Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Dal consulente” di Maria Grazia

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

La vita era divenuta difficile negli ultimi anni. Ma, come sempre aveva fatto nella sua esistenza, cercava di trovare da se le soluzioni e non ammetteva di aver bisogno di consigli.
Ogni giorno vedeva le sue risorse divenire esigue e insufficienti, e ciò le dava un senso d’impotenza e di sconforto.
La notte si svegliava angosciata, torturata da pensieri pesanti. Si stremava nel comprendere e nel far quadrare i conti, e le difficoltà ogni giorno si accavallavano e si complicavano. Era sul punto di liquidare la fiducia in se stessa che la aveva sempre caratterizzata. Si era lasciata incastrare dal macchinoso sistema a cui resisteva, come una vite spannata al cacciavite, ormai da anni.
Forse aveva bisogno di una mano, di qualcuno che le chiarisse le idee, che la indirizzasse verso delle soluzione non solo ipotetiche, come quelle che elaborava con la sua fantasia e che la lasciavano esausta. Ammetterlo le costava moltissimo: affidando i suoi segreti nelle mani di un altro, le sembrava di rinunciare per sempre alla sua libertà e di entrare a far parte della massa schedata senza possibilità di trasgressione o evasione.
Il giorno che si recò dal consulente però ogni scrupolo era stato rimosso, ogni resistenza superata. Vinta dall’ansia, cercava solo sicurezza e normalizzazione. Non trovava assolutamente umiliante ora rivolgersi a una persona pagata per ascoltarla. Benché avesse provato a sfogarsi con amici, a chiedere consiglio alle persone più vicine, nessuno era stato in grado di darle risposte chiare.
L’unico consiglio utile fu quello di Bea: Vai da un consulente.
Sulle prime si era scandalizzata: pagare qualcuno? Lei non aveva soldi, inoltre trovava questa usanza socialmente ingiusta: tutti avrebbero dovuto risolvere i propri dubbi da soli, con aiuto di corrette informazione e servizi sociali.
Ma la sua angoscia era divenuta tale che coloro che esercitavano questa professione non le sembrarono più dei mostri approfittatori, speculatori della nevrosi sociale, crumiri del consenso, fautori dell’ordine stabilito, ma santi protettori e consolatori.
Si accomodò nella sala d’attesa. Il calore della stanza la rilassò. La vicina liberazione dai tormenti la sciolse, si abbandonò sulla sedia malandata ma in stile, come una signora nell’attesa di un’avventura piccante.
Certamente quell’uomo là dentro l’avrebbe capita, si sarebbe fatto complice e avrebbe risolto le sue preoccupazioni. Sarebbe stato dalla sua parte.
Lo studio un po’ dimesso, ma professionale, le faceva sperare in un uomo uso ad utili segreti e a mal celate angosce, un uomo che avrebbe fatto il possibile per aiutarla. Non era uno studio ricco, sfacciato, dedicato a redditi superiori: dunque anche la povera gente come lei, anzi soprattutto la povera gente come lei, si imbatteva in problemi del genere. Non doveva affatto vergognarsi, concluse.
Si immaginò di lasciarsi sedurre da lui. O magari lui si sarebbe innamorato di lei. Sarebbe divenuta la sua amante, la sua consorte, si sarebbe garantita per sempre la sicurezza che le offriva ora solo professionalmente: certo avrebbe risolto in un sol colpo i suoi problemi e non le sarebbe più servito il consulente.
Attendeva quasi con spasimo il momento in cui l’avrebbe fatta entrare nello studiolo, e cercava di dominarsi, come se l’idea di poter finalmente rivelare le sue angustie le facesse correre il rischio di lasciarsi andare al pianto.
Lui la invitò a entrare con ottimista gentilezza. Lei si stupì della sensualità e pace che quell’incontro le procurava. Si affidò sicura a lui, con i suoi problemi, con il suo corpo: non distingueva bene. Semplicemente si acquietò, distesa sulla morbida poltrona che sembrava quasi un letto. Le apparve fuggevole l’immagine del paziente nel lettino dello psicanalista, ma non ebbe tempo di irritarsi per questo.
­ Mi dica tutto – chiese lui premuroso con un sorriso dolce che a lei non interessò giudicare professionale.
Trasse un respiro fondo, arrossì leggermente e sperando di non commuoversi in qualche lacrima che il tormento sicuramente le aveva depositato dentro a sua insaputa, gli raccontò tutto: le battaglie quotidiane, i dubbi, le sue riflessioni complesse e certamente errate; gli fece capire il peso dell’opinione altrui in tutto questo, il suo stato confusionale, la mancanza di identità sociale, i retaggi di impieghi antecedenti. Risalì indietro nel suo passato, le eredità paterne e materne, le dispute con i fratelli, la comunione con l’amante.
Il volto di lui non diede mai a dimostrare meraviglia, ma solo un’infinita comprensione e tutto o quasi fu dichiarato.
Lei si sentì sollevata anche se ancora in attesa di una risposta.
­ Ha la dichiarazione dei redditi?
Si vergognò, si agitò, si accorse che nella concitazione non era stata sufficientemente precisa.
­ No…non l’ho mai fatta.
­ Bene, non c’è problema, la facciamo subito.
Trasse dalla borsetta un fascio di carte arruffate, mescolate e confuse come il suo animo, e le porse speranzosa nelle sue mani.
­ Ah benissimo – disse lui soddisfatto.
Le sfogliò, le divise, le mise in un ordine per lei sconosciuto. Esegui queste operazioni con una velocità e una sicurezza affascinanti.
– Che uomo ­ pensò. E l’idea di innamorarsene si trasferì più addentro.
Stava così bene seduta là di fronte al consulente mentre questi le ordinava il suo passato fiscale!
Ma egli fece di più: le spiegò con semplicità la differenza tra l’ilor e l’irpef, la collocò in una fascia di reddito comoda e ampia da cui non sarebbe stato conveniente uscire mai, le calcolò l’ici più bassa che si fosse mai vista e soprattutto stabilì per lei un’identità sociale: “possessore di rendita”.
Pertanto non aveva più nulla in sospeso, né con sé, né con la società; tutto era regolare (anche se non proprio in regola). Ora sapeva chi era, e quanto valeva.

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