Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “L’ultimo scoglio” di Antonino Zampardo

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

“Buongiorno ingegnere! Qui c’è la sua posta!” disse la mia segretaria Rossella poggiando delle buste sulla scrivania. Poi mi rivolse un sorriso dicendomi che mia moglie mi aveva lasciato un messaggio nella segreteria dello studio. Ringraziai la mia segretaria contraccambiando il saluto.
Il mio nome è Paolo Torrigiani e sono stato a capo di un’azienda con venti operai che si occupava del commercio di abiti e accessori vari, fondata da mio padre molti anni prima. Gli affari andavano bene, il bilancio era sempre stato in attivo, mantenevo con i miei dipendenti un rapporto cordiale e amichevole. Mi sentivo un uomo fortunato e felice con accanto Serena, una moglie più giovane di qualche anno che amavo moltissimo. Eravamo sposati da cinque anni ma ancora non avevamo avuto figli. Le nostre giornate erano sempre piene d’amore reciproco. “Vedrai” le dicevo spesso “prima o poi questo bambino arriverà e crescerà bello e forte con tutto il nostro amore!”.
Come fanno tanti in questi casi ci rivolgemmo ad uno specialista per fare degli accertamenti ed i risultati non si fecero attendere. Per quanto riguardava me era tutto normale, mentre a mia moglie Serena lo specialista prescrisse altre analisi ed un’ecografia pelvica. Dopo qualche giorno il ginecologo ci dette appuntamento nel suo ambulatorio per illustrarci chiaramente la situazione di mia moglie. “Vede signora Torrigiani, lei ha una piccola malformazione congenita nella zona pelvica, ma con una terapia adeguata potrà avere la sua gravidanza senza alcun problema”. Furono mesi di speranza poi ripagati dai buoni risultati, quando il ginecologo ci annunciò con grande soddisfazione che da quel momento in poi sarebbe stata possibile una gravidanza.
Uscimmo come due pazzi dall’ambulatorio abbracciandoci e baciandoci per strada come due ragazzini. Da quel giorno ogni mattina prima di uscire di casa raccomandavo a mia moglie Serena di mandarmi un messaggio alla segreteria del mio ufficio per farmi sapere cosa aveva fatto nella mattinata e io mi sentivo più sereno. Una mattina appena entrato in ufficio da una riunione vidi la lucina rossa dei messaggi e premendo il pulsante per ascoltarlo sentii una voce raggiante che mi disse:”Ciao amore! Mi sono trattenuta ieri sera dal darti questa notizia perché volevo dirtelo adesso: aspettiamo un bambino! Sono immensamente felice … sarò mamma e tu papà!”.
Mi ricordo che una vampata di calore si impadronì di tutto il mio corpo ed ebbi solo la forza di chiamare mia moglie per dirle che l’amavo tanto, che l’amavo tantissimo.
Le giornate passavano veloci, la gravidanza avanzava e tutto andava bene. Vedevo piano piano il corpo di mia moglie cambiare, la pancia cresceva e questo mi rendeva felice, pieno di energia.
Sentivo come se tutto il mondo fosse ai miei piedi e così decisi di ampliare la mia azienda assumendo altro personale e impegnandomi anche finanziariamente con le banche.
Una mattina come tante salutai Serena per andare in ufficio presto: dovevo prendere delle carte per poi andare fuori città per una colazione di lavoro. Lei mi ricordò che si sarebbe dovuta recare dal ginecologo per il controllo periodico e che sarebbe andata a piedi. “Va bene, tanto sei vicina allo studio medico! Allora ci sentiamo più tardi ! appena torni a casa chiamami e fammi sapere! Ti amo”. Tornando prima del previsto con la macchina verso l’azienda pensavo che quel giorno avrei voluto festeggiare tutta la mia gioia con mia moglie, così mi fermai a ordinare un dolce per l’ora di pranzo. Arrivai poco più tardi in azienda, giusto all’ora di apertura, ma appena entrato in ufficio non trovai nessuno. “Strano”pensai “la segretaria non è ancora arrivata”. Notai la lucina rossa della segreteria accesa, premetti il pulsante di ascolto e una voce sconosciuta mi informò che c’era stato un incidente e che mia moglie era stata portata al pronto soccorso. “Serena in ospedale?” pensai a voce alta “cosa sarà successo?”.
