Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2022 “Un equilibrio instabile” di Francesco Santoro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2022

Greta era una bambina di otto anni di quelle silenziose e pacate, era sempre gentile con gli altri bambini e le veniva facile fare amicizia con loro. O meglio veniva molto facile agli altri voler essere suoi amici e se eri educato non venivi mai rifiutato da lei.

Greta amava il silenzio e non sentiva il bisogno di riempirlo, se non quando aveva qualcosa di veramente importante da dire. Non sempre sopportava le bambine più chiacchierone ma quasi mai si permetteva di dire loro qualcosa. Si limitava ad aspettare il momento in cui, finalmente sola, poteva godersi la pace e il non avere nessuno a cui rendere conto.

Greta riusciva a fare quasi tutto ma credeva che quasi niente le venisse facile. Per questo, ogni qualvolta affrontasse qualcosa di nuovo, sentiva una specie di angoscia, come se per lei tutto fosse più difficile rispetto agli altri. Tutto ciò la portava sempre ad usare tutto il suo impegno, di conseguenza Greta era molto brava in quasi tutto quello che faceva, ma non dovevate chiederlo a lei se era brava, perché vi avrebbe risposto che era stata tutta fortuna e che aveva imparato più per caso che per bravura. 

Però c’era una cosa che quasi tutti i suoi coetanei sapevano fare e lei no. Una cosa che aveva smesso di provare a fare in compagnia di altri bambini per non essere presa in giro. Greta non sapeva andare in bicicletta. A quattro anni ci provò più volte insieme al figlio dei suoi vicini ma ogni volta finiva per terra. Il bambino, che sapeva già fare, per aiutarla le diceva come era riuscito a suo tempo. Ma quella tecnica con lei proprio non funzionava e il bambino si spazientì iniziando ad elencare tutti gli errori che faceva. “Pieghi troppo le ginocchia”, “Stai ferma con quei gomiti”, “Se fai come ti dico ci riesci per forza. Tutti imparano ad andare in bici”, “Niente se proprio non vuoi imparare è impossibile”, “Hai troppo paura di cadere per riuscirci”, “La tecnica è questa, se non ci riesci è colpa tua”.

Greta iniziò a pensare che fosse lei il problema e che forse non sarebbe mai stata capace di imparare.

Lei non aveva paura di andare in bici perché temeva che finisse male, lo sapeva che poteva finire male, l’aveva già visto accadere, ma non era stata traumatizzata, non più del resto del mondo, siamo finiti tutti a terra con le ginocchia sbucciate prima o poi. Lei non aveva paura della caduta, aveva paura del durante, di quell’equilibrio instabile. Quello star lì insieme alla sua bicicletta, occupando due posti vicini, correndo sui ciottoli o sul cemento liscio, una sopra all’altra, con attorno l’ignoto o peggio il notissimo, insomma vulnerabili. Lei temeva questo, il senza via d’uscita, perché dalla bici non puoi dire scendo un secondo mentre sta andando, mi prendo un attimo di pausa. E il fatto che nessuno la capisse la faceva sentire ancora più sola.

A cinque anni, durante le vacanze dai nonni, le capitò di conoscere un altro bambino che come lei non sapeva fare. Questo bambino era triste perché non ci riusciva ma proprio per colpa di questa angoscia neanche provava più a salire sulla sua bicicletta. Questo faceva sentire la bambina molto meno sola nella sua incapacità e molto meno in colpa per i suoi errori. Per una volta era lei che doveva spronare qualcun altro a riuscire ad imparare e come sempre ci mise tutto il suo impegno. Soltanto che quel bambino non ne voleva proprio sapere e lei non sapendo fare non sapeva neanche da dove cominciare. Ovviamente anche questo tentativo fallì.

