Racconti nella Rete®

25° Premio letterario Racconti nella Rete 2025/2026

Premio Racconti nella Rete 2012 “Idrìs” di Riccardo Romagnoli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2012

…di Idrìs che camminava e sudava e abbandonava dietro di sé una scia umida come fosse di una grande lumaca bianca. Era un uomo della stirpe delle acque e quando fu partorito, uscì fuori tanto liquido da allagare l’intera camera. Sua mamma era ingrassata di quaranta chili nella gravidanza e si svuotò tutta. Il papà, Giovanni, aveva detto: “E’ capitato a noi. Ne nasce uno ogni cento anni nella nostra famiglia che per questo si chiama De La Mer. Allora avrà il nome Idrìs come ogni nostro antenato che viene e va nelle acque.” Idrìs crebbe nel sudore che veniva a litri e bagnava. Amava le zone buie e oscure e fuggiva dal sole. In inverno, anche se vestiva grossi cappotti, li rendeva fradici di sudore generato in abbondanza e che i tessuti non trattenevano. In estate, gli abiti leggeri, impregnati, diventavano trasparenti come trine e filigrana, e mostravano Idrìs quasi nudo. Il suo sudore passava le lenzuola e il materasso. Sua mamma, ogni mattina, trovava una pozza di acqua sotto il letto. Capitò pure che in una notte d’agosto così calda che nessuno dormiva, il sudore di Idrìs fu ancora più forte di sempre e i vicini, che abitavano l’appartamento al piano inferiore, trovarono sul soffitto una macchia d’umidità in corrispondenza del letto di Idrìs. Stava bene a lavarsi nella vasca o a nuotare nel fiume o quando pioveva ed era uguale agli altri perché la pioggia nascondeva il sudore. A scuola per lui fu difficile. I compagni lo prendevano in giro dicendogli: “Idrisci Idrisci puzzi perché pisci” oppure “Idrisci Idrisci ma quanto pisci.” E non volevano stargli vicino. Era bravo e gli piaceva studiare benché rovinasse i libri bagnandoli mentre li sfogliava. Sapeva molte cose, però i maestri lo tenevano a distanza e sentivano pena e ribrezzo.  Idrìs non piaceva alla gente, ma dove c’era lui si respirava un senso di pace e di quiete. Vi erano piante verdi e brillanti, le terre erano fertili, gli animali mansueti. Intorno a lui la natura era ricca e piacevole perché le acque di sudore generavano vita rigogliosa ed equilibrata. Idrìs raggiunse i quindici anni e capitava che le persone gli chiedessero di una cosa o dell’altra, della salute, del futuro, dell’amore. Lui rispondeva senza pensarci e dava risposte giuste. A vent’anni morirono i suoi genitori e andò a vivere da solo in un altro paese dove nessuno lo conosceva. Non era né felice né triste. Usciva di notte. Il suo sudore tracciava il percorso che faceva. La sua casa era umida e dentro vi crescevano primule e girasoli, ciclamini e margherite. In camera e in bagno c’erano muschi e licheni. Il giardino era magnifico e ci andavano fringuelli, merli e usignoli. Gli abitanti del luogo gli portavano del cibo che depositavano sulla soglia e da fuori ponevano le loro domande e chiedevano i loro consigli a cui Idrìs rispondeva, sporgendosi appena dalla finestra oppure restando nascosto dietro le persiane. Non si arrischiavano a entrare e se lo vedevano passeggiare in paese cambiavano strada per non incontrarlo. Guardavano il sudore che gli sgorgava dal corpo e colava sul lastricato della via. Portavano via i bambini che erano curiosi. Le donne sapevano che Idrìs proteggeva la nascita e lo consultavano per avere un parto felice. Anche loro comunque lo evitavano. Si era sparsa la voce che chi lo avesse sfiorato avrebbe