Misi in moto la macchina e come un automa corsi come un pazzo verso l’ospedale. I pensieri mi affollavano la mente: “Cosa può essere successo? uno svenimento? Un malessere improvviso?”. Non riuscivo a capire cosa potesse essere successo, l’avevo lasciata solo un paio di ore prima ed era piena di gioia e di salute. Lasciai la macchina in doppia fila e mi precipitai dentro il pronto soccorso. Mi venne incontro un agente della polizia stradale con dei fogli in mano chiedendomi se ero il signor Paolo Torrigiani. “Sì sono io! Cosa è successo a mia moglie?”. “Venga con me signor Torrigiani. Abbiamo preso il numero del suo ufficio dalla borsa di sua moglie”mi disse l’agente “ Ci dispiace sempre dare delle notizie così gravi, è sempre difficile anche per noi!”. “Mia moglie! dove è mia moglie? Dove è Serena?” chiesi disperato. “Sua moglie è stata investita sulle strisce pedonali da un uomo con tasso alcolico molto oltre il limite e purtroppo non ce l’ha fatta” mi spiegò rapidamente l’agente. “Cosa? Che vuol dire non ce l’ha fatta?” chiesi di nuovo. “Mi dispiace ma sua moglie è morta poco dopo sull’ambulanza che la portava qui in ospedale”. “Non è possibile! Non può essere vero! E il mio bambino? Dove è mio figlio?” urlai con tutto il fiato che avevo. “Anche lui è morto, probabilmente subito, al momento dell’impatto con l’auto! Mi dispiace signor Torrigiani ma deve venire con me per riconoscere il corpo di sua moglie”.
Poche decine di metri separavano il pronto soccorso dall’obitorio ma la distanza sembrava immensa, le mie gambe erano come paralizzate, si rifiutavano di continuare a seguire i passi dell’agente per correre via da quell’orrore. Prima di entrare in quella maledetta stanza per il riconoscimento mi ripetevo che era tutto un incubo, un tremendo incubo. L’agente mi invitò ad entrare e vidi un corpo disteso, coperto da un lenzuolo bianco. Prima di scoprire il volto l’agente mi chiese se ero pronto ed io come un automa annuii. Lentamente il lenzuolo scese, vidi i suoi capelli biondi, poi tutto il suo viso. Sentivo le mie gambe non sorreggermi più e appoggiato al tavolo dell’obitorio gridai con tutta la rabbia e tutto il dolore che avevo dentro. “Non è possibile” urlai “Serena, amore mio! Che ti hanno fatto?”. Sembrava che dormisse, la sua espressione era rilassata, dolce come quando le stavo vicino e la guardavo dormire. Non vedevo nessun segno evidente, solo una tumefazione sotto al collo. “E’ sua moglie?” mi chiese cortesemente l’agente visibilmente turbato. “Sì è lei, è mia moglie! è il mio amore! la madre del mio bambino che non nascerà mai!”. Non sapevamo ancora se il piccolo nascituro fosse maschio o femmina, non lo volevamo sapere, doveva essere una sorpresa. Ma dopo l’autopsia sul corpo di mia moglie seppi che si trattava di una bambina, la mia bambina che non avrei mai visto.
In quel momento tutta la mia vita con Serena mi era passata davanti, tutte le speranze e tutto il mio mondo era crollato di colpo intorno a me come un castello di sabbia. “Venga con me signor Torrigiani che deve firmare il verbale del riconoscimento … mi scusi ma è la prassi!” mi avvisò l’agente. Con le poche forze che mi erano rimaste, sorretto dall’agente, raggiunsi l’ufficio e firmai il verbale con le mani tremanti. Le mie lacrime bagnarono il foglio, non riuscivo più a smettere di piangere. Quando uscii nel piazzale davanti al pronto soccorso trovai Rossella, la mia segretaria, e alcuni tra i più affezionati dei miei dipendenti: quando erano arrivati a lavoro la segretaria aveva ascoltato il messaggio della polizia e si erano tutti precipitati in ospedale. “Ci dispiace tanto ingegnere! Una così terribile disgrazia! Le siamo tutti vicino”. Anche Rossella era in preda al pianto: conosceva Serena fin dai tempi delle superiori ed erano rimaste amiche. “Mio Dio! Povera Serena!” disse “ Non potevo certo immaginare che la mia auto fosse bloccata da un incidente che coinvolgesse sua moglie!”. I giorni passavano e uno era più triste dell’altro, non riuscivo a vivere senza di lei e senza la mia bambina. Tutte le notti la piccola mi appariva in sogno con la sua mamma, era già grandicella, una bimba bionda e dolce come Serena. Non volevo più nessuno vicino, neppure i miei genitori che soffrivano in silenzio del mio dolore. Decisi di lasciare per un periodo il mio lavoro, incaricando la mia segretaria e il mio migliore dipendente di portare avanti l’azienda e la contabilità.
