Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2021 “Da non aprire” di Giuseppe Rudisi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2021

Non avrei mai immaginato di provare tanta delusione e tanto rancore verso mia madre; solo da pochi giorni ho scoperto ciò che mi è stato nascosto fin dalla nascita e che era meglio rimanesse segreto. Emma era mia mamma. D’ora in avanti, riferendomi a lei, non pronuncerò mai più quelle parole sacre: “mamma” o “madre”… userò solo il suo nome. Si è spenta tre mesi fa, dopo una lunga malattia che ho seguito giorno per giorno accompagnandola dai medici, assistendola nei ricoveri e, soprattutto, ascoltando tutte le sue lamentele e i suoi pianti. Non era facile starle vicino, soprattutto quando non si rassegnava al fatto che quella malattia avesse colpito lei invece che altre persone: si riferiva esplicitamente ad alcune amiche, a qualche parente, a mio padre e perfino ad Adele, una vicina di casa che abita al primo piano del nostro palazzo… ora ne conosco la ragione.

Quando Emma è mancata, nonostante io abbia superato i 40 anni, mi sono sentita sola e sperduta. Lei viveva con mio padre nello stesso condominio dove abito per conto mio al quinto piano. Anche lui da pochi anni si rifugiava saltuariamente in un piccolo appartamento di fronte al mio dove aveva trasferito le cose a cui teneva: la collezione di francobolli, i modellini navali e i libri di storia. Giustificava quell’allontanamento sempre più prolungato per la necessità di stare sveglio fino a tardi e alzarsi quando voleva in modo da non disturbarla. Non avevo mai supposto che, dietro quel discreto isolamento, potessero celarsi segreti inconfessabili.

A causa di quel che ho appena scoperto non posso più amarla come ho sempre fatto. Voglio rimuovere ogni istante e ogni ricordo vissuto con lei; il dolore che mi ha cagionato nel farmi scoprire cose che la riguardavano e che, inevitabilmente, impattano su di me è enorme. Non le bastava aver condizionato molte scelte importanti della mia vita? Mi riferisco soprattutto a quelle sentimentali. Se non sono ancora riuscita a crearmi una famiglia è certamente dipeso dal pressing che esercitava su di me quando mi innamoravo di qualche ragazzo. Trovava sempre un motivo valido per convincermi a mollarlo: non era quello giusto perché fisicamente poco attraente o di modeste origini oppure con un’incerta prospettiva professionale. Avrei potuto agire di testa mia, ma lei ha sempre esercitato su di me un forte dominio psicologico e, alla fine, mi costringeva a darle retta. Solo nella scelta della facoltà universitaria decisi da sola; voleva che insegnassi, lo riteneva il lavoro ideale per una donna: avere più tempo a disposizione per la famiglia, soprattutto d’estate, era per lei un dogma. Con il sostegno di mio padre, forse nell’unico caso in cui si era messo di traverso tra me e lei, mi iscrissi a Biologia e ora dirigo un laboratorio di analisi cliniche, lei non ha mai apprezzato questo mio successo professionale che mi tiene troppo impegnata e lontana dai suoi cliché.

La scoperta che ha sconvolto la mia vita l’ho fatta pochi giorni fa. Mi mancava solo un dettaglio per la chiusura delle pratiche successorie. Dovevo recarmi in banca per svuotare la sua cassetta di sicurezza dove sapevo era custodito un vero tesoro. Da sempre lei andava e veniva dalla filiale per ritirare o riconsegnare i gioielli che amava sfoggiare a feste ed eventi mondani a cui partecipava assiduamente.

Con la delega di mio padre sono stata ricevuta dal direttore: mi ha accompagnato in un locale blindato dove, in una parete c’erano centinaia di cassette di sicurezza numerate. Mi indicò quella che avrei dovuto aprire; avendo chiuso il conto dovevo portare via il contenuto. Rimasi sola, dopo aver aperto lo sportello estrassi una scatola metallica, al suo interno i numerosi gioielli erano contenuti in sacchetti di velluto di vari colori annodati con dei lacci. Aprii a caso quelli più voluminosi; ne riconobbi alcuni; altri mi sembrò di non averli mai visti e ne fui sorpresa anche perché, da quella prima ricognizione, apparivano molto più preziosi di quelli che era solita indossare.

