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25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Sarai il mio Armaduk sul mare” di Marco Caputi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

Sarai il mio Armaduk sul mare (*)

Racconto di Marco

 

Le sette del mattino e sono in anticipo.

La banchina è deserta e Alfa 13, il Comet 11 di Ernesto, è chiuso.

Sono perplesso, un senso di vago timore mi pervade; forse non ho valutato bene la situazione quando lui, una sera davanti al camino di casa mia, ha domandato da quanto tempo non andavo in vela; forse, invece di rispondere “da troppo”, avrei dovuto glissare.

Era venuto a trovarmi per chiedermi consiglio su un caso difficile e, mentre parlavamo, aveva visto sul tavolinetto accanto al divano una foto incorniciata nella quale ero ritratto con Roberta e Mauro Mancini alla presentazione stampa di un portolano nella collana il Tagliamare di cui lui, giornalista, che all’epoca lavorava alla Nazione di Firenze, era autore.

Mauro adorava il mare e di mare sarebbe morto.

All’epoca possedevo una barca, un vecchio splendido Sangermani sul quale purificavo, ad ogni refolo di vento che potevo catturare, il mio spirito costantemente stuprato dalle corrispondenze di guerra che ero costretto a fare come inviato speciale.

Amare il mare è solo un vago modo di ciarlare; per chi lo conosce è qualcosa di più, che ti coinvolge in quella sensazione d’infinito che può essere interpretata solo dalle parole del grande poeta “m’illumino d’immenso”: un’espandersi di luce all’infinito con sussurri, bisbigli, rincorrersi di movimenti e caleidoscopica follia di colori mossi dal vento della bolina o del gran lasco, mentre nell’ anima percepisci il meraviglioso piacere della ricerca di una meta che cambia e si rinnova costantemente.

Sono lì sulla banchina quando vedo, sulla terza bitta di levante, un bianco d’ali che incorniciano il becco giallo.

–        E tu, pennuto, che fai tutto solo?

–        A me lo domandi vecchio? – risponde piccato il gabbiano – dimmi tu perché arranchi su quella specie di trabiccolo?

–        Non essere impertinente uccellaccio, non puoi strapazzare un invalido, non te lo devi permettere!

–        Invalido? E che vuol dire?

–        Tante cose gabbiano… troppe per poter capire…

–        Che ci fai qui a quest’ora dell’alba?

–        Cerco ricordi, per darmi il coraggio di ritrovare il piacere di un giorno quando su quel mare, sotto quella vela, al timone, c’era la parte più bella di me.

–        Quale coraggio?

–        Quello di superare il limite: quei tre metri dalla mia carrozzina alla poppa di Alfa 13. Non è facile, pennuto, credere in se stessi al punto di sentirsi in grado di fare qualcosa che ti è apparentemente negato al punto di renderti pauroso e rinunciatario.

–        Allora perché sei qui?

–        Bella domanda uccellaccio, bella domanda…

–        E la risposta?

–        Una sola, ma ci sarà se tu mi aiuti…

–        E come?

–        Se sarai il mio Armaduk e correrai, bianco, davanti a me sul mare. Tra un’onda che sussurra e una che canta mentre insieme si rincorrono.

–        Chi è Armaduk?

–        Era il cane di un amico che, costretto in un letto, da una paralisi progressiva, sognava una nuova barca, una grande vela e tanti comandi elettronici per poterla pilotare.

–        Per dove?

–        Verso l’ala della vecchia signora, gabbiano Armaduk.

–        Parli difficile vecchio mio.

–        Già, ma ricordare mi ha dato lo spunto per provare…

 

–        Marco! Che fai, parli con i gabbiani? – è la voce di Ernesto alle mie spalle.

–        Forse mi sono rimbambito amico mio…… ma dovevo vincere un momento difficile… quello di uscire dall’inutilità e tornare ad ascoltare la musica dell’acqua quando canta la canzone antica che si suona tra prua e poppa, lungo la fiancata, per incantare il navigante.

 

(*) Armaduk era il cane da slitta di razza “husky” che aveva accompagnato Fogar in una fallita spedizione al Polo Artico del 1982. Per 50 giorni aveva tenuto testa al freddo e ai venti polari, aiutando il suo compagno di viaggio a superare la solitudine dei grandi spazi in un’impresa oltre i limiti di ogni vivente tolleranza.

Nel testo è riportata la più famosa poesia di Giuseppe Ungaretti (1888-1970).

Mauro Mancini era un giornalista, autore dei libri della collana “Navigare lungocosta”. Nel 1978 con Ambrogio Fogar, si avventura con la barca  Surprise, in una navigazione oceanica dalle conseguenze tragiche. La barca affondò nell’urto con un branco di orche. Furono recuperati da un mercantile nella loro zattera dopo 74 giorni dal naufragio; Mancini morì dopo due giorni.

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2 commenti »

  1. veramente toccante

  2. Bel racconto con tante espressioni poetiche molto suggestive. Complimenti!

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