Molto presto però la mia assenza si fece sentire, i fornitori volevano essere pagati e le banche volevano rientrare con i soldi, ma a me importava poco tutto questo. Le ore passavano lente, le notti erano insonni e il giorno non mi muovevo da casa, non mangiavo quasi più e avevo iniziato a bere liquori sempre più forti: mi facevano stare meglio perché mi aiutavano a non pensare.
La mia segretaria aveva bussato spesso alla mia porta, ma non le aprivo mai, non volevo mi vedesse in quello stato, sporco e con la barba lunga, visibilmente dimagrito e con i capelli fin sulle spalle. Rossella quando riuscivo a rispondere al citofono mi ripeteva che l’azienda era in crisi e che non riusciva a pagare gli stipendi ai dipendenti già da un paio di mesi. L’ultima volta ricordo che mi implorò quasi:”La prego ingegnere, hanno tutti una famiglia da mantenere! Non riesco più a fare fronte con i debiti! La prego,riprenda in mano la sua azienda e vedrà che presto si sistemerà tutto!”. “ Io non sono più in grado di fare tutto quello che facevo prima!perché niente è più come prima!” le gridai dal citofono “io non voglio trattenere nessuno a lavorare per me! Andatevene tutti al diavolo!” e così dicendo scagliai la bottiglia di liquore quasi vuota contro il muro. Rossella capì che non era più il caso di insistere e se ne andò.
Non passò molto tempo che le banche misero sotto sequestro l’azienda e i dipendenti dovettero abbandonare il loro posto di lavoro e io fui indagato per bancarotta. Anche la casa dove abitavo fu messa sotto sequestro. E come se non bastasse i miei genitori, già debilitati dalle varie patologie associate all’età avanzata, peggiorati dalla perdita improvvisa di Serena, se ne andarono uno dopo l’altro, quasi insieme nella morte come nella vita.
Dopo tutte queste tragedie che avevano sconvolto improvvisamente la mia vita iniziai a vivere come un mendicante alcolizzato, ero sporco e con barba e capelli incolti, stavo rinchiuso nel mio vecchio cappotto di quattro o cinque taglie più grande e delle vecchie scarpe ormai rotte.
Spesso dormivo sotto un ponte insieme a dei disgraziati come me, coperto da dei cartoni e vecchie coperte raccolti nei cassonetti della spazzatura. Di giorno me ne stavo seduto su uno scoglio, l’ultimo scoglio prima della vegetazione sull’argine del fiume. Lì venivano spesso dei pescatori che mi porgevano qualche spicciolo e qualcosa da mangiare. Nessuno in quelle condizioni mi avrebbe potuto riconoscere, ma io stavo bene così. Nella mia solitudine mi sentivo più vicino a loro:  a Serena, alla mia bambina mai nata e ai miei cari genitori.  Ogni tanto, quando la fame mi tormentava, facevo la fila alla mensa dei poveri della parrocchia per mangiare qualcosa e poter bere un po’ di vino.