sudato nello stesso modo. Idrìs, da quando era senza genitori, pensava che sarebbe stato bello avere una moglie a cui voler bene. Suo papà gli aveva raccontato che gli uomini d’acqua sono pochi al mondo e che ci sono delle donne d’acqua e che capita che un uomo d’acqua e una donna d’acqua si trovino e se succede non si lasciano mai più. Idrìs sperava di trovarla la sua donna d’acqua ma gli anni trascorrevano e lui rimaneva solo. Un giorno, anzi una notte, il cielo era sereno e l’aria era asciutta. Idrìs uscì di casa. La sua pelle lucida brillava ai raggi della luna come fosse fatta di specchio. Il paese era deserto. Dopo le nove di sera tutti i negozi e i bar erano chiusi. Le finestre erano buie. Idrìs passeggiava lentamente con le sue strisce che restavano sulle pietre e che, il mattino successivo, avrebbero fatto dire alla lattaia: “E’ andato là” oppure “E’ andato qui” oppure “E’ andato su”, e al netturbino: “E’ stato giù” oppure “E’ stato in piazza Maggiore.” Idrìs fantasticava sui transatlantici che lo attraevano e non aveva mai visto. Si avviò verso il torrente dove fece il bagno. Poco prima dell’alba tornò a casa, ma lungo la strada si turbò perché, intorno alla quercia del Lupo, c’era una striscia bagnata come quelle che creava il suo corpo camminando. “Io non ci sono stato alla quercia”, si disse. Guardò per capire se ci fosse qualcuno. Il bosco era silenzioso. Idrìs percorse il paese in lungo e in largo. Già il sole nasceva e i contadini andavano nei campi. Pensò di essersi sbagliato, che non era niente. Invece, proprio in quell’attimo, lei apparve. Stava seduta su un gradino della chiesa, e intorno aveva una corolla di sudore che le faceva una magnifica aureola d’acqua. “Sono Idrìs.” “Sono Idrìssa.” Si conobbero. Andarono a casa per fare l’amore, il primo per lui e per lei. Impararono subito.  I loro corpi poterono aprirsi in liberta, e i mari e gli oceani che avevano dentro emersero insieme. Fu un amore copioso di liquidi vitali. Idrìs e Idrissa si avvolgevano e il sudore, che aumentava ed era come mai era stato, ammorbidiva e lubrificava, univa e miscelava, creava e annullava. Navigavano, finalmente, nell’infinito e nell’indefinito di acque che si rigenerano di continuo e che si confondono in baci e saliva. Il corpo dell’uno e dell’altra era l’interno di una bocca che baciava e di una lingua che bagnava. Era liscio come di bimbi appena nati. Era morbido come gommapiuma. Era intatto come abissi marini. Proseguirono senza bere e mangiare e senza dormire, per settimane e mesi. La gente vedeva nascere un lago intorno alla casa e si assiepava, incuriosita e con un po’ di paura. Ma Idrìs e Idrissa di niente si accorgevano. Avevano ancora enormi depositi di acqua. “Sai cosa sosteneva mia mamma?” disse Idrissa. “Cosa?” “Che noi, della stirpe dell’acqua, siamo come valvole in contatto con tutti gli oceani del mondo e tramite noi gli oceani escono e tornano a invadere la terra.” “Ci sarà, allora, un nuovo diluvio?” chiese Idrìs. “Chi lo sa”, rispose Idrissa continuando ad amare. Non ci fu un nuovo diluvio. Ci fu soltanto un nuovo lago al cui centro stava la casa. Ci furono poi tanti bambini, Luigi, Elena, Kris, Marco, Simona, Enrico, Laura, Boris, Ivana, Alan, e nessun figlio delle acque. Quando Idrìss e Idrissa morirono, vecchissimi, dalla loro tomba sgorgò una fontana che, si dice, sia miracolosa. Sulla fontana fu edificato un santuario. Il santuario fu circondato da una città.

 

 

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