Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Dolce come l’argento” di Andrea Gamannossi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Quel pomeriggio estivo, insieme a mio figlio Tommy, la vidi per la prima volta.

Era un’afosa giornata di fine luglio e la canicola estiva stava soffocando la città, tanto che una densa nebbiolina d’umidità rendeva lattiginoso il paesaggio metropolitano.

Visto che mia moglie si trovava al lavoro, decisi di portare Tommy a prendere una boccata d’aria.

Mi avviai a bordo della mia Punto bianca verso le colline, e dopo aver percorso una decina di chilometri in mezzo a quel paesaggio ammantato di verde, mi fermai in un largo spiazzo dove sostavano altre cinque auto.

Tommy, che allora aveva cinque anni, sgambettava allegramente lungo il sentiero che si inoltrava nel bosco, in mezzo a querce, pini e castagni.

Percorremmo circa un chilometro, poi il viottolo scendeva verso il basso, dove in mezzo ad un fitto canneto, c’era incastonato un laghetto dalle acque smeraldine.

Un’espressione di meraviglia si dipinse sul viso del bambino che, con entusiasmo, si mise a osservare le rane che gracidavano nell’acqua stagnante e torbida che riempiva il piccolo stagno adiacente al lago.

Fu allora che la vidi.

Era seduta su una roccia, mentre con in piedi accarezzava la superficie dell’acqua.

I suoi capelli erano biondi come grano maturo, e indossava un lungo vestito bianco di un candore indicibile. Era come se quella creatura irradiasse una luce attorno a essa, come se quel corpo emanasse una energia dolce e potente allo stesso tempo.

La donna distava circa cinquanta metri dalla posizione in cui mi trovavo, ma come vittima di un prodigioso incantesimo il mio sguardo rimase incatenato a ella, e niente sembrava essere in grado di distoglierlo.

Da quell’angolo visivo la vedevo di fianco. Nonostante mi sforzassi di utilizzare tutte le mie diottrie disponibili, non riuscivo a focalizzare i tratti del suo volto.

Improvvisamente Tommy mi chiamò tirandomi per i pantaloni.

Mi distrassi per una manciata di secondi, poi quando i miei occhi tornarono a cercarla, lei non c’era più.

Mi sentii l’animo in subbuglio, cominciai a guardare da tutte le parti, ma quella figura era scomparsa, si era volatilizzata nel nulla.

Chiesi a mio figlio se l’aveva vista, ma ebbi l’amara conferma che lui era rimasto a osservare le rane e non si era accorto di niente.

Mi grattai la testa. E’ vero, la mia personalità era sempre stata piuttosto instabile, ma non avevo mai sofferto di allucinazioni.

Tornai a casa con il tarlo del dubbio che mi rodeva la mente.

Quella notte non riuscii a chiudere occhio.

Così, il giorno dopo, dopo aver portato mio figlio a casa dei nonni, decisi di tornare in quel luogo.

Quella mattina il cielo era plumbeo, quasi purpureo.

Appena giunsi al lago, la vidi. Si trovava nella stessa identica posizione del giorno precedente, e la luce che filtrava dal cielo coperto faceva sembrare ancora più biondi i suoi capelli, fino a farli apparire color platino.

Il cuore mi si fermò nel petto, dopo prese a correre all’impazzata.

Non sapevo cosa fare, poi una forza oscura e misteriosa mi spinse verso di lei. Le andai incontro con emozione crescente, fino a giungere a pochi metri da lei.

A mano a mano che mi avvicinavo il biancore luminoso del suo abito provocava un riverbero talmente luccicante che a stento riuscivo a tenere gli occhi semiaperti.

Poi la figura si voltò. Nonostante fossi quasi accecato da quella luce, riuscii ad ammirare i tratti perfetti del suo viso e la forza magnetica che il suo sguardo emanava.

Ero attonito, e sentivo tutti i muscoli del corpo irrigiditi, tanto che non riuscivo a muovere nemmeno un dito.

Lei mi guardò, poi con infinita dolcezza, mi sorrise.

Improvvisamente il suo corpo cominciò a sbiadire, i contorni persero di regolarità fino a diventare trasparenti e infine svanire del tutto.