Una mattina come tante, mentre ero assorto nei miei pensieri, venni destato da una vocina alle mie spalle:”Ciao signore! Come ti chiami?”. Mi voltai di scatto e vidi il volto dolce di una bambina bionda che mi sorrideva, e mi resi conto che era molto somigliante al volto che nei miei sogni apparteneva alla mia bambina.  “Mi chiamo Paolo, sì il mio nome è Paolo! E tu?” le chiesi stupito. “Io mi chiamo Angela! Tieni, ho dei fogli e delle matite … li vuoi? Così potrai scrivere qualcosa o disegnare!”. Nel porgermi gli oggetti alcuni fogli caddero a terra e prima che il vento me li portasse via, mi chinai per raccoglierli. Furono pochi attimi ma quando alzai la testa per ringraziare quella bambina vidi che intorno a me non c’era più nessuno. Era scomparsa improvvisamente. “Che stano!” pensai a voce alta “devo smettere di bere! Ho le allucinazioni!”. Ma i fogli e le matite erano veramente tra le mie mani. Spesso ripensai a quella bambina che avevo incontrato, mi aveva promesso che sarebbe tornata a trovarmi ma non la vidi più, mai più! Mi rimase solo il ricordo del suo dolce visino, dei suoi occhi azzurri che mi sembravano così familiari, quasi come se li conoscessi da sempre. Dal giorno in cui la vidi pensai spesso a lei come al mio angelo custode. Ogni giorno quando mi sentivo solo guardavo una foto di mia moglie che mi sorrideva piena di gioia, me la stringevo al petto e la baciavo prima di addormentarmi. Così passarono le settimane e i mesi, uno dopo l’altro e tutti uguali, ma mi sentivo sempre peggio. Non riuscivo a capire come mai nessuno si ricordasse di me, eppure avevo tantissimi amici in passato! Spaziando con la mente mi ricordai di un mio caro amico, Alberto, che lavorava in comune e pensai che forse lui mi avrebbe potuto aiutare a trovare un qualche lavoro: in fin dei conti ero sempre un ingegnere. Così mi preparai dandomi una ripulita. Quel giorno con i pochi soldi che mi ero messo da parte andai ai bagni pubblici a farmi una doccia e poi dal barbiere per farmi barba e capelli. Molti pescatori ormai mi si erano affezionati e mi regalavano spesso abiti vecchi o che non si mettevano più, ne indossai uno con delle scarpe e mi incamminai verso il comune. Passai davanti a delle vetrine e guardando il mio riflesso quasi non riconoscevo l’uomo che ero riuscito a diventare in quegli anni, anche con dei vestiti decenti addosso si vedevano i segni della fame e della disperazione. Comunque mi sentivo molto meglio, forse quella bambina che era apparsa e scomparsa così all’improvviso a cui pensavo ancora, non mi avrebbe riconosciuto. Arrivato nei pressi del comune mi destai da tutti i pensieri che mi ronzavano per la testa e cercai le parole da dire al mio amico Alberto quando lo avessi rivisto. Chiesi di lui ad una signora nell’ingresso che mi indicò la sua stanza. Bussai ed entrai nell’ufficio di Alberto, era seduto dietro la sua scrivania piena di scartoffie di ogni genere. Mi guardò quasi stentando a riconoscermi e poi sorridendomi mi sommerse di parole: “Paolo! Ma sei proprio tu? Come stai? Non ci posso credere! Quanto tempo che non ti vedo! Eri sparito e nessuno sapeva dirmi dove fossi! Cosa mi racconti?”. Alberto sapeva tutto quello che mi era capitato, dalla morte di Serena al fallimento della mia azienda, anche lui aveva più volte cercato di farmi tornare a lavoro ma non avevo ascoltato neanche lui. “Sai Alberto, volevo chiederti se tu in qualche modo mi puoi aiutare, con le tue conoscenze, a cercare di rimettere in piedi anche una piccola attività per vedere di ricominciare da capo. Sono stati anni duri ma adesso mi sento pronto a ricostruire la mia vita!” gli dissi tutto d’un fiato. “Vedi caro Paolo, questo non è l’ufficio giusto, da qualche mese sono il segretario dell’assessore alla cultura. Capisci? Trattiamo di eventi. Vedi quell’uomo sulla porta di fronte? Lui è l’assessore alla cultura ed è un mio grande amico oltre che capo, e quei due dentro la stanza sono i suoi più stretti collaboratori e sono molto invidiosi di me e di quello che ogni tanto cerco di proporgli” mi spiegò “Per esempio adesso l’assessore sta cercando nuove idee letterarie, piccoli racconti o favole per bambini da distribuire nelle scuole elementari per un nuovo progetto del comune, ma che non siano le solite favole del lupo cattivo o della perfida strega. Devono essere racconti in cui il bambino vi si possa immedesimare e poi imparare a recitare con l’aiuto delle maestre. Ti ricordi? Un po’ come facevamo noi da bambini in quel piccolo teatrino dietro la scuola e tu eri bravo a scrivere delle nuove storie!”