Sollevando un sacchetto che doveva contenere una collana piuttosto voluminosa mi accorsi che nel fondo della scatola erano conservate delle buste. In una c’erano dei dollari statunitensi, in quella successiva trovai un mazzo di foto tenute insieme da un cordoncino dorato. Mi soffermai sulla prima immagine: era lei sdraiata di schiena su un letto, il viso sorridente era rivolto verso l’obiettivo, le spalle e buona parte del seno erano scoperte, si intuiva che anche il resto non visibile del suo corpo fosse nudo. Guardai con più attenzione quella foto: rifletteva la bellezza e la carica di sensualità che stava concedendo a chi la fotografava. Nell’immagine era più giovane rispetto all’età che io ho ora. Dovetti ammettere ancora una volta che era molto più bella di me. Lei di questo ne era consapevole e mai perdeva l’occasione di farmelo notare, soprattutto negli ultimi anni quando vedeva svanire la sua avvenenza e accentuava una subdola competitività nei miei confronti che mi faceva sentire insicura e inadeguata.

Il mazzo di foto era nelle mie mani: ero tentata di slacciare il cordino e guardarle, la mia educazione mi induceva a non farlo. Avrei dovuto riporle nella busta, richiuderla e eventualmente consegnarla a mio padre che, in quel momento, presumevo fosse il fotografo. Non era corretto violare l’intimità di una donna che non c’era più. Con il senno del poi la mia esitazione poteva essere letta come una sorta di timore che quelle foto potessero modificare l’immagine e il ricordo che serbavo di lei e che non volevo alterare. Ero comunque sorpresa che lei posasse seminuda in una stanza che non riconoscevo: sembrava un albergo. Mi aveva colpito in particolare l’espressione compiaciuta e complice del suo viso: sembrava precedere o seguire un momento di intimità amorosa con chi la stava ritraendo. Il ricordo che serbavo di lei era quello di una donna severa e poco propensa all’affettività soprattutto verso mio padre: lo trattava come un ospite con il quale tenere le distanze nonostante lui la mantenesse non facendole mancare nulla.

Decisi di riporre il mazzo di foto nella busta quando un mio goffo movimento me le fece scivolare di mano. Caddero urtando lo spigolo del tavolo sparpagliandosi sul pavimento. Dopo aver soffocato un grido di disappunto, presa dal terrore che ricomparisse il direttore, iniziai a raccoglierle e, a quel punto, non potei non guardare le altre foto di lei. Una di esse era caduta più lontana dalle altre, era capovolta; quando la raccolsi e la voltai vidi Emma ritratta insieme a un uomo. Anche se era una foto vecchia di almeno trent’anni lo riconobbi: era il signor Giorgio, il vicino del primo piano, il marito di Adele.

Proprio in quel momento si affacciò il direttore. Disse che un altro cliente aspettava il suo turno per entrare nel caveau. Risposi che avevo ancora bisogno di qualche minuto. Ero sconvolta. Mai e poi mai avrei immaginato che lei avesse una tresca con quell’uomo che conoscevamo benissimo: eravamo le famiglie che da più anni vivevano nel condominio e, particolare non trascurabile, lui ha un figlio di qualche anno più grande di me, avevamo giocato tantissime volte insieme agli altri bambini nel cortile condominiale. Quando avevo 14 anni mi faceva il filo ma non lo avevo mai considerato, non mi piaceva.

Non potevo più fingere che la cosa non mi riguardasse. Riposi alla rinfusa il contenuto della cassetta nel mio zaino ma, dal fondo della scatola, apparvero anche delle lettere tenute insieme da un cordoncino dorato il cui nodo sembrava inestricabile. Faticai ad infilarle in quel bagaglio ormai stracolmo.

Uscii dalla filiale e m’incamminai verso casa. Sulle spalle sentivo il peso dei gioielli che tintinnavano ad ogni mio movimento e dei segreti inconfessabili con cui si erano mescolati. Riflettevo su cosa potessero svelare quelle lettere; era davvero il caso che le leggessi? Davanti ad un cassonetto di rifiuti fui tentata di liberarmene. Non lo feci. Il mio pensiero si concentrò su mio padre. Possibile che non sapesse nulla? E se sì, come aveva sopportato un torto simile? E se lo avesse fatto solo per me, per evitarmi l’inevitabile dolore della separazione dei miei genitori? Ripensai a quanto lui le era stato vicino quando si era ammalata. Aveva anche pianto quando lei era morta. L’aveva perdonata o era ignaro di tutto? Cominciavo a vedere in una nuova luce molte vicende e dettagli della nostra storia familiare. Ricordavo che Emma escludeva sistematicamente mio padre dalle sue relazioni sociali: andava al cinema e a teatro con le amiche e spesso si assentava per andare alle terme o a qualche mostra nelle città d’arte. Riteneva mio padre un uomo semplice e modesto con un lavoro che non le consentiva di fare la vita che lei desiderava e che riteneva di meritare.