Greta ormai provava solo sporadicamente da sola o quando c’erano presenti solo bambini sconosciuti che non avrebbero potuto giudicarla. Una di queste volte mentre lei sfrecciava con su le sue ruotine  per il parco vicino a casa sua un bambino la vide. Era un bambino molto timido, poco più grande di lei. Lui non ebbe il coraggio di avvicinarsi ma approfittando di un momento in cui lei lasciò la sua bici incustodita le lascio un biglietto nello zaino poggiato accanto alla bici. Greta una volta tornata notò il biglietto e dopo averlo aperto lo lesse incuriosita. “Se vuoi ho delle rotelle speciali con cui potresti imparare. Neanche io ero capace. Se ti va ci vediamo domani che te le monto. Lorenzo”.

Greta non ci poteva credere, finalmente qualcuno che voleva solo aiutarla senza giudicarla. Ovviamente il giorno dopo la bambina si presentò al parco.

Lorenzo era più grande di lei, andava quasi per i dieci e quel pomeriggio arrivò con in mano una chiave e due rotelle. Alla bambina si presentò solo con un timido “Ciao” e un sorriso. Le disse “Posso?” e iniziò a smontare le rotelle dalla bici per poi montare le sue speciali. Una volta montate il ragazzo si sciolse e iniziò a parlare a macchinetta cercando di spiegare a Greta come avrebbe fatto ad aiutarla. Come lui avesse imparato solo a sette anni e di come tutti i suoi amici lo avessero preso in giro. La bambina fu stordita da tutte quelle parole, non era abituata, ma per una volta le piaceva che qualcuno si prendesse cura di lei e che questo bambino riempisse i suoi silenzi.

Il piano era semplice lui dal di fianco l’avrebbe accompagnata sulla sua bici, tenendola con un braccio per insegnarle l’equilibrio con ancora le rotelle su. Una volta trovato l’equilibrio avrebbe lasciato il braccio e avrebbero proseguito fianco a fianco. Le rotelle, un po’ più corte delle sue, l’avrebbero tenuta al sicuro ma dandole la possibilità di mantenere l’equilibrio. 

“Se non ci riesco però non mi sgridi.”

“Perché mai dovrei farlo? Io alla tua età mica sapevo fare e poi perché dovrei sgridarti? Quale insegnante è così scemo per farlo”.

Ecco che cos’era il suo vicino. Uno scemo.

I due partirono e Greta iniziò a spingere sui pedali e a cercare il giusto equilibrio. Quando la vide stabile Lorenzo la lasciò e Greta dopo un attimo di esitazione si rese conto che stava andando dritto. Certo l’equilibrio traballava un po’ ma c’erano le ruotine a salvarla nel caso. Per la bambina questa era una sensazione mai provata, era come volare ma sentendosi protetta da due ottime ali. E poi che bello farlo con un altro bambino al tuo fianco che si diverte con te. Qualcuno che per una volta è fiero di te. Presa da tutta la felicità che aveva si mise a guardare le sue nuove rotelle per ringraziarle del loro aiuto. Fu in quel momento che si rese conto che le rotelle non c’erano. Che si rese conto che era da sola con la sua bicicletta, con attorno l’ignoto o peggio il notissimo, vulnerabili. La bambina perse subito l’equilibrio e franò a terra non capendo cosa era successo e dalla disperazione si mise a piangere tenendo le ginocchia sbucciate. Aveva fallito di nuovo e ora si sentiva terribilmente in colpa verso quel bambino che aveva fatto così tanto per aiutarla.

Lorenzo tornò subito indietro da lei e cercando di tirarla su le disse che era stata bravissima finché non si era accorta che in realtà non c’erano le rotelle! Le aveva giusto appoggiate per farle credere che ci fossero. Le disse che lei sapeva già fare ad andare in bici, solo che non aveva abbastanza fiducia in se stessa per buttarsi.

Ma Greta si staccò d’improvviso, lui le aveva mentito e non si era fidato del fatto che lei non sapesse fare. Come tutti gli altri non aveva capito che lei non aveva paura di cadere, bensì aveva proprio paura di quell’equilibrio instabile.

