Racconti nella Rete®

23° Premio letterario Racconti nella Rete 2023/2024

Premio Racconti nella Rete 2014 “Orizzonti” di Francesca Castro

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2014

Respiro. “Respira su, ancora una volta, a fondo, con lo stesso moto circolare ed ininterrotto di quando sei venuta al mondo. Ricerca quel ritmo, fallo tuo, lascia che l’aria affluisca nei polmoni, che scenda lentamente fino allo sterno, poi ancora più giù, nello stomaco, nel basso ventre, infine nel perineo. Immagina di essere un tubo unico, in cui il fiato si muove da sopra a sotto, senza sosta”. E’ la voce del maestro, giungendole da un tempo immemore, che la guida nel magma incandescente del suo labirinto interiore, mentre distesa, ad occhi chiusi, con una coperta gettata sulla pancia, attraversa i cunicoli dei ricordi e delle fratture dell’anima.

Si sveglia di colpo in uno spazio torrido, con la gola arsa, febbricitante. Ci mette un po’ a riprendere conoscenza. Ultimamente è difficile sgombrare le tenebre del sonno e riemergere alla luce della coscienza con la sensazione di un sonno indistinto, senza fine. Adesso è realtà però, ne è sicura: lo capisce dal sudore che le inzuppa il vestito, dai cuscini del divano appiccicati alla pelle, dalla luce del pomeriggio che sta morendo, traghettandola verso un’altra notte priva di contorni. Il suo primo pensiero va a Danilo che sarà lì a momenti, alle sue visite che si fanno più frequenti. Basta questo a spaventarla più quanto non sia, più del sentire le forze che l’abbandonano, delle medicine che la stordiscono, del torpore da cui non riesce a scuotersi. Alla fine si alza, questa è la realtà, ne è sicura, poggia i piedi nudi sul pavimento di cotto e la sensazione di freddo non è così male. Sente i cani abbaiare in giardino, non ricorda se ha dato loro da mangiare, infila le ciabatte ed esce a fare un giro fuori. I due pastori Brahma e Shakya le vengono incontro con irruenta festosità. Non basta una carezza sulla testa per tenerli a bada, segnale che hanno fame. Suo figlio arriva, ma non lo sente, perché rinchiusa nel capanno degli attrezzi a riempire le ciotole di croccantini. I cani l’aspettano fuori, guaendo e scodinzolando, quasi ignorando l’arrivo di Danilo. Quando esce se lo trova davanti, con un mazzo di gerbere e un sacchetto di cose da mangiare. Come un amante che vuole farsi perdonare, pensa. Il ragazzo la bacia sulla guancia accaldata, le chiede come sta. Lea sorride, mentendo:-Sono un po’ stanca, con questo caldo chi non lo sarebbe? E poi leggendo il suo sguardo contrariato e prevedendo una ramanzina: – Non guardarmi così, non sono mica morta e a dispetto di quel che pensi, non succederà presto! Andiamo a casa, su!

Si pente di aver adottato il tono autoritario che usava con lui, quando da bambino non voleva farsi il bagno. Ora i ruoli sono invertiti, è lui che la rimprovera e la costringe a fare cose che non le vanno e vorrebbe portarla via dal suo rifugio, per rinchiuderla in un appartamento di città, lontano dal suo orto, dai suoi cani, dalle sue abitudini.

Lascia le ciotole con il cibo a terra, attenta a non farsi travolgere da Shakya, il più giovane e giocherellone. Poi, mentre sta per entrare in casa, perde l’equilibrio e rischia di cadere contro il vetro della porta-finestra. Danilo l’afferra appena in tempo, tra i denti gli esce un’imprecazione e la donna avvampa per la vergogna. Quando arrivano in casa, si accorge di desiderare che il figlio se ne vada il prima possibile, che la lasci in pace. Danilo invece, ha riacquistato la calma, prende un vaso e lo riempie d’acqua, posizionandovi dentro le gerbere rosso fuoco. Le poggia sulla credenza e le ammira ad una certa distanza:– Quando l’ho viste, mi hanno fatto pensare a te, le dice, dandole la schiena. Lea si versa un bicchiere d’acqua calda dalla bottiglia dimenticata fuori dal frigo troppo a lungo. Vede i segni dello sfacelo ovunque, forse dovrebbe ascoltare Danilo e andare a stare da lui e Tiziana, prima di togliere il disturbo per sempre. In fondo, non è per questo che mettiamo al mondo dei figli? Per rendere il trapasso più indolore?

