli sono scaltri uomini d’onore. Il denaro servirà a realizzare il vero, grande, completo giardino immaginato, pensato, elaborato amato e studiato da Cirillo. L’ho deciso tra mille timori, senza chiarezza, incapace di vedere il quadro intero della vicenda: emozione della memoria, paura, rispetto per i miei allievi,    inquietudine o disprezzo per me stessa? Forse un po’ di tutto. Però ricordo quale fu la spinta determinante che mi fece decidere. Fu dopo il settimo omicidio in sei mesi, qui in paese. Quello di Omar, il giovane egiziano immigrato   innamorato anche lui di piante sconosciute e semi che faceva germogliare in piccoli barattoli di latta raccolti tra i rifiuti, ai bordi delle strade. Era orgoglioso di offrirle alla scuola ma non osava mai entrare: le lasciava accanto alle finestre protette da vetri antiproiettili e sbarre. Nessuno si interessò di quel settimo omicidio.

Nella terra dei “casalesi” gli immigrati, neri o bianchi, non contano. La vita e la morte dei senza patria non valgono niente. Era il primo giorno di primavera: Omar era stato lasciato dal caporale alla guida della macchina stracolma di braccianti clandestini, alle sei del mattino, tra i poderi di Mazzafarro. Aveva appena infilato gli stivali, subito immerso tra fango e letame nel recinto delle 64 bufale nutrite con i veleni della nostra terra. Un solo colpo in faccia. Una morte per cancellare un’esistenza mai riconosciuta. Il cane nero alla catena ha abbaiato per ore ed ha rischiato di strozzarsi. Da quando Omar che lo accudiva e gli voleva bene è stato portato via dal furgone nero, non abbaia più, non ringhia, non vede. Lo hanno accecato. Non ha né ha mai avuto un nome.

 Qualcuno ha lasciato a scuola, il giorno dopo la morte di Omar, sette fondi di bottiglia con poca terra e piantine misteriose che gli alunni stanno curando. I ragazzi si informano su internet confrontando le piccole foglie, lo stelo, le tonalità dei tenui verdi per riconoscerle, per far restare anche Omar qui con noi nel giardino. Non riusciranno a distruggere quel bel verde col cemento: per salvarlo ci sono i denari della vendita del raro, anzi unico manoscritto di Domenico Cirillo, il prezioso tesoro della biblioteca di casa nostra. Certo l’operazione è complicata. Appartiene a tutti noi, ai miei fratelli. Come me affiliati alla camorra: l’unica famiglia davanti alla quale evaporano tutte le altre, compresa la nostra. Anch’ io ho avuto il mio battesimo quando ero ancora alle elementari. Tremavo per via della “pungitura” all’indice della mano sinistra, il rito iniziatico di affiliazione alla camorra. Fu un attimo: alcune gocce di sangue caddero su un santino. Io non appartenevo più a me stessa.

Non ricordo le parole esatte del giuramento. Mi impegnavo comunque a non tradire il clan. Invece sto per tradire la mia famiglia. Temo la morte che forse verrà con i colori rossi dell’autunno. Mio padre Vincenzo era un pezzo da novanta. Amava la natura, i fiumi, gli uccelli che chiamava per nome, riconosceva le gemme degli alberi a primavera e i nomi degli insetti che succhiano i fiori. La nostra biblioteca è colma di libri anche rari sul mondo naturale. Ne leggeva brani ad alta voce a noi ragazzi, sempre più orgogliosi e ammirati del suo sapere che sarebbe un giorno stato nostro per sua volontà. Quello che so e che trasmetto ai miei allevi l’ho imparato da lui che ho amato più di ogni altra persona prima di Omar. Io ho tenuto la grande mano bianca di mio padre fino alla fine mentre diventava sempre più fredda e la battevo piano con le mie dita calde: lui quando dormiva si picchiava spesso la fronte con la mano a un ritmo inarrestabile come sabbia nella clessidra. Lo chiamavano “o animale”, era feroce e abile di lama. Bruno, un po’ tarchiato ma di bell’aspetto; intelligente e colto è stato a lungo un nomade della giustizia, un confidente utile e infido quando ancora quei tribunali gli prestavano ascolto ed emettevano sentenze che facevano strame del diritto e della giustizia. Aveva deposto, elegante e preciso, su particolari insignificanti, in decine di processi, ricostruendo a suo modo dinamiche e moventi di fatti e misfatti di malavita. Ma “o animale” aveva un animo gentile e a noi figli faceva curare fin da bambini piccoli orti e coltivare fiori con semi e piantine di cui suo padre e suo nonno conoscevano, diceva spesso, speciali segreti da custodire per sempre in famiglia. I segreti per le famiglie come la mia sono un capitale: “Chi controlla il passato controlla il futuro.

Chi controlla il presente controlla il passato” ripeteva mio padre fissandoci con i suoi grandi occhi neri e lucenti; noi bambini non capivamo ma ci sentivamo fieri come se parlasse una sua lingua misteriosa e potente tutta per noi. Io manterrò il segreto fino al prossimo 29 ottobre. Quel giorno, come ogni anno il paese intero ricorda Domenico Cirillo, il suo cittadino più illustre. Ci saranno fiori e dolci, frati e sacerdoti, la banda e i politici schierati. Si ripeterà il tranquillizzante rito vitale che dà lustro e popolarità alle “famiglie” onorate della zona. Quel giorno, se sarò capace di agire senza tradirmi, avrò già venduto il manoscritto nascosto nella biblioteca di casa. Lo consegnerò in mani sicure. Quel denaro basterà a salvare il nostro giardino. Anch’io potrò festeggiare anche se per gente come me, ad ogni bivio del sentiero che porta al giorno successivo, la famiglia, non solo i miei fratelli, ha messo mille occhi a guardia del passato. Il mio passato, immaginato e perduto, sembra un’eternità ma certamente i miei ragazzi, che con tanto entusiasmo e passione hanno lavorato la terra alla luce del sole e fino alle radici, creeranno il loro futuro dal loro futuro e non dal mio passato che del resto non era neppure prevedibile quando è iniziato. Da questo momento il mio futuro è solo silenzio che, lo sento, entrerà muto e deciso da un altro ingresso che non ho mai saputo esistesse.

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3 commenti »

  1. Davvero bello, ci sono tanti ingredienti, speranza, solitudine, rassegnazione, animosi ricordi. L’ho apprezzato molto perché hai trasmesso benissimo con toni e modi giusti, mi è sembrato di toccare realmente ciò che racconti.

  2. Molto bello, complimenti. Ci sono molti elementi che potrebbero confluire senza grosso sforzo in un racconto lungo o in un romanzo breve incentrato sul tentativo di far crescere un giardino nel cemento (e per cemento si intende anche la famiglia di lei) attraverso la vendita di un oggetto magico (il libro). Il movente c’è e lo hai già scritto: “L’ho deciso tra mille timori, senza chiarezza, incapace di vedere il quadro intero della vicenda: emozione della memoria, paura, rispetto per i miei allievi, inquietudine o disprezzo per me stessa? Forse un po’ di tutto.”

  3. Un interessante e reale spaccato del mondo camorristico. Ma ‘o animale non era il soprannome di Pasquale Barra che, fra le innumerevoli efferatezze commesse, fu pure l’accusatore di Enzo Tortora?
    E’ sempre confortante pensare che qualcuno possa ribellarsi e dissociarsi da quel mondo, sia pure con un gesto simbolico come la vendita di un manoscritto nascosto, per entrare muti e decisi in un altro ingresso: quello dei buoni sentimenti. Complimenti!

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