La bambina prese la bici e piangendo tornò di corsa a casa gridando verso il bambino “Te l’ho detto che non sapevo fare! Non sono fatta per la bici mi spiace! E stato bellissimo pedalare con te ma purtroppo non sono capace e non ho più voglia di farmi male”. Il bimbo non riuscì a dire nient’altro che “Mi dispiace”.

La bambina una volta tornata a casa scagliò la bici in fondo al garage. Forse avrebbe dovuto fare come quel bambino in vacanza e capire che la bici non era roba per lei. Accettare che alcuni non son fatti per salirci su e lei era una di questi.

Da quel giorno iniziò ad andare al parco senza bicicletta mettendo tutto il suo impegno su cose che le venivano meglio come disegnare coi gessetti o giocare alla campana. Certo non si divertiva nella stessa maniera come quel giorno, e quelle bambine quando urlavano erano così fastidiose. Loro non sapevano riempirlo il suo silenzio. Ma almeno sapeva che quelle cose sapeva farle piuttosto bene e preferiva mettere il suo impegno lì.

Lorenzo vedendola senza bici si vergognava troppo di andarla a disturbare e si limitava a lasciargli dei bigliettini nello zaino. Greta si sentiva terribilmente in colpa con lui, non aveva mai trovato qualcuno che si fosse impegnato così tanto per aiutarla ma lei non riusciva proprio a trovare la voglia di riprovarci. Aveva troppo paura di cadere e umiliarsi ancora davanti a lui che non meritava un’apprendista così scarsa. E poi tutti questi suoi tentativi facevano sembrare la cosa troppo importante, e per lei che la viveva come un fallimento era ancora peggio. Lei la bicicletta voleva solo dimenticarla, e se si fosse fatta da parte sicuramente qualcuno di più bravo avrebbe fatto amicizia col bambino e sfrecciato con lui.

Un giorno però Lorenzo prese coraggio e andò dalla bambina. La prese da parte e le disse.

“Io so cosa provi quando sei su quella bici. Io lo so che non hai paura di cadere, lo vedo che sai cadere. Tu hai paura di starci su quella bici. Sai perché lo so? Perché anche io ho paura di quell’equilibrio che traballa. Che sembra sempre che puoi finire per terra. Anche io ho visto tutti gli altri riuscirci mentre io non sapevo come si facesse a stare dritto. Anche io sono caduto. Ma poi ho capito che se cadi non succede nulla. Perché alla fine se siamo assieme se cadiamo che succede? Te lo dico io. Niente. Perché l’altro torna indietro e ci aiuta a rialzarci e si riparte. Tu pensi che se stai giù da quella bici non può succederti niente. Che se stai da sola non può succederti niente. Ma è qui che ti sbagli, nel pensare che da sola e senza bici sei al sicuro. Ma da sola sei soltanto sola. Le ginocchia puoi benissimo sbucciartele lo stesso e anche senza la bici. Io credo in te ma finché non sarai tu a crederci non servirà a nulla. Quindi se ti andrà di riprovarci sai dove sono! Perché a scriverti tutti i giorni mi sento stupido e fastidioso ma non ce la faccio a vederti così. In ogni caso i tuoi disegni sono molto belli e vorrei continuare a venire a vederli anche se ce l’hai con me”.

La bimba rimase spiazzata e dandogli un bacio sulla guancia dolcemente disse “Grazie. Tu sei stato bravissimo e io non ce l’ho con te. Domani forse ci penso ma non ti prometto nulla”, poi lo guardò negli occhi e scappò via a casa. Lorenzo non seppe cosa dire e rimase impietrito toccandosi la guancia.

Greta corse fino a casa piangendo, non sapendo cosa stesse provando. Arrivata a casa passò dal garage e si mise a guardare la bici titubante. E prima di risalire in casa, accennando un sorriso, pensò tra sé e sé. “Chissà”.

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