Sentivo che le lettere e le fotografie nel mio zaino scottavano. Decisi di leggerle perché mi avrebbero rivelato quanto il rapporto con lei avesse influito su quello che ero diventata. Dopo, forse, nulla sarebbe stato uguale a prima.

Seduta sul divano iniziai a studiare le foto. Quelle scattate in interni la ritraevano in pose languide: la raffinata biancheria intima che indossava lasciava solo intuire quello che del suo corpo non si doveva vedere. Le altre, prese in esterni, la ritraevano insieme a Giorgio: erano teneramente abbracciati e sullo sfondo si vedevano paesaggi marini e scorci di diverse città d’arte tra le quali riconobbi in particolare Siena e Firenze. Nell’osservare i loro visi distesi e felici non riuscivo a credere che mentre scattavano quelle foto io, mio padre, Adele e suo figlio eravamo inconsapevoli di quell’adulterio portato avanti nel tempo.

Come si erano permessi di vivere quella storia? Perché lei appariva così diversa da come era normalmente con noi: così distesa, così felice? In quel palazzo ci si incontrava tutti i giorni, e continuiamo a farlo anche adesso. Più volte ho visto mio padre prendere il caffè nel bar sotto casa con Giorgio e ricordo molto bene quando è venuto con la moglie a porgerci le condoglianze. Lui mi ha abbracciata mentre mi farfugliava all’orecchio quanto Emma fosse una gran signora e ancora una bella donna. Il fatto di aver sottolineato in quel momento la sua bellezza mi aveva intenerito: avevo pensato quanto quella sua consapevolezza le avesse reso meno amaro il suo cammino verso la fine.

Poi ho letto tutto di un fiato anche le lettere e appena terminate sono esplosa: “Perché Emma non le hai distrutte? Perché hai fatto in modo che le trovassi? Mi ripetevi spesso che, dopo la tua morte, i tuoi gioielli sarebbero stati miei, dovevo solo ritirarli dal caveau della banca dove erano custoditi per farne quel che volevo anche se sapevi che io non amo sfoggiare cose preziose. Perché insieme a collane, anelli e braccialetti mi hai fatto trovare anche quelle foto e quelle missive? Non le potevi buttare via senza farmi conoscere la verità? Perché non hai avuto il coraggio di dirmi in faccia quello che ho appreso leggendole? Troppo comodo farmelo sapere ora che sei al riparo della tomba dove giaci!” Dissi tutto questo a voce alta, come se lei fosse lì, davanti a me, e potesse rispondermi. Ero veramente sconvolta.

Dalle lettere e biglietti che si scambiavano i due amanti è emersa questa semplice, angosciosa, incredibile verità: Giorgio è il mio padre naturale. Ho letto parola per parola tutto quello che si sono scritti quando avevo circa dieci anni. Emma gli rinfacciava di non aver avuto il coraggio, quando era incinta di me, di lasciare la moglie, mentre lei si dichiarava pronta a tutto pur di vivere con lui. Il suo amante le rispondeva che non aveva potuto, Adele non meritava quel trattamento, e da sola, con un bimbo piccolo, come avrebbe fatto ad andare avanti? In fondo loro due potevano continuare a vedersi di nascosto vivendo rispettabilmente le loro vite di facciata. Pensai: “Ecco le solite scuse che accampano gli uomini sposati quando l’amante gli pone l’aut aut: o me o tua moglie!”

Ne so qualcosa: “Anche io ho avuto una storia del genere e anche il mio amante, messo alle strette, ha scelto la moglie.”

Dunque ho scoperto che l’uomo che mi aveva insegnato a camminare, ad andare in bicicletta, a nuotare e tanto altro non è il mio vero padre. Ma non solo questo: ho anche saputo di essere stata l’elemento di pressione perché il signor Giorgio si sentisse in obbligo di lasciare Adele per andare a vivere con Emma. Chissà che lei non l’abbia fatto apposta a rimanere incinta per inchiodarlo alle sue responsabilità!

Decisi di uscire sentendo sulle spalle il peso di quelle verità. Fuori dal portone alzai lo sguardo e vidi sul terrazzino proprio il signor Giorgio: stava fumando. Mi sembrò un po’ invecchiato rispetto all’ultima volta che lo avevo incontrato per le scale. I nostri sguardi s’incrociarono. Mi sorrise, lo guardai fisso negli occhi non riuscendo a nascondere dai miei occhi un lampo di sfida, lui si voltò dall’altra parte gettando la cicca nel praticello sottostante e rientrò nell’appartamento. Quel gesto tipico dei fumatori che generalmente disapprovo mi fece venire un’idea: raccolsi il mozzicone ancora fumante, mi recai nel laboratorio dove lavoravo, incaricai un collega di fare un test per poi confrontarlo con il mio DNA. C’è voluto qualche giorno, ma i risultati oggi confermano quanto è emerso dalle lettere: sono sua figlia.

Che devo fare? Parlarne con mio padre? Affrontare il Signor Giorgio e farlo vergognare di avermi visto crescere, giocare con l’altro suo figlio, ovvero il mio ignaro fratellastro, e non aver mai avuto il coraggio di dichiarare al mondo che sono sua figlia? Dire tutto a sua moglie? E se lei lo sapesse già? No, non è possibile. Quando la incontro lei è sempre gentile con me. Se ne fosse consapevole mi odierebbe: sono il frutto dell’amore di suo marito per un’altra donna.

Ho riflettuto tutta una notte e ho deciso. Nel mio laboratorio abbiamo un distruggi documenti elettronico. Ci sto inserendo una ad una le foto: diventano striscioline di carta colorata non più componibili. Ora è il momento delle lettere. Le fauci meccaniche ne fanno scempio con quel rumore sinistro. Sono diventate un mucchio di carta anonima che va a mischiarsi alla banale corrispondenza d’ufficio.

Ora so quello che non mi sarei mai neanche lontanamente immaginata. Ma ho anche capito che non me ne importa. Il mio vero padre è l’uomo che mi ha riconosciuta dandomi il suo cognome e che è stato sempre al mio fianco fin dalla nascita. Io gli voglio bene e non voglio modificare il rapporto che ho con lui… anzi, ora che siamo rimasti soli, può solo diventare più stretto. Se conosce la verità, sarà una sua scelta dirmi qualcosa, io non gli chiederò mai nulla. Al signor Giorgio invece parlerò! Certo che lo farò. Gli dirò che so la verità di loro due e gli sbatterò in faccia i risultati delle analisi. Perché non dovrei? Gli farò anche credere che dirò tutto a sua moglie, anche se so benissimo che non ne sarò mai capace. Se lo meriterebbe!

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3 commenti »

  1. Racconto davvero ben scritto. Un segreto che tiene il lettore incollato alla storia fino all’epilogo che preannuncia nuove sorprese. Mi è piaciuto molto!

  2. ? grazie ? temevo il giudizio di lettori sconosciuti, se questo è il primo ne sono molto lusingato.

  3. Posto un commento ricevuto via messenger da Marcella. ..”..Mi incuriosisce e leggo.        Vengo  subito presa dal rapporto di amore e contrasto … UNA FIGLIA, FATTA VIVERE ALLA ” LUCE” DI UN MADRE, CHE LA PLAGIA CON LE SUE PERDUTE AMBIZIONI, UNA FIGLIA CHE TROVA  SUPPORTO NEL PADRE SOLO AL MOMENTO DELLA SCELTA DEGLI STUDI, PADRE FIGURA REMISSIVA ALLA MOGLIE PURE LUI. LA STORIA PROSEGUE CON LA RIVELAZIONE DI UNA  ‘EMMA” EROTICAMENTE TRADITRICE, E SPUDORATAMENTE SI RIVELA  FACENDO EREDITARE ALLA FIGLIA,  I SUOI ” SEGRETI”  COSTUDITI IN UNA CASSETTA DI SICUREZZA IN BANCA. Poi non finisce qui la malvagita’ repressa di Emma.. ARRIVA POI LA PEGGIORE BEFFA FINALE,  SEMPRE POST MORTE DI EMMA, che io chiamo LA CRUDELE’ ‘…..il resto della storia,a tutti voi la lettura!!! .. Vi consiglio  di leggere questo racconto, di una storia vera, scritto con tanta bravura e sentimento, da far sentire protagonista il lettore, che legge tutto d’un fiato, e se ne sente addosso tutte sensazioni ed emozioni.

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