Rimasi lì immobile, mentre i primi goccioloni del temporale che stava per abbattersi sul lago mi bagnarono i capelli e la camicia. Ma anche quando lo scroscio della pioggia divenne fitto e violento, non mi mossi da quel luogo, e vi restai ancora per più di un’ora, tramortito e inebetito da quell’incredibile evento, fino a che, completamente fradicio, me ne tornai a casa.

Da allora ritornai spesso al lago, ma non la incontrai mai più.

Sovente, con la scusa di portare il bambino all’aria aperta, mi recavo in quel luogo, e ogni volta che mi affacciavo sulle acque limpide il cuore mi correva al galoppo, ma le mie speranze rimanevano sempre vane.

E da quel momento l’ho sognata per centinaia di notti, mentre durante il giorno un interrogativo mi torturava la mente.

Quella creatura era stata un mero frutto della mia fantasia malata?

Oppure esisteva davvero?

Era un angelo?

O forse una fata?

Sono trascorsi sette anni da quando la incontrai, e tutte le volte che ci ripenso sento ancora quel forte sapore di dubbio in bocca.

Ripenso a quel volto pallido e perfetto, a quelle labbra carminio scuro.

E nella luce di perla dell’alba, talvolta, mi sembra di vederla di nuovo, e la fisso con estasiato abbandono perché più che il tempo passa e più mi rendo conto che mi sono imbattuto in una creatura sovrannaturale. Una creatura che non appartiene a questo mondo.

Forse quella volta mi voleva parlare, voleva dirmi qualcosa…

Infatti Tommy, dopo pochi mesi, si ammalò di una forma rara di leucemia. Io e mia moglie Silvia finimmo all’inferno. Gli ospedali, le terapie, i mesi trascorsi accanto a Tommy rannicchiato in quel grande letto nella camera sterile, vittima innocente di un Dio che, in quel momento, mi appariva spietato e crudele.

Ma la notte, spesso, la sognavo.

Sognavo quella creatura dai capelli biondi come grano maturo che mi donava il suo sorriso radioso, dolce come l’argento. E al mattino una speranza nuova si accendeva in me e dava forza al mio intimo spingendomi a pensare positivo.

Allora tornavo da Tommy che mi scrutava da sopra le occhiaie profonde, nere come pozzi senza fine. Cercavo di trasmettergli tutta l’energia positiva che mi permeava creando una sorta di ponte magnetico fra le nostre anime. E Tommy, in quei momenti sembrava liberarsi dagli artigli acuminati del dolore. Anche Silvia, che si spostava da un posto all’altro come un automa, talvolta veniva investita da questa ondata contagiosa di speranza: la fissità grave che sostava perenne nel suo sguardo, una specie di trance ipnotico, se ne andava lasciando spazio a uno spiraglio di fiducia.

Le condizioni di salute di nostro figlio erano altalenanti.

Purtroppo non esistevano molte statistiche sulla forma tumorale che aveva colpito Tommy, e i numeri non giocavano a nostro favore. Ogni volta che il bambino stava meglio i nostri cuori si accendevano, ma poi, quando ricadeva tra le fauci della malattia ridiscendevamo all’inferno.

E così è stato per tutti questi anni.

Questi interminabili sette anni.

E se non ci fossero stati i sogni di quella splendida creatura ad sostenermi, il suo sguardo colmo di speranza, probabilmente non ce l’avrei fatta. Non ce l,avremmo fatta.

Proprio oggi il medico mi ha detto che Tommy è definitivamente guarito.

Mia moglie ha reso grazie a Dio per questo miracolo, e anch’io ho fatto altrettanto.

Ma ho ringraziato anche lei, quell’angelo dai capelli biondi come grano maturo, dal vestito bianco luminoso e dal sorriso dolce come l’argento.

Domani tornerò al lago con Tommy e su quella roccia, dove ella sedeva con disincanto, poserò un mazzo di fiori.

E ogni notte la sognerò.

Sognerò il suo bellissimo volto, ma soprattutto quel sorriso.

Quel sorriso dolce come l’argento.

 

 

 

 

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