. Lo guardai perplesso ma aggiunse:” Prova a scrivere ancora qualcosa come allora! Poi torni e mi fai vedere il tuo lavoro, ma stai attento a quei due tizi che stanno con l’assessore: non devono sapere niente di quello che vogliamo fare noi!”. Lo salutai forse un po’ deluso, speravo in un aiuto più rapido ma uscendo in strada ripensai alla bambina che mi disse:”Scrivi qualcosa e poi me lo fai leggere!”. Che strana coincidenza, come se già sapesse come potevo tentare di uscire da tutta quella situazione. Dentro di me stava veramente nascendo la voglia di catturare in un foglio bianco tutte le mie emozioni trasformandole in piccole storie per bambini. Con in mano i fogli e una matita mi sedetti vicino al fiume e per alcune ore scrissi quasi di getto della mia vita, delle mie disgrazie, del mio incontro con il mio angelo custode e del rapporto che avevo con i pescatori che si avvicinavano a me e che ormai mi trattavano come un amico. Tutto era descritto con semplici parole e attraverso piccole storie che sarebbero piaciute ad un bambino, trasformando la dura realtà che avevo vissuto in avventure di cavalieri o eroi valorosi. Scrissi storie per alcuni giorni e la sera, quando era troppo buio per vederci, rimanevo con la mia solitudine e i miei ricordi, spesso nel silenzio della notte parlavo ad alta voce con mia moglie, guardavo il cielo stellato e mi sembrava di vedere il suo volto sorridermi. Nostra figlia adesso avrebbe circa otto anni, proprio come quella bambina che avevo incontrato, il mio angelo custode!
Passata circa una settimana avevo scritto parecchie storie raccolte con il titolo di “L’ultimo scoglio”. Riuscivo a scrivere sempre più facilmente, la mia mano scorreva veloce su quei fogli, come guidata da qualcuno al di sopra di me. Il giorno dopo di buon mattino decisi di tornare da Alberto per consegnargli il manoscritto. Appena mi vide mi fece entrare nella sua stanza, prese il materiale dicendomi di ripassare dopo un paio di giorni, il tempo di leggere tutto e valutare se poteva andare bene. Quando tornai in comune Alberto non c’era ancora ma vidi i due uomini che non piacevano al mio amico parlottare tra loro con dei fogli in mano: riconobbi la cartellina dove Alberto aveva messo il mio manoscritto. Loro non sapevano chi fossi così mi potei avvicinare per ascoltare che cosa si stavano dicendo. Capii che parlavano della mia opera e di come farla passare per una loro scoperta per farsi grandi agli occhi dell’assessore ora che Alberto, come dicevano loro, era fuori alcuni giorni per lavoro. L’assessore aveva scelto proprio la mia raccolta di novelle e gli era piaciuta così tanto che l’aveva proposta per una tiratura a livello nazionale per le scuole elementari. Quindi non solo il merito di aver scoperto l’opera, ma i due aiutanti dell’assessore volevano avere l’esclusiva sui guadagni futuri, eliminando il vero autore. Preso dalla rabbia entrai furtivamente nella stanza di Alberto in cerca di un numero telefonico o di un indirizzo e-mail per raggiungere il mio amico. Riuscii a contattarlo facendogli sapere cosa avevano intenzione di fare gli assistenti. Dopo solo due ore era già di ritorno, aveva lasciato i suoi impegni per correre in mio aiuto. Si presentò subito dall’assessore spiegandogli l’accaduto e fece entrare pure me. L’assessore si congratulò con me per la mia bravura strappandomi il primo assegno in anticipo. Il mio manoscritto andò a gonfie vele, tutti i bambini furono affascinati dalle mie storie e questo mi spinse a continuare a scrivere. Lasciai la strada e smisi definitivamente di bere. Alberto mi trovò un piccolo appartamento in affitto anticipandomi la caparra e i primi mesi. La mia vita era di nuovo cambiata totalmente, ma questa volta in meglio. Scrivendo capii che quello che stavo facendo era una mia passione da sempre, solo aspettava il momento giusto per uscire ed emergere. Dopo altre raccolte di favole mi cimentai con un romanzo che mi portò al successo anche nel mondo degli adulti. Adesso sono passati alcuni anni e mi sento un uomo nuovo pieno di energia, con la voglia di stupirsi e di stupire il mondo con la sua creatività. Non mi sono più sentito solo, specialmente quando la notte il cielo è pieno di stelle.

 

 

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