– Mamma, mi ascolti? -Si, certo…

Danilo scarta le cibarie prese in una rosticceria vicino all’ufficio. Insalata di riso, patate al forno, polpette di melanzane, sushi per lui, quasi un pranzo della domenica. Lea tira fuori la tovaglia ricamata a mano, il servizio buono, poi, apparecchia la tavola in cucina, con solennità nei gesti che suona quasi stonata. Danilo, senza aspettare che lei abbia finito, prende una patata dal contenitore di alluminio, se la porta alla bocca ed esclama: -Tiziana vuole fare una seduta. Lo sguardo di lei si illumina all’istante per rabbuiarsi subito dopo, il tempo di un lampo. Scioglie i lunghissimi capelli argentati e li riannoda in fretta. Il suo gesto per prendere tempo, prima di pronunciare una frase difficile. – Non lo so se ce la faccio. Al momento è troppo impegnativo per me. – E allora consigliale qualcuno dei tuoi amici scoppiati. Gliene hai parlato tanto che vuole farla a tutti i costi! – E tu non sei d’accordo!- Danilo alza le spalle: -Facesse ciò che vuole, è un solo capriccio.

Quella frase innalza un silenzio spaventoso. Il ragazzo le riempie il piatto e glielo porge senza dire una parola. Lei lo prende, cercando di pensare alla sua frase . –Perché le gerbere ti avrebbero fatto pensare a me? Sono così discreta, non assomiglio a loro. Danilo sorride: – Si certo, come un elefante in un negozio di cristalli! Non passeresti inosservata, neanche se volessi. – Lo prendo come un complimento! – In realtà non lo è. E ride con una risata quasi infantile che le stringe il cuore. Questo suono lo porterò con me, ovunque andrò, pensa.

Danilo afferra il sushi, lo intinge nella salsa di soia e lo divora con una gioia primitiva. Lea lo guarda rapita, si costringe a mangiare, ma il suo appetito è svanito da un pezzo. Si alimenta per sostentarsi e se potesse, ne farebbe a meno. Non vuole che si accorga della sua inappetenza e allora, giocherella con il cibo, smembra le polpette, allarga il riso nel piatto, poi si pente, si sente scema e quasi le escono le lacrime. Diventa vulnerabile di fronte alla malattia, davanti alla fine che di c pensieri torvi, appoggia il piatto nel lavandino, dando le spalle a Danilo che continua a mangiare. – Lo sai cosa mi manca di più? Esclama infine, cercando di dominare la voce. La frase cattura la sua attenzione. –Attenta a quello che dici, ricordati che stai parlando con tuo figlio! E lei ridendo: – Anche quello mi manca, certo, ma pensavo ad un buon bicchiere di vino. Adesso ci starebbe proprio bene.

Lancia uno sguardo di sfuggita al figlio, poi, torna a fissare il piatto sporco. Danilo va al frigo, e tira fuori una bottiglia di chinotto. Lo versa in due calici, uno per sé, l’altro lo porge alla madre. –Ti ricordi cosa facevi quando ero piccolo? Questo un vino delizioso l’ho preso solo per te!

Lea rimane interdetta, poi, afferra il bicchiere e improvvisa un brindisi, facendo tintinnare i vetri. Non avrebbe scambiato quel chinotto svanito neanche con il vino più pregiato. Lo beve teneramente, rapita dal magico incantesimo compiuto. Si sente in pace con l’essere madre, abbraccia Danilo, cercando di non apparire sentimentale. Stavolta è lui che cede, la stringe forte e si scioglie tra i singhiozzi che ha trattenuto troppo a lungo. Le sussurra: – Non è giusto. Non doveva andare così. Sei ancora giovane e bella. Ho bisogno di te.

Lea si sente stranamente forte, non come prima a tavola, la voce è ferma mentre lo conforta: – Ancora non è finita, ci sono tante cose che da fare insieme. La sua mano gli accarezza la testa e senza pensarci, promette: – Non preoccuparti, vengo a vivere con te e Tiziana. Passiamo insieme il tempo che rimane. Diventerò la mamma perbene che hai sempre sognato!

Il suo pianto si spegne lentamente in un sospiro. Rimangono abbracciati ancora un po’, davanti al lavandino Nei calici una traccia di chinotto, la tavola ingombra, gli avanzi nei piatti. Se solo si potesse congelare un’immagine per sempre.

Danilo si allunga sul divano, hanno parlato dei preparativi e nel mentre si è addormentato. Fuori c’è una leggera brezza che fa rabbrividire. Pensa che a quest’ora a Roma si boccheggia e non si dorme. Forse dovrebbe coprire Danilo, ma non ricorda dove ha riposto le coperte leggere. Si aggira per casa, gettando uno sguardo malinconico sulle cose, sugli spazi e i ricordi che le evocano. Si chiede se non è meglio lasciarsi morire in solitudine, come facevano i pellerossa o come capita di vedere negli animali. Procurando il minimo disturbo, raccogliendosi in sé e in quel che resta. Senza decidersi sulla risposta, si rintana in cucina a lavare i piatti.

Quando tutto è pulito e ogni stoviglia asciugata, va a coricarsi sul divano di fronte a quello su cui sta riposando Danilo. Vorrebbe mantenere il’illusione di una vicinanza notturna, come accadeva quando lui era piccolo. Prima di assopirsi, lo osserva ancora una volta, cercando di mantenere uno sguardo neutro, come non fosse suo figlio, chiedendosi se si sarebbe potuta innamorare di uno come lui. Quando riapre gli occhi, l’alba non è sorta. Il sonno non ha avuto né colore, né odore, non ha lasciato echi, solo una leggera tachicardia, che riesce a calmare ascoltando nel buio il respiro profondo di Danilo. Tuttavia, non riesce a riaddormentarsi. Si alza, si butta sulle spalle una vestaglia e va in giardino, con una strana smania. L’erba umida le accarezza le caviglie e il leggero chiarore è sufficiente perché possa individuare il suo angolo preferito, il vecchio pozzo in disuso. Cammina a piedi nudi fino a quel punto, si siede sull’orlo del pozzo e aspetta. Non sa bene cosa, eppure si sente alla vigilia di un avvenimento. Avverte il buio assottigliarsi e volgere in bagliore, come fosse una sensazione fisica, che può misurare sulla pelle e lasciar penetrare dentro le ossa. Con calma respira a fondo, riappropriandosi dei suoi tempi e dei suoi spazi interiori. Come ha imparato a fare durante la prima seduta di rebirthing, quando la paura non aveva ceduto il posto alla consapevolezza. Respira senza pensare e lascia che qualcosa esploda dentro di lei, come un canto potente, un gesto deciso capace di scuoterla nel profondo. La sorprendono ricordi che salgono alla bocca con sapore di ferro e terra. Vede i giorni passati davanti a sé con singolare nitore, con nuova comprensione e sotto la luce di un impensabile perdono. Respira perdendosi in quel ritmo che irradia energia al corpo stanco e malato. Si smarrisce in una dimensione sconosciuta, dove il tempo smette di contare. Continua ad immettere aria e spezza il confine tra sé e il mondo. Respira e il cuore diventa un grande tamburo che batte il ritmo dell’universo con andamento ipnotico e continuo. E’ la donna che racchiude nel ventre il seme dell’uomo, madre di tutte le madri, che attraverso l’amore conosce desiderio e passione degli esseri umani. Le membra si allargano a contenere il tutto in un abbraccio cosmico. Il respiro si trasforma nell’esperienza di Dio che ricongiunge alla terra su cui si soffre e si fatica, al fuoco delle imprese folli e delle cicatrici, all’acqua che l’ha cullata prima di venire al mondo. Inspira e l’invade una sensazione di speranza e di accoglimento come non fosse più un corpo estraneo gettato sulla terra, ma un’appendice delicata, legata da invisibili radici. Espira ed espelle le ultime forze, mentre la notte si dissolve. Il respiro la condurrà oltre le Colonne d’Ercole della sensibilità, in un abisso misterioso ed insondabile in cui non esistono paura e dolore. E prima che possa spegnersi anche il suo sorriso nella notte delle notti, un ultimo pensiero, arriva come una preghiera. Entrare nella morte ad occhi aperti.

 

 

 

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2 commenti »

  1. La mente e il corpo di ogni essere umano posseggono molte capacità a noi sconosciute. Molte sono le tecniche per condurci in questa esplorazione, alla ricerca di un equilibrio .. cosmico. Questi millenni e millenni di vita umana ci hanno forse impoverito di queste capacità extrasensoriali? Chissà. Questo racconto è triste e al tempo stesso pieno di speranza perché la donna va incontro alla morte nonostante l’amore del figlio Danilo ma è certa di raggiungere “appendice delicata, legata da invisibili radici”. Grazie Francesca per questo racconto.
    Emanuele

  2. Salve, allora mi sembra che a parte qualche errore di distrazione, ci siano delle cose interessanti sul ritmo, sui personaggi e sulle